Intervista a Paolo Manasse
di Daniele Tamburini
Bankitalia, questa volta, si sbilancia: in Italia si percepiscono i primi
segnali di ripresa. Lo ha detto pochi giorni fa, durante il Meeting di Comunione
e Liberazione a Rimini, il direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore
Rossi: "in diversi indicatori" per il nostro Paese si trova conferma di "una
lenta ripresa economica, o almeno di un arresto della caduta". Del resto, "i
danni della crisi sono stati da noi maggiori che in altri Paesi". La notizia non
può che rallegrare, anche perché al Paese sarebbe tanto necessaria una robusta
dose di ottimismo, da accompagnare certo ad indicatori macro e microeconomici
attendibili, ma capace di ricreare quella spinta a credere nel futuro che è
fondamentale. L’Eurostat ha segnalato, peraltro, una crescita complessiva
dell’Eurozona e della intera Unione Europea pari allo 0,3%, nel secondo semestre
dell’anno, rispetto al trimestre precedente. La Germania pare molto bene avviata
su questo percorso: e l’Italia? Ha ragione Bankitalia? Lo chiediamo a Paolo
Manasse, docente di Professore di Macroeconomia e di Politica Economica
all’Università di Bologna e Ph.D alla London School of Economics.
Professor
Manasse, si può parlare di inizio di ripresa, o magari anche solo di
“ripresina”?
«I dati che abbiamo a disposizione grazie agli enti preposti alla
ricerca in ambito economico sono concordi sul fatto che l'ultimo trimestre di
quest'anno sarà caratterizzato, per la prima volta dopo cinque anni, dal segno
più. Questa è senza dubbio una buona notizia, che però va inserita in uno sfondo
denso di incognite: da un lato le questioni della politica interna, dall'altro
uno scenario internazionale piuttosto complicato. Ci troviamo quindi di fronte a
questioni di importanza decisiva, che potrebbero soffocare sul nascere la
ripresa».
Ha parlato di uno scenario internazionale complicato: a cosa si
riferisce?
«Ci troviamo di fronte a fattori positivi, come la ripresa
dell'economia americana e di quella tedesca, ma ci sono anche situazioni che
destano incognite, come il rallentamento dell'economia dei paesi emergenti -
Cina e Brasile sopra a tutti - che rappresentano i principali sbocchi per i
nostri mercati. Anche l'attuale crisi siriana potrebbe penalizzarci: se Stati
Uniti, Inghilterra e Francia decidessero di attaccare, la finanza europea
subirebbe pesanti ripercussioni».
Il commissario europeo agli affari economici
Olli Rehn mette però in guardia da troppo facili entusiasmi: resta l’enorme
problema della disoccupazione...
«Ci sono sostanzialmente due questioni: da un
lato il mercato del lavoro in genere reagisce in ritardo e le imprese
ricominciano ad assumere solo quando la ripresa si dimostra consolidata;
dall'altro lato normalmente occorre una crescita sostenuta affinché il trend
della disoccupazione si arresti e inverta la tendenza. Vi sono poi dei problemi
più strutturali legati al mercato del lavoro in Italia, che è soggetto a nodi
non ancora sciolti, come ad esempio la questione della flessibilità, su cui tra
l'altro il governo pare stia facendo marcia indietro, e che non permette alle
aziende di assumere. Accanto a questo, non dimentichiamoci la zavorra di un
eccessivo costo del lavoro, che il nostro Paese si porta dietro da tempo e che
non permette alle nostre imprese di salire sulla carrozza della ripresa
internazionale».
Tutti i Paesi europei saranno coinvolti nel processo di
ripresa? O avremo un’Europa a due o più velocità, con il rischio concreto di
implodere?
«Temo che ci troveremo con un'Europa divisa in due. Ci sono Paesi
come la Germania, che hanno fatto riforme importanti, a volte anche dolorose,
che sapranno trasformare la ripresa in nuova occupazione; ci sono altri Paesi
che hanno fatto importanti investimenti dal punto di vista dell'innovazione e
della tecnologia, che ora potranno essere più competitivi. Infine ci sono i
Paesi come l'Italia, che non hanno fatto riforme nè investito sull'innovazione,
e che quindi dovranno arrancare».
Si nota che lo stile di vita delle persone ha
assunto, giocoforza o meno, caratteri più parchi: meno faciloneria, meno
sprechi. La ripresa è conciliabile con il mantenimento di queste “nuove”
abitudini, che, almeno per alcuni aspetti, non sono di segno completamente
negativo?
«Ritengo che certi comportamenti siano da considerarsi ormai
"acquisiti", e dubito che cambieranno con la ripresa, specialmente per quanto
riguarda gli sprechi. In fase di rilancio economico la gente tornerà a spendere
di più, come è giusto che sia, in quanto l'economia si basa anche sui consumi
interni, ma molto probabilmente si continuerà a prestare maggiore attenzione
agli acquisti, evitando quelli inutili».
Vorrei farle una domanda sull’influenza
che i fatti politici del nostro Paese in queste settimane possano avere
sull’economia, e in particolare su Berlusconi che intende far saltare il banco,
ma passo oltre e le chiedo, come ho già fatto altre volte: ce la faremo? Ma mi
accorgo che l’interrogativo è strettamente intrecciato alla prima parte della
domanda...
«La questione italiana è senza dubbio complicata, in quanto c'è una
stretta correlazione tra il futuro del governo e l'eventuale allontanamento di
Berlusconi. Il centrodestra non è ancora in grado di sostituire il proprio
leader, essendo un partito ancora molto personalistico; dunque il venir meno di
Berlusconi dalla scena politica potrebbe compromettere l'esistenza del partito
stesso, e di qui il tentativo di rovesciare il governo, legittimando Berlusconi
attraverso una sorta di "voto popolare". Un'azione del genere, tuttavia,
costituirebbe un pericoloso precedente, in quanto si andrebbero a scavalcare le
decisioni della giustizia, e questo farebbe venir meno la divisione dei poteri.
Senza contare il fatto che la caduta del governo provocherebbe il venir meno
della fiducia da parte dei mercati finanziari internazionali. Possiamo comunque
sperare nel fatto che, se si andasse a nuove elezioni, i centrodestra potrebbe
uscirne abbastanza malconcio, e questa consapevolezza potrebbe ridurre la spinta
a far cadere il governo. Così come dovrebbe bloccare tale spinta anche il fatto
che in un momento in cui già i nostri mercati non godono di particolare fiducia,
il Paese non trarrebbe certo vantaggi da una crisi di governo; chiunque abbia a
cuore il destino del nostro Paese non metterà in campo azioni che potrebbero
affossarlo. Mi chiede se ce la faremo? Mi auguro di sì, ma la realtà non è certo
rosea. Nel migliore degli scenari possibili, ammettendo quindi che il governo
possa continuare a lavorare e che la situazione internazionale non abbia impatti
gravi sui nostri mercati, la nostra ripresa sarà molto lenta, anche in virtù del
fatto che il nostro attuale governo non è in grado di fare riforme importanti, e
che quindi i problemi che da sempre ci portiamo dietro resteranno tali».
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