Questa volta, l'appello a non votare, per i quesiti referendari, non ha funzionato: il 54,8% degli aventi diritto si è recato alle urne. Si calcola, inoltre, che il 28% dei votanti si sia comportato in modo difforme da quanto indicato dai partiti di riferimento. Sarà perché le decisioni da prendere erano comunque concrete, sostanziali, e non consistevano in fumosi programmi elettorali o in logiche di schieramento "a prescindere". Poi, la sorpresa: l'atteggiamento dei giovani, la loro partecipazione. Noi lo avevamo detto, già nei mesi scorsi. Avevamo parlato dell'emergere di un nuovo protagonismo giovanile, basato su parole d'ordine amare, ma di chiarezza adamantina: siamo la generazione senza futuro, vogliamo parola, diritti, opportunità. In una nostra inchiesta, fatta lo scorso anno, avevamo registrato come i giovani fossero tornati ad interessarsi alla politica, a cominciare dai problemi della scuola. Lo si è visto nelle recenti consultazioni amministrative: Milano, Napoli, Cagliari e non solo, dove il voto giovanile è stato determinante. Hanno usato i mezzi a loro più congeniali, il web, facebook, i blog. Mentre le Tv davano pochissimo risalto all’appuntamento referendario, nella rete si è sviluppato un grande dibattito, ampio e coinvolgente, promosso anche da comitati spontanei. Hanno convinto, hanno vinto. I risultati dei referendum, come ogni fatto politico, non stanno solo qui, è evidente: è anche la protesta contro la politica del governo, è il malessere, sempre più palpabile, della Lega, è la stanchezza verso risse, grida e tensioni continue che la gente trova ormai inconcludenti e irritanti. Ma attenzione: la voglia di partecipazione che si è espressa e' un fenomeno nuovo, da non sottovalutare, e sbaglierebbe quella forza politica che volesse semplicemente appropriarsene, senza comprenderla e farsene interprete. D’altro canto, quel partito che riuscisse ad intercettare questo vento che sale, acquisirebbe un capitale enorme. Quanto a noi, siamo contenti quando la gente si esprime liberamente con il voto perché: libertà è partecipazione, come cantava Gaber.
Daniele Tamburini
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