Ai cittadini si chiede di pagare salato, da subito, e la politica taglierà (alcuni) suoi costi, ma solo poi. È l’impressione più evidente che sta percorrendo il Paese. Un’impressione che ha solide radici reali, se si analizza la manovra, divenuta legge n. 111 lo scorso 15 luglio. Ho letto, tra le prime righe del testo: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni... ” per stabilizzare la finanza, contenere la spesa pubblica eccetera. Gli obiettivi, quindi, sono questi. Peccato che anche le tasche da cui si pesca siano sempre le stesse, e che non ci siano segnali apprezzabili di riforma del Paese, magari abolendo davvero privilegi e sinecure. Sarà per questo che i mercati hanno reagito in modo molto confuso? E la classe politica? Si passa dal solito ottimismo (divenuto quasi fastidioso) alle visoni apocalittiche, passando per quella che forse è la vera questione: la scarsa credibilità. Una credibilità che si gioca, appunto, anche sul piano della condivisione dei sacrifici. Se non si recupera la fiducia dei cittadini nella cosa pubblica e in chi riveste le più alte cariche, il rischio è l’antipolitica peggiore, quella che finisce col rifiutare i meccanismi stessi della democrazia. Non si tratta di rifiutare la politica, che è un atteggiamento molto pericoloso, si tratta di abolire i privilegi di casta: proprio come nella Rivoluzione francese, se vogliamo. È uno schiaffo leggere che “l'amara medicina è solo per il Paese, non per il Palazzo": lo scrive Famiglia Cristiana. Ci chiedono sacrifici e senso di responsabilità e per questo, approvano la manovra in un batter d’occhio. Io, però, sacrifici da parte di deputati e senatori non ne ho visti. Voi?
Daniele Tamburini
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