
sabato, agosto 02, 2014
E’ una Vanoli a stelle e strisce

Tari, commercianti pronti allo sciopero fiscale

Parcheggi a pagamento: le proteste dei cittadini

Il Comune temporeggia: «Incontreremo i gestori Saba e Aem»
E' stato affrontato anche il tema dei parcheggi, durante la prima riunione
dello staff mobilità che vede coinvolti gli assessori Alessia Manfredini,
Maurizio Manzi e Andrea Virgilio, oltre a dirigenti e tecnici che si occupano
della partita, riunione che si è tenuta nella mattinata di venerdì. Un
approfondimento fortemente voluto da tutta la Giunta per affrontare la
situazione dei parcheggi, della viabilità, delle piste ciclabili, della
pedonalizzazione, della ZTL, del trasporto pubblico locale, in un’ottica di
visione complessiva sulla città. Il tema dei parcheggi non è ancora stato
approfondito, in quanto, come spiegano gli assessori, andrà inserito in un
discorso complessivo sulla mobilità cittadina e sul piano della sosta. Senza
dubbio la questione del numero dei parcheggi andrà rivista: difficile dire -
fanno sapere dal Comune - se il numero sia quello previsto dalla legge, in
quanto molto dipende dalla dislocazione dei parcheggi nelle varie zona della
città, ma sicuramente la distribuzione dei posti a pagamento dovrà essere
rivista. Nelle prossime settimane lo staff incontrerà gli enti gestori, Aem e
Saba, per capire cosa si può fare. «Gli strumenti di pianificazione del sistema
di mobilità del Comune di Cremona, infatti, risultano ormai datati: il piano
della mobilità risale al 1994, i piani particolareggiati del traffico al 2008,
il piano dei trasporti al 2002, il piano della rete ciclabile al 2007, il piano
urbano del parcheggi al 2008 - fanno sapere gli amministratori -. Sulla base di
dati precisi, assessori e tecnici hanno cominciato a riflettere sulle principali
criticità: l’assenza di un piano organico della sosta, lo stato di alcune
direttrici come Viale Trento Trieste, via Dante e via del Giordano, la
situazione dei passaggi a livello, le fasce della Ztl, le tariffe degli stalli e
i permessi in vigore, il piano di distribuzione delle merci che manca».
L’impegno preso al tavolo dello staff mobilità è quello di affrontare nel
dettaglio le singole questioni, dandosi una tabella di marcia certa e
verificabile. «Consapevoli che si tratta di un lavoro lungo e complesso –
dichiara l’assessore Alessia Manfredini - è necessario approfondire tutte le
criticità per individuare soluzioni a breve, medio e lungo termine con
l’obiettivo di una mobilità più possibile sostenibile e che favorisca gli utenti
più deboli della strada, in linea con le buone pratiche europee».
"A Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”. I Cottarelli e le missioni impossibili
Con Luzzara e Cottarelli son tornati i tempi belli”. Perché la frase susciti
un dolce ricordo sono necessarie almeno due condizioni: essere tifoso della
Cremonese, e avere oltre sessant’anni. L’uomo del giorno nel nostro paese è
Carlo Cottarelli, il commissario straordinario cui è stata affidata la Spending
Review, e che ha annunciato le possibili dimissioni dall’incarico per un
semplice motivo affidato a un blog: “Se si usano i risparmi sulla spesa per
aumentarla, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre le tasse sul
lavoro”. Strana sorte quella dei Cottarelli, commissari chiamati al capezzale di
organismi moribondi per fare il miracolo. A papà Celeste, per tutti “Celo”,
l’impresa riuscì, fatte le debite proporzioni: l’Uessecì non è l’italia. Correva
l’anno 1967, e la Cremonese toccava il punto più basso della sua storia
sportiva: le difficoltà economiche avevano costretto il presidente Maffezzoni a
lasciare, e la squadra era retrocessa in serie D. La società fu commissariata, e
i commissari scelti furono due: Celo Cottarelli, amico di Maffezzoni, e Domenico
Luzzara, entrato in società per recuperare un credito di 80 milioni di lire, per
aver realizzato con la sua impresa edile l’impianto di illuminazione dello
stadio Zini. La stagione 1967-68 iniziò malissimo, con la storica sconfitta nel
derby con la Leoncelli, ma finì con la vittoria del campionato e il ritorno in
serie C, grazie a giovani di talento come Mondonico e Cesini e capitan Tassi.
Nel 1969 Cottarelli lasciò, e con la presidenza di Luzzara arrivò il momento più
alto, con le 4 stagioni in serie A. La Cremo era rinata, l’impresa era compiuta.
Quella che attende il figlio Carlo è proibitiva, non solo per la crisi economica
che attanaglia il nostro paese, ma anche per il contesto politico in cui opera.
Carlo nacque nel 1954; dopo il master alla London School of Economics, dal 1988
lavora per il Fondo Monetario Internazionale, di cui dal 2008 dirige il
Dipartimento Affari Fiscali. A richiamarlo in Italia da Washington fu
nell’ottobre scorso il primo ministro Letta, per affidargli la revisione della
spesa pubblica, scoglio sul quale si erano arenati anche economisti del calibro
di Pietro Giarda ed Enrico Bondi (scelti da Monti). “Mister Forbici”, come viene
prontamente soprannominato, diventa in breve un personaggio tra i più noti della
politica italiana, nonostante non sembri certo tipo da cercare i riflettori. A
Cremona in dicembre per il 50° dell’API (Associazione Piccole e Medie
Industrie), manifestò attaccamento alle radici, nonostante la lunga assenza, e
anche fiducia nell’arduo compito, che consisteva nel reperire 32 miliardi entro
il 2016. «Non avrei accettato se avessi pensato che l’impegno non fosse
fattibile. Ci sono riusciti altri paesi». Già, altri paesi però. Evidentemente
contagiato dal pragmatismo made in Usa, tornava in Italia con uno spirito
ottimistico: «Mi preoccupa però – diceva allora – il pessimismo, spero che
l’amministrazione pubblica ce la faccia. Serve un cambio di mentalità, in due
sensi: fare tagli non lineari ma mirati per eliminare le aree di spreco, e
utilizzare la maggior parte delle risorse trovate per ridurre la tassazione sul
lavoro, bisogno fondamentale per l’economia italiana». Un’anticipazione chiara
del contrasto poi emerso. Gli ultimi sviluppi infatti sono storia recente, di
queste ore. La reazione degli ambienti politici non si è fatta attendere, ed era
quella immaginabile: per il governo lo sfogo era diretto al Parlamento, per il
Parlamento era chiaramente un invito al governo. Freddo il commento del premier
Renzi: «Possiamo andare avanti anche senza di lui, la spending review non
dipende dalle persone che la conducono, ma dalla volontà del governo». D’altro
canto che il rapporto con Renzi non fosse lo stesso che aveva con Letta era cosa
nota. Tanto che i dossier di Cottarelli sulla spesa pubblica sono rimasti sinora
nei cassetti, e i due capitoli di spesa più rilevanti, sanità e pensioni,
sembrano intoccabili, come dimostrano le continue deroghe alla riforma Fornero.
A far traboccare il vaso è stato il ripristino della tutela per gli insegnanti
di “quota 96”, emendamento approvato dal Parlamento ma non sembra proprio contro
la volontà del governo. Cottarelli si prepara dunque a tornare al Fondo
Monetario, negli Usa. Probabilmente accadrà in ottobre. Ha cercato di dare una
mano al suo paese di origine, nessuno ha mai eccepito sulla bontà del suo lavoro
e sull’indipendenza con cui l’ha condotto. Ha acceso i fari su situazioni che
imbrigliano la nostra economia, ma la politica preferisce che la luce rimanga
più tenue. Come se l’importanza di Cottarelli si misuri sulla sua presenza
(messaggio ai mercati?) più che sulla sua opera, che la politica nostrana
ritiene fastidiosa. Probabilmente anche a pelle il suo feeling con Letta,
certamente più anglosassone di Renzi nell’approccio, era altra cosa rispetto a
quello conl’attuale premier.Come ben dice Sergio Rizzo sul Corriere, “il
prossimo taglio alla spesa pubblica frutto del lavoro di Cottarelli sarà il suo
stipendio”.
Giuseppe Carletti: a Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”

Perché la Spagna è in ripresa e noi no?
A volte, conservo delle pagine di quotidiani con articoli che mi hanno
colpito e che mi riprometto di rileggere con calma. Spesso, ovviamente, non ci
riesco e le pagine si accumulano, finché non decido di fare spazio. Ma, mentre i
titoli passano sotto gli occhi, capita di avere (amare) sorprese. Era l’aprile
2010 e un grande quotidiano nazionale riportava la notizia di un convegno di
grandi economisti, organizzato da Gorge Soros, dedicato ad un confronto sul
“dopocrisi”. Perché l’amarezza? Primo: nel 2010 si parlava di “dopo crisi”,
orizzonte di cui, oggi, nessuno si sente più di parlare, se non in termini
probabilistici e, al massimo, speranzosi. E poi, leggiamo queste parole: Gli
invitati concordano che i paradigmi economici dominanti negli ultimi decenni,
improntati alla ritirata dello Stato regolatore perché il mercato garantisce una
sua razionalità ed efficienza superiori, «devono cambiare». I venticinque di
Bedford affermano che la disciplina economica nelle università «è stata
manipolata dal mercato» e «si è distaccata dal pianeta Terra, quindi non
riflette più il mondo reale». Bene, sono pienamente d’accordo! E però dove
siamo, quattro anni e passa dopo, almeno qui da noi? Il capitalismo finanziario
detta ancora legge: il suo continua ad essere un vero e proprio strapotere. Le
banche continuano a rappresentare il fulcro di quell’emergenza-credito che
contribuisce a strozzare ogni possibilità di ripresa. Altri Paesi (la Spagna, la
stessa Grecia!) iniziano a ripartire: e noi? Cito alcuni titoli di un rapporto
del Centro Studi di Confindustria dello scorso giugno: “La partenza ritardata e
lenta. Investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi; le banche
hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza
ravvicinata... Questo anello mancante nella catena di normale trasmissione dei
meccanismi del riavvio della produzione (che parte dal ritorno della fiducia e
dal miglioramento delle aspettative) fornisce una convincente spiegazione del
ritardo con cui la ripartenza dell’economia italiana sta avvenendo. E continuerà
a essere un ostacolo …”. Faccio una domanda al governo: non sarebbe meglio
lavorare su questi ambiti, piuttosto che incaponirsi nella riforma del Senato?
Buone vacanze.
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