sabato, ottobre 22, 2011

Il comunismo è morto, ma il capitalismo non sta tanto bene

Dovrà cambiare tutto. Niente sarà più come prima. Se ci culliamo ancora nell’illusione che la crisi sia uno scossone, ruvido ma forse anche salutare, superato il quale si riapriranno “magnifiche sorti e progressive”, ci sbagliamo di grosso. Sono valutazioni,queste, che si stanno facendo da più parti. Tra gli interventi più recenti, quello di Giuliano Amato, che, come ricordiamo nell’intervista, pubblicata in questo numero, al professor Alberto Vannucci, disegna uno scenario futuro in cui il sistema mondo dovrà giocoforza riequilibrarsi. Di quanto benessere potremo godere in futuro? Sul mercato globale, a quali retribuzioni potremo aspirare? Quale sarà la vera “ricchezza delle nazioni”? E ancora: fin dai primi anni 80, il capitalismo si e' orientato in modo da cavare il massimo rendimento dagli investimenti finanziari, creando valore soprattutto per l'azionista, mentre si svalutava progressivamente la forza lavoro. Per un po’ha funzionato, almeno fino a quando è subentrata, preponderante, la finanza: la cosiddetta economia di carta. Il sistema, adesso, è entrato in crisi, assommando incapacità di reazione alle difficoltà, contraddizioni e sperequazioni che stanno generando focolai di rivolta sociale che potrebbero degenerare. Siamo convinti che, per uscire da questo impasse, si possa ripercorrere le stesse strade? Già un barbuto filosofo tedesco, un certo Karl Marx, aveva scritto, nel secolo XIX, che le malattie del capitalismo adulto avevano la sua origine nel capitale. Qualcuno sta rivalutando Marx, non tanto nei suoi scritti più politici, ma proprio rispetto alla lungimiranza dell’analisi economica. Negli anni passati ogni grande crisi si concludeva con un terrificante conflitto mondiale e dopo tutto ripartiva. Oggi, grazie a Dio, non è immaginabile che ciò possa accadere di nuovo. E allora? Se, intanto, tornassimo a mettere al centro il lavoro? Il lavoro di produzione di beni, ma anche di servizi; l’economia vera, concreta, reale, quella che si basa su manufatti e su produzione intellettuale, sulla coltivazione dei prodotti della terra, sulle tecnologie applicate alle produzioni, al risparmio energetico, alla riduzione dell’impronta ecologica. Parliamo di lavoro materiale, ma anche di quello immateriale, legato all’economia della conoscenza, alle scoperte scientifiche, all’innovazione. Ma non solo: alla fantasia, alla capacità di inventare, alla progettualità. Il nostro capitalismo è maturo? Benissimo, ma noi viviamo in un Paese irripetibile per molti aspetti (alcuni anche, ahimè, negativi): abbiamo una natura ed una cultura spettacolari, unici, emozionanti. Proviamo ad uscire da una logica in cui tutto è merce, dalla produzione di beni e servizi essenziali fino a sanità, cultura, risorse naturali, vita, e puntiamo alla messa in valore etico ed estetico, prima ancora che economico, di questo patrimonio. Il valore economico deriverà dalla cura con cui sapremo trattare questo immenso patrimonio. Ancora non ce ne rendiamo conto, sono in atto profondi cambiamenti, solo i giovani sapranno interpretarli. I giovani sono la nostra speranza, i giovani saranno la nostra salvezza.
Daniele Tamburini

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