venerdì, febbraio 10, 2012

«La classe dirigente cremonese non è adeguata» intervista a Titta Magnoli, segretario provinciale Pd

di Daniele Tamburini
La relazione che Titta Magnoli ha svolto all’assemblea provinciale del Pd di Cremona, di cui è segretario, contiene valutazioni di grande durezza e un giudizio, articolato ma per molti versi impietoso, sulla situazione del Paese, ma anche, e soprattutto, del nostro territorio. Salta gli occhi una frase: “Io credo che la nostra classe dirigente non sia adeguata, non tanto nelle singole intelligenze, ma per l’incapacità di orgoglio e di reazione”. Valutazione pesante, in specie se espressa dal segretario del maggior partito di opposizione, che ha retto il governo locale fino allo scorso mandato e che si ricandida per ottenere la maggioranza alla prossima tornata elettorale. Ne abbiamo parlato con lo stesso Magnoli, in un'intervista in cui gli argomenti toccati sono molteplici e l'approccio mai banale.
«Voglio fare una premessa» esordisce il segretario Pd: «la relazione era finalizzata a una discussione politica, per cui, più che dura era diretta. Lei si immagina un dibattito politico in cui la premessa è che viviamo nel migliore dei mondi possibile? Ma non c’era alcuna volontà di giudicare ‘da fuori’ bensì di prendersi cura di ciò che si pensa non vada. In politica non dovrebbe esserci posto per i permalosi…».
Senta Magnoli, cominciamo con una cosa che mi ha incuriosito. Cremona è città di musei. Lei ha raccontato di uno studente cinese che chiedeva se l’Europa fosse un laboratorio o un museo. Non crede che si possa essere sia museo che laboratorio?
«Io non amo chi dice che all’Italia basta il suo patrimonio artistico. L’economia non può basarsi solo sul passato, su un terziario di mero sfruttamento. E’ importante, ma non basta. I musei sono fondamentali ma svolgono la loro funzione in pieno se sono fonte di cultura e di ispirazione: se una persona, vedendo il bello, riflette e si commuove. Altrimenti sono dei magazzini con dei quadri appesi alle pareti. Io credo quindi che ci debbano essere musei che ispirino laboratori, che muovano le persone. In questo senso credo che la sfida sia imponente, cioè usare il grande passato per un grande futuro. Questa è la sfida dell’Europa. E questo si fa investendo in ricerca e in formazione, non facendo cadere a pezzi Pompei».
La sua analisi è: un territorio che va a fondo in un Paese che va a fondo in un’Europa che va a fondo. Ma se la crisi è continentale, che spazio possono avere le energie locali?
«Le energie locali non hanno alcuna possibilità di contare. Questo è il dato di fatto. Ma ciò non toglie che se non posso nulla contro la tempesta, almeno apro l’ombrello e mi metto al riparo. E’ questo che si sta iniziando a fare con il Governo Monti. E’ questo che si dovrebbe fare anche a Cremona. Noi abbiamo una realtà che sta subendo colpi pesanti già oggi e che rischia di non reagire per eccesso di tranquillità. Di autocompiacimento. Se una nave affonda preferisco chi ordinatamente va verso le scialuppe e cerca di salvarsi a chi dice “sarà un falso allarme” e prende un tranquillante per dormire meglio. Cosa si può fare a Cremona? Moltissimo. Innanzitutto capire che la crisi si supera insieme, e non andando sparsi come galline spaventate».
Ad un certo punto lei dice: il problema non è, o non è più, la frattura fra capitale e lavoro, ma tra lavoratore italiano e lavoratore cinese, tra imprenditore italiano e imprenditore cinese. C’è sicuramente una grossa questione legata alla competitività, ma, in questo quadro, come si inseriscono i diritti? Il riferimento è anche, ma non solo, all’articolo 18…
«La crisi ci costringe a rivedere il nostro rapporto con i diritti. Ovviamente parliamo di valori che non vanno negoziati, che devono essere difesi. Ma con intelligenza. I diritti di un lavoratore sono sacri finchè questo può dirsi tale. Se non lavora più, se la sua azienda ha chiuso perché incapace di competere, ha perso tutti quei diritti in un colpo solo. Da qui la mia insistenza: in questa crisi datore e lavoratore sono sulla stessa barca e possono salvarsi solo insieme. Guardi, l’articolo 18 è l’ultimo dei problemi e parlare di quello è distogliere l’attenzione dai temi veri. Lo sanno bene anche i sindacati. Ma la battaglia ormai è simbolica. Noi competiamo in modo asimmetrico con chi non ha alcun tipo di freno. Ed è ovvio che dobbiamo mettere sul piatto della bilancia le due cose, competitività e diritti, e capire fino a che punto siamo disponibili a mediare».
Veniamo al nostro territorio. Il suo giudizio sembra senza appello. Arretratezza, “vuoto cosmico di idee e contenuti” (la sto citando), e un giudizio sulla classe dirigente, complessivamente intesa, di questo genere: “Io penso che la classe dirigente del territorio oggi sia inadeguata ad affrontare la sfida. E lo dico senza pietismo e finzioni. Sarebbe comodo autoassolversi, tanto siamo tutti sulla stessa barca”. Valutazioni così nette presuppongono l’aver ripensato anche le radici e la storia di questo malessere. Ce ne vuol parlare?
«Guardi che la mia relazione è costruttiva, non è senza appello. E’ un richiamo che faccio a me per primo, sottoponendomi ai brontolii di molti. Non pensi che non mi fischino le orecchie. Dico che la classe dirigente non è adeguata perché non ha orgoglio, non difende il territorio, non lotta. Pensi a cosa subisce ogni giorno un pendolare della nostra provincia. Non è abbastanza perché tutto il sistema cremonese si incateni sotto il Pirellone. O i pendolari sono cittadini di serie B? Ecco, io non vedo questo orgoglio nella reazione. Anzi, noto talora un certo fastidio se si fanno notare alcune cose. I pendolari? Seccatori. L’opposizione? Abbaia. I
cassintegrati Tamoil? Cosa vogliono di più. Andando avanti così il territorio morirà davvero. Il dibattito pubblico, invece, si concentra sul canile, su un sito internet di informazione che apre, sul tendone per il capodanno in piazza. Ma se fai notare che così non va, ti guardano infastiditi».
Il suo giudizio, ha ribadito più volte, coinvolge tutte le forze politiche, sociali, economiche, e non risparmia una stoccata anche alla Chiesa…
«Sono uno dei pochi politici che ha il pudore di affermare di non essere cattolico, senza quelle strane frasi sofferenti che fanno pensare a chissà quali travagli interiori, per cui non mi sognerei mai di dare stoccate a una istituzione bimillenaria come la Chiesa. Ma nella mia vita ho avuto modo di conoscere il fermento che c’è negli ambienti cattolici, l’attenzione alla politica e trovo un peccato che non si riesca a fondere insieme tutte le varie energie. Ci sono iniziative più che lodevoli ma sempre tenute separate, distinte. La mia non era una stoccata, quindi, ma l’invito a condividere, a fare politica insieme. Pensando sì alla città di Dio, ma anche, ogni tanto, alla città dell’uomo».
Posso dirle una cosa? La sua analisi è per molti versi affascinante, e riesce anche a convincere, giustamente caustica e dura. Ma poi, al momento della proposta, resta un po’ nel vago. Innovare, lavorare di più e meglio, discutere in modo franco e acceso. Tutto ok, ma … su che cosa? Come? Con chi? Non crede che sia anche il tempo di risposte chiare e circostanziate?
«E’ una critica che accetto. Ma se avessi tutte le risposte io da solo sarei solo un cretino borioso. Cerco di dire altro: le risposte dobbiamo trovarle insieme. Diciamo che questa relazione è un primo tempo, non sperava né di suscitare tutto questo dibattito, né di esaurire il tema. Partiamo da una affermazione molto grave che ho fatto e che ho notato è stata sorvolata. Io temo che Cremona si svegli un giorno come Parma, con una situazione economica vicina al dissesto. E’ una preoccupazione, non ancora una valutazione politica. Ma vedo che si continua a riempire la pancia delle municipalizzate con debiti per operazioni immobiliari quantomeno discutibili, tipo il Massarotti. Il debito delle aziende pubbliche è debito del Comune, mica di altri. Ecco, come primo passo partirei dai conti, con una grande operazione di trasparenza sui beni pubblici. Trasparenza vera, ovviamente, cioè comprensibile. Questo sarebbe l’inizio e chissà quante sorprese. Senza tanti “è colpa mia, è colpa tua”. Credo che i cremonesi debbano sapere come vengono usati i loro soldi. Questo si collega alla vicenda Lgh, ma non voglio continuare su questa via. Faccio un altro esempio. Come affrontiamo, in tempi di crisi, in una città che detiene il primato dell'invecchiamento della popolazione il tema dei servizi per gli anziani e i disabili? Davvero si pensa che sfilando i soggetti che ora intervengono, la Fondazione città di Cremona ed il Comune, dalla responsabilità diretta verso quei servizi ed affidandoli ad un soggetto privato si risolveranno tutti i problemi? Invece di parlare di queste cose ci concentriamo sui permessi di parcheggio agli amministratori. In un dibattito falsato, come se questi fossero una casta famelica e cattiva perché hanno un piccolo beneficio nel loro servizio. Qualcuno ha fatto un po’ i conti? Gli amministratori sono, esagerando, un’ottantina. Poi ci sono i medici in servizio, gli artigiani, i commercianti al lavoro. E gli altri chi sono? Tutta casta? Tutta politica cattiva e famelica? Come si arriva a quei numeri iperbolici (per Cremona)? Una bella operazione giornalistica sarebbe pubblicare tutti i nomi. Ci divertiremmo. Ecco, mi sono attirato altri nemici…».
Ci penseremo, Magnoli. Potrebbe essere tema di una buona inchiesta... Per adesso, grazie.

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