Intervista alla costituzionalista Marilisa D’Amico, professoressa alla Statale di Milano: «Governo, la realtà potrebbe superare la fantasia»
di Daniele Tamburini
C'è sicuramente una grande confusione sotto il cielo:
non solo politica, ma anche rispetto ai comportamenti istituzionali. Tutto
questo, in un momento in cui servirebbero certezze e percorsi lineari; ma, oltre
ai gravissimi problemi strutturali e congiunturali dell’economia, del lavoro,
del sistema del credito, siamo di fronte anche a un bell’”inghippo” formale, e
mai, come in questo caso, la forma è sostanza. Come funziona un governo di
minoranza? È questa l’unica strada perseguibile, con questi numeri, e
soprattutto con le porte che vengono vicendevolmente e alternativamente
“sbattute” tra Pd, Pdl, Movimento 5 Stelle?. Ma la sostanziale impossibilità a
formare una maggioranza non è il solo nodo assai problematico in ballo: il
presidente della Repubblica è nel semestre bianco e, secondo la Costituzione,
non può sciogliere le Camere. E non dimentichiamo che, appunto, dovrà essere
eletto anche il nuovo Presidente della Repubblica. Parliamo dei vari scenari e
delle varie ipotesi con la professoressa Marilisa D’Amico, docente di Diritto
Costituzionale all’Università Statale di Milano.
Professoressa D’Amico, come
funziona un governo di minoranza?
«Il Governo di minoranza o, più correttamente,
di maggioranza relativa è quello che non ha avuto la fiducia dalla maggioranza
dei componenti delle Camere, ma solo dalla maggioranza dei presenti. Lo consente
l’art. 94 della Costituzione che non prescrive, per la concessione della
fiducia, maggioranze qualificate. Non sarebbe la prima volta che accade, ma è
evidente che si tratterebbe di un Governo “debole” che dovrebbe ogni volta
assicurarsi i voti necessari a far approvare i propri provvedimenti».
Facciamo
delle ipotesi di possibili governi… Pd con l’astensione del Movimento Stelle?
Con l’appoggio esterno sulla base dei punti programmatici?
«Sarebbe possibile,
anche se la regola prevista dal regolamento del Senato per il computo degli
astenuti complica le cose. L’art. 107 del regolamento del Senato prevede che le
deliberazioni siano prese a maggioranza dei senatori che partecipano al voto,
ivi compresi gli astenuti. Il voto di astensione rende dunque più difficile il
raggiungimento della maggioranza, perché l’astensione finisce per valere come un
voto contrario. Stando così le cose, la procedura perché un Governo targato PD
ottenga la fiducia con l’astensione del M5S al Senato è piuttosto complicata. I
senatori del M5S potrebbero uscire dall’Aula, ma, a quel punto, i parlamentari
del Pdl potrebbero fare lo stesso e far così mancare il numero legale. In
alternativa – ma il meccanismo è piuttosto bizantino – il PD dovrebbe
assicurarsi i voti dei senatori della Lista Monti e chiedere ad una
rappresentanza di grillini (una quindicina circa) di restare nell’aula,
astenendosi, ma assicurando il numero legale».
Napolitano potrebbe incaricare un
esponente 5 Stelle?
«In linea teorica, sì, ma solo se il Presidente della
Repubblica capisse, dalle consultazioni, che un esponente 5 stelle ha la
possibilità di trovare una maggioranza parlamentare. Politicamente mi sentirei
però di escludere questa circostanza ».
E l’ipotesi di “governissimo” Pd- Pdl,
che, comunque, la direzione Pd ha escluso?
«Da un punto di vista costituzionale,
non è una strada impraticabile, dal punto di vista politico, invece, non mi
sembra proprio che vi siano le condizioni.
Qualcuno parla di una prosecuzione
“tecnica” del governo Monti, che, però, tecnico non è più…
Qui bisogna fare un
po’ di chiarezza. Oggi il Governo Monti è dimissionario, ma resterà in carica
fino a quando non si formerà un nuovo Governo. In questo senso - se vogliamo -
possiamo parlare di prosecuzione “tecnica”. Il Presidente della Repubblica ha,
però, il dovere di aprire le consultazioni per formare un nuovo Governo. Diverso
è il caso in cui il Presidente della Repubblica decida, all’esito di queste
consultazioni, di conferire un “nuovo” incarico a Monti. Questa ipotesi, però,
non sarebbe più una prosecuzione tecnica, bensì l’inizio di un nuovo Governo
“politico”, tanto più che Monti ha partecipato alla competizione elettorale.
Ultima questione: come si mettono insieme due fatti, l’uno possibile (nessuno
riesce a formare un governo e si deve tornare al voto), l’altro reale (il
presidente della Repubblica, nel “semestre bianco”, non può sciogliere le
Camere)?
«Il presidente della Repubblica, fino alla scadenza del suo mandato,
non può sciogliere anticipatamente le Camere. Questo lo dice l’art. 88, comma 2,
della Costituzione. Pertanto, se non si riesce a formare un nuovo Governo e
l’unica strada percorribile è quella di tornare al voto, bisognerà
necessariamente attendere l’elezione del nuovo Capo dello Stato che, come primo
atto, scioglierà le Camere. Nel frattempo, il Governo Monti, dimissionario,
proseguirà “tecnicamente” il suo lavoro. Questo, però, solo se davvero nessuno
riesce a formare un Governo. Se, invece, viene nominato un nuovo Governo, che
giura nelle mani del Presidente della Repubblica, e questo Governo non ottiene
la fiducia iniziale, sarà comunque quest’ultimo a dover gestire il periodo
elettorale e firmare il decreto di scioglimento delle Camere.
Se la sente di
formulare una previsione?
«Non me la sento di formulare una previsione
relativamente ai prossimi sviluppi. In questo caso, mi sembra proprio che la
realtà potrebbe superare la fantasia».
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