Mi ritengo una persona semplice, e come tutti, penso, mi aspettavo semplicemente che dalle elezioni uscisse una solida maggioranza, qual che fosse, in grado di agire per il bene del Paese, nella convinzione che il bene del Paese sia anche il mio e quello della gente che conosco, con cui lavoro, quella che vedo tutti i giorni, che incontro, che ascolto. Il bene comune, perché siamo e facciamo parte di una comunità, non siamo una semplice sommatoria di individui. Così non è stato, lo sappiamo bene, e c’è una grande incertezza. E anche qualcosa che capisco poco. Si dice da più parti che sulla scena politica sono emersi molti fattori nuovi. Il primo e il più grande è certamente l’affermazione del Movimento 5 Stelle, e poi i molti volti nuovi in Parlamento, tra cui più donne, la fine della carriera di personaggi inossidabili come Gianfranco Fini, eccetera. Intanto, emerge poco il dato della crescita continua dell’astensione, che ha toccato il 25%, un quarto del corpo elettorale. Poi, sarà che ci sono grandi novità, ma, in questi giorni, mi sembra che si stia svolgendo, con protagonisti nuovi, una ennesima edizione della “melina” delle coalizioni post-elettorali. Bersani offre, Grillo grida, però poi parla di Crocetta e della Sicilia, poi dice che, in realtà, il modello Sicilia non esiste. La direzione Pd ragiona sulla batosta dei 3 milioni di voti in meno, pensa a come uscirne e dice: mai più con il Pdl, però Renzi se ne va, e, anche se la posizione del segretario è stata votata all’unanimità, c’è un grosso tintinnar di sciabole, da quelle parti. Il Pdl, dopo l’euforia del primo momento, ha fatto bene i conti, ha capito di aver perso 6 milioni e 600mila voti e sta cercando una strada; Berlusconi freme come se sentisse franare il terreno sotto i piedi. E il Paese? La battuta che circola di più è: senza governo, senza Papa, tra poco senza presidente della repubblica, ma che sta succedendo? Tanto smarrimento, tanta confusione, tanta preoccupazione, solida, fondata, ma ho notato una cosa: se prima tutti andavamo di corsa, non c’era tempo neppure quasi per salutare, nella frenesia di muoversi, concludere, serrare i tempi, ora la gente ha tanta, tanta voglia di parlare. Quasi che la paura che viviamo sia troppo forte per essere sostenuta in solitudine. In questi giorni incontro molta gente, imprenditori, commercianti, artigiani… tutti hanno una gran voglia di parlare, principalmente della crisi è ovvio. Ma questo è positivo, è un modo di stare nella comunità che dovremmo mantenere e valorizzare: è bello parlare guardando negli occhi l’interlocutore, ti dà un senso di condivisione che il web non potrà mai dare. Si parla molto di più, della difficoltà dei tempi, dei timori, ma anche delle speranze, che sono deboli, ma ci sono, ci devono essere. Ci devono essere. Altrimenti, senza speranza, che vita sarebbe?
Daniele Tamburini
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