sabato, marzo 23, 2013

«Quando usciremo a riveder le stelle?»


Intervista a Giacomo Vaciago docente di economia: «La mancata crescita è diventata declino e poi decadenza» 


di Daniele Tamburini

Ma cos’è questa crisi? Il motivetto era celebre già nel 1933, e, si direbbe, sempre attuale. Pare di vivere, in questi giorni, in un tempo sospeso: da una parte, lo stato del Paese, sempre più in affanno, quando non drammatico, sempre più alla ricerca di soluzioni che permettano, altro che lo sviluppo, ma la stessa sopravvivenza. Dall’altro, i tempi della politica: l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, volti e stili nuovi; l’incognita Movimento 5 Stelle, l’inizio delle consultazioni di Napolitano, il quale è entrato nel semestre bianco e quindi non potrebbe, in nessun caso, sciogliere le Camere; la stessa elezione del nuovo presidente della Repubblica, vicenda intorno alla quale si stanno preparando mediazioni, alleanze, veti incrociati. E intanto, in pieno Mediterraneo, la “soluzione cipriota”: un prelievo forzoso sui depositi di denaro, richiesto a garanzia del prestito Bce-Ue-Fmi per evitare il default a cui il Parlamento di quel paese ha detto no, ma intanto l’idea è stata lanciata. Una prospettiva vissuta con timore da tutti i Paesi a rischio, il nostro compreso. Ne parliamo con Giacomo Vaciago, docente di economia all’Università Cattolica di Milano e studioso attento della realtà politico-economica del nostro tempo. 

Professor Vaciago, come definirebbe, con una metafora, la nostra situazione? “E la nave va”, “Sull’orlo del precipizio”, “Domani è un altro giorno …”? 

«Ho in mente Dante che “esce a riveder le stelle”. Ma noi quando lo faremo? Ricordiamo che il Paese non cresce da 15 anni e da 5 anni va indietro. Non solo le nuove generazioni – per la prima volta da quando c’è l’Italia - non stanno più, in media, meglio dei loro genitori, ma addirittura il loro benessere dipende da quello dei loro genitori. La mancata crescita è diventata declino e poi decadenza. C’è quindi la necessità di tornare a crescere, ma prima occorre una diagnosi realistica – occorre il coraggio di dire la verità - e soprattutto occorre spiegare che per ricostruire un Paese servono valori: la legalità (il rispetto della legge); l’equità (in un Paese moderno garantita dalla qualità dei beni pubblici, oltre che dal pagare tutti le tasse, come dovuto). E così via». 

La sua opinione sulla possibilità di formare un governo che possa governare?

«Le elezioni del mese scorso hanno fatto emergere un votocontro che ha penalizzato tutti i partiti-vecchi e fatto emergere nuovi eletti-contro. E’ stato come il referendum del 2011: abrogativo! Non è ciò che di solito si fa nei Paesi normali, ma noi non lo siamo più, un Paese normale, da anni. Da anni dico che, essendo in un mondo globale e con sovranità condivisa con gli altri Paesi Euro, la sovranità rimasta a Roma è poco più di quella che ha, dopo la riforma del 1993, un sindaco. Adeguiamo la Costituzione e quindi la legge elettorale, e decidiamo che i cittadini eleggono il Governo e un Parlamento (una sola Camera basta e avanza) che lo controlla. Esattamente come avviene in una città. Non sono sicuro che ciò avvenga presto, ma sono sicuro che continueremo a perdere tempo - cioè a fare tanti discorsi inutili - finché non ci adegueremo al nuovo mondo». 

Posto che venga formato un governo, quali sarebbero le urgenze che, tra le altre, dovrebbe fronteggiare immediatamente? 

«Il Programma economico c h e d o v re b b e avere il nostro prossimo Governo è stato chiaramente spiegato a Bruxelles al Consiglio Europeo di primavera. E’ ben spiegato nel commento che si può leggere sul sito del nuovo Circolo da me diretto (vedi www.circolorefricerche. it: è per ora aperto a tutti e non riservato ai soli soci). Le conclusioni del Consiglio del 14-15 marzo vanno lette alla luce di quanto sta scritto nel Bollettino della Bce ( non a caso pubblicato il 14 marzo) e della presentazione che Draghi ha fatto al Consiglio Ue (scaricabile anche questo dal sito della Bce). In poche parole, dobbiamo avere come priorità la crescita, soprattutto dell’occupazione giovanile, e per farlo bisogna che il risanamento del bilancio pubblico sia “growthfriendly”, cioè favorisca gli investimenti e non i consumi (il contrario di ciò che facciamo da molti anni!), e che le riforme dei mercati (dei beni e del lavoro) favoriscano competizione e quindi innovazione (altra cosa di cui ci siamo dimenticati da anni). E’ quanto Draghi ha detto nei suoi 6 anni in Via Nazionale (dal 2006 al 2011) e tutti, ripeto tutti, i politici italiani hanno finora ignorato». 

Tra gli altri temi “caldi”, qual è la sua opinione sulla questione del finanziamento pubblico ai partiti? 

La sua abolizione avrebbe sostanziali effetti sull’economia o possiede, sostanzialmente, un valore simbolico? «Il costo dei partiti, quello vero, è dovuto agli interessi che essi servono interferendo nelle decisioni degli eletti, tutte le volte in cui essi decidono cose che interessano ai partiti (cioè agli interessi rappresentati). Ai miei studenti spiego ciò con riferimento alle varianti urbanistiche, ma gli esempi sono infiniti. Agli attuali partiti non dovrebbe andare neanche un euro del contribuente. Ai partiti di cui parla la Costituzione è bene rimborsare quanto spendono per le necessarie campagne elettorali». 

Cosa ne pensa della “soluzione cipriota”, con l’ipotesi inizialmente avanzata del prelievo forzoso sui depositi bancari? E’ vero che non impatterebbe più di tanto sulla vita della gente “reale”, in quanto Cipro è una sorta di “paradiso fiscale”

«Ancora mi domando perché Cipro sia stato accolto nell’ Eurozona, non rispettandone nessuno degli obiettivi. E’ un centro finanziario offshore della finanza globale meno utile alle persone oneste. Abbiamo perso l’occasione per lasciarlo fallire, ma anche qui ci voleva il coraggio di “dire la verità”». Sono fondati i timori che possa trattarsi di una prova generale, magari esportabile? 
«L’Italia-senza-Governo è a rischio di subire (e lo sappiamo da anni) ogni tipo di contagio, qualcosa che per definizione va al di là delle nostre colpe. Mi spiego meglio: è ovvio che siamo meglio della Grecia (come dicevamo tre anni fa), siamo meglio della Spagna (come dicevamo l’anno scorso), siamo meglio di Cipro (come diciamo adesso). Ma i mercati giudicano i fatti e non le chiacchere, e per ora non hanno visto quella determinazione politica che serve per tornare a crescere, che è l’unica ricetta che rende sostenibili i debiti fatti. Quando dimostreremo, con i fatti, che abbiamo capito i nostri errori degli ultimi 15 anni, e vogliamo iniziare a correggerli, saremo trattati meglio. Dopotutto, far sì che torni vero che i figli vivono meglio dei genitori dovrebbe essere una priorità che in tanti capiscono». 


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