venerdì, gennaio 20, 2012

Andrea Morrone, costituzionalista e presidente del Comitato referendario, commenta la bocciatura dei referendum per la modifica della legge elettorale. Alle elezioni voteremo con il “porcellum”?

Siamo di fronte ad una situazione, a dir poco, paradossale. Abbiamo, in Italia, una legge elettorale definita un po’ da tutti “porcellum”, a partire da coloro che l’hanno voluta. Approvata nel 2006, poco prima delle elezioni politiche, ha sostituito il vecchio «Mattarellum» e ha introdotto un sistema proporzionale, con soglie di sbarramento e liste bloccate. In pratica, si vota esclusivamente per il partito. Il risultato elettorale determina il numero di seggi conquistati da ogni forza politica; deputati e senatori vengono abbinati ai seggi conquistati in base alla posizione del loro nome nella lista bloccata (l'elettore non può cioè esprimere una preferenza: questo è forse il punto di maggior “sofferenza”). Per la sola elezione della Camera è previsto anche un premio di maggioranza. Il nome «porcellum» deriva da una dichiarazione dell'allora ministro delle Riforme, il leghista Roberto Calderoli, che in un periodo successivo all'approvazione della legge da lui stesso promossa ebbe a definirla una «porcata». La Corte costituzionale, giorni fa, ha dichiarato l’inammissibilità di due quesiti presentati dal comitato promotore del referendum sulla legge elettorale, su cui erano state raccolte più di un milione di firme: sia quello che chiedeva l'abrogazione totale della legge Calderoli sia quello che ne chiedeva l'abrogazione per parti. Il paradosso è questo: una legge aspramente criticata, in virtù della quale, comunque la si pensi, è innegabile che vi sia una sottrazione di potere decisionale rispetto al corpo elettorale. Votando un partito ed esercitando un mio diritto costituzionale, non posso, nei fatti, scegliere le donne o gli uomini che, in Parlamento, rappresenteranno quel partito e quindi il mio voto. L’art. 48 della nostra Costituzione dice: “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto”. Quanto alla libertà, ci pare che questa legge elettorale ne costituisca una seria ipoteca.
(d.t.)


La notizia del pronunciamento della Corte Costituzionale ha sollevato molte perplessità e delusione. Ne abbiamo parlato con il professor Andrea Morrone, presidente del Comitato referendario, nonché professore ordinario di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Bologna.
Professor Morrone, la Consulta ha bocciato i due referendum da voi proposti sull’abrogazione della legge elettorale vigente, il cosiddetto “porcellum”. Ce ne puòspiegare le motivazioni?
«Difficile dirlo. Bisognerà aspettare di leggere le motivazioni della Consulta. Noi avevamo sottoposto alla Corte Costituzionale una proposta per eliminare il vuoto che consegue a ogni referendum abrogativo. Un vuoto che non può essere mantenuto. La nostra ipotesi era quindi di abrogare la legge Calderoli in modo totale o parziale, ripristinando la normativa previgente, ossia la legge detta “Mattarellum”. Evidentemente la Corte Costituzionale ha deciso che questa non fosse una strada percorribile».
Può spiegarmi la questione del vuoto legislativo?
«Nel 1987 la Corte Costituzionale stabilì delle leggi speciali per abrogare le leggi elettorali: possono essere abrogate solo per sostituzione, ossia deve restare in piedi una legislazione sostitutiva. La novità del nostro referendum era che la nuova normativa non sarebbe stata ricavata dalla legge che si andava abrogando, ma si sarebbe individuata recuperando le vecchie disposizioni. Del resto la legge di Calderoli non disciplina completamente le elezioni di Camera e Senato, ma semplicemente sostituisce la formula elettorale della legge "Mattarellum"».
Quali sono, a suo parere, le criticità maggiori presenti nella cosiddetta legge “porcellum”?
«Nell'indire il referendum siamo partiti con lo slogan: "bisogna restituire lo scettro ai cittadini". Questo già dice tutto. La legge Calderoli ha determinato un'involuzione rispetto al passato: prima il cittadino poteva scegliere coloro che avrebbero composto la maggioranza di Governo, votando i singoli candidati. La legge Calderoli, nel 2005, ha introdotto la proporzionale con preferenza bloccata e premio di maggioranza. Questo sistema complica le cose, perché c'è il rischio che un candidato vinca alla Camera e non al Senato. Ma la cosa più grave è la lista bloccata: gli elettori possono scegliere il partito ma non possono votare i propri rappresentanti; devono invece accettare passivamente tutti i candidati della lista. Così in questi anni abbiamo votato In questo modo si ottiene un Parlamento di nominati ma non di eletti. Molte realtà provinciali non hanno avuto neppure un rappresentante».
Ci può spiegare, in maniera ovviamente schematica, quale sarebbe, a suo parere, un sistema elettorale adeguato al nostro Paese?
«Non esiste un modello ideale. Dobbiamo partire dall'obiettivo che vogliamo perseguire, e da lì costruire le regole che lo rappresentino meglio. Dietro il referendum infatti vi erano degli scopi ben precisi: vogliamo che l'Italia abbia un sistema bipolare in cui i due poli, composti da più partiti, possano alternativamente contendersi il Governo del Paese. Una democrazia nella quale i cittadini possano scegliere i propri rappresentanti e la maggioranza di Governo. Per realizzare questi obiettivi si possono utilizzare i più svariati sistemi elettorali. Questo è il problema, in Italia: ci siamo sempre concentrati più sulla regola che sugli obiettivi. E ognuno vorrebbe che venissero scelte le regole che più gli fanno comodo. Così il terzo polo, ad esempio, vorrebbe il ritorno di un sistema con la presenza di più poli, dove però l'ago della bilancia è spostato sempre verso il centro». 
Dunque il punto di maggior criticità della legge in vigore viene identificato spesso nella impossibilità di esprimere preferenze: l’elettore si trova rappresentato da un deputato in virtù del posto ricoperto da quest’ultimo nella lista, posto deciso a tavolino. Quali sono stati i motivi di questa scelta del legislatore?
«E' stata fatta una scelta politica a favore dei gruppi dirigenti ora presenti in questo Paese. Calderoli doveva tenere insieme le anime del centrodestra. Da un lato Casini, che voleva un sistema proporzionale, dall'altro Fini, che pretendeva le liste bloccate - che in realtà interessavano anche alla Lega, che così poteva utilizzare i candidati delle aree in cui era più forte, senza dover obbligatoriamente esprimere candidati del territorio - e infine Berlusconi, che chiedeva il premio di maggioranza. Ma questa legge fu fatta anche per impedire a Prodi di vincere con il doppio premio elettorale, e quindi impedendo a coalizioni disgiunte come la sua di poter vincere. Al di là di questo, il problema vero della legge Calderoli è che la lista bloccata piace a tutti i dirigenti di partito, di qualsiasi colore politico: in questo modo infatti, possono nominare le proprie persone di fiducia senza farle passare dal giudizio degli elettori. Questa legge elettorale, proprio per questo, ha determinato grandi fratture interne nei partiti, perché accontentando la dirigenza si è estromessa la base dei partiti, impedendo loro di esprimere candidati validi e preparati».
Pensa che questo Parlamento sia in grado di fare una riforma elettorale che dia conto del disagio espresso ormai da moltissimi cittadini?
«Assolutamente no. Non è stato in grado di portare avanti la riforma in tutti questi anni, ho seri dubbi che possa riuscirci ora, tanto più che il premier Mario Monti ha problemi più urgenti a cui dedicarsi. Del resto, se i mercati internazionali non hanno fiducia nel nostro Paese è perché non ritengono la classe dirigente adeguata a far fronte alle difficoltà italiane in Europa. Ma la fiducia manca anche a livello interno: la gente che ha firmato per il referendum ritiene inaffidabile l'intera classe politica, tanto a destra quanto a sinistra. Neppure lo stesso Napolitano si fida dei politici italiani, tanto che ha preferito nominare un docente come Presidente del Consiglio. Gli stessi partiti non sono così convinti di cambiare questa legge: Bossi ha detto che non c'è il tempo per farlo, Berlusconi sostiene che va bene così. Casini e D’Alema asseriscono che prima si devono fare le riforme costituzionali. L'Italia dei Valori rifiuta qualsiasi riforma. Sono convinto che alla fine andremo a votare con la legge Calderoli».

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