Ricordo bene la grande risonanza che ebbe, nel 1973, tutta la vicenda del colpo di stato in Cile. Erano altri tempi, c'era l'internazionalismo. Il golpe fu preceduto da uno sciopero dei camionisti che paralizzò il Paese. Non voglio fare parallelismi, ci mancherebbe, anche perché, qui, di un Allende non c'è traccia. Ma certo colpisce che un gruppo di persone possa ipotecare così la vita quotidiana di un Paese. Avranno le loro ragioni, la crisi li colpisce duro, ma questo vale per tutti. Per rivendicare qualcosa a livello personale o di categoria si fa un gran male a un mucchio di gente. Ognuno ha il diritto di protestare, di scioperare; ma non si può impedire a chi intende lavorare, per necessità o perché semplicemente non è contrario alle scelte del governo, di farlo. Vogliamo cercare insieme un futuro? Questo non è, secondo me, l'atteggiamento giusto. Già, il futuro. Il futuro è seriamente ipotecato. I nostri giovani vivono tra l'assenza di futuro e la carenza di conoscenza del passato. Vivono, dice qualcuno, in un eterno presente. Come i precedenti governi, per i quali l’orizzonte più lontano era la successiva scadenza elettorale. Da un lato, l'assenza di futuro impedisce di progettare e sperimentare; dall’altro, la mancata conoscenza del passato non permette di valutare nel modo giusto le cose. Allora accade che diventi un eroe un onesto e fermo comandante di capitaneria che richiama semplicemente al dovere, non all'eroismo, il comandante della nave Concordia. L'eterno presente che stiamo vivendo è confinato in una dimensione ristretta, ristretta e pericolosa. Dobbiamo avere la forza di continuare a progettare e immaginare un futuro diverso; noi ci stiamo provando. Del resto, anche la grammatica prevede vari tempi di passato e di futuro, ma un solo presente.
Daniele Tamburini
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