di Daniele Tamburini
La Resistenza non deve essere ricordata in modo agiografico: fu un fatto grandioso e complesso, glorioso, doloroso, colmo di eroismi e anche di errori. E' indubbio che la nostra storia repubblicana affondi lì le sue radici. Ma questi 70 anni di storia (e certa cronaca dei nostri giorni) compongono molte domande: quelle radici sono ancora presenti? Cosa resta di quella stagione, cosa è stato "tradito"? Ne abbiamo parlato con il professor Paolo Pezzino, docente ordinario di Storia Contemporanea presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Pisa.
Professor Pezzino,
Calamandrei definì la Resistenza un "monumento". Questo monumento, oggi, ha
ancora fondamenta solide?
"L'antifascismo è indubbiamente uno dei valori
fondanti la nostra convivenza civile, perché i diritti di cittadinanza in questo
paese sono stati l'esito di una lotta combattuta contro un regime totalitario. E
la memoria che ogni 25 aprile celebriamo è quella della sconfitta dall'esercito
della Germania nazista ad opera di quelli alleati, coadiuvati dai partigiani e
dal Corpo italiano di liberazione, è quella di una guerra civile vittoriosa
contro il fascismo, di cui va rivendicata con forza, come italiani, contro ogni
tentativo di sminuirne il valore, la legittimità nazionale e l'orgoglio di
averla combattuta e vinta. E' indubbio, tuttavia, che fra i cittadini,
nell'opinione pubblica, fra i giovani quel monumento sia ormai poco conosciuto,
ricoperto dalla polvere del tempo ed anche, va detto, da una visione
agiografica, retorica, antistorica della resistenza. E i giovani, quando fiutano
la retorica, giustamente si allontanano."
Dalla Resistenza, dalla lotta
contro il regime e l'ideologia fascista e nazista e contro l'occupazione
tedesca, nasce l'Italia repubblicana, con la sua Costituzione democratica. Ora,
la nostra Carta fondamentale ha subito, negli ultimi anni, pressioni, modifiche,
quando non veri e propri attacchi. Perché?
"Dal punto di vista
istituzionale, è indubbio che la nostra Costituzione sia nata dall'antifascismo
e dalla Resistenza. La stessa unità delle forze politiche che la elaborarono e
la approvarono anche quando, si noti, a livello politico ormai quell'unità non
esisteva più, richiama l'unità che si realizzò nei Comitati di Liberazione
Nazionale. Tuttavia l'architettura istituzionale delineata dalla nostra
costituzione è indubbiamente datata: reduci dall'esperienza fascista, i padri
costituzionali vollero un regime nel quale fosse evidente la preminenza del
parlamento (e quindi dei partiti politici che vi erano rappresentati, su base
proporzionale fino alle riforme elettorali più recenti) sull'esecutivo, e nella
quale i Presidente della repubblica avesse un ruolo più che altro simbolico.
Oggi pare evidente che alcune di queste scelte sono incompatibili con la
necessità di sveltire e rafforzare il processo decisionale. Così il
bicameralismo puro, i rapporti fra esecutivo e Camere, lo stesso ruolo del
Presidente della repubblica, molto più dinamico e interventista
nell'interpretazione che ne dà, ad esempio, il Presidente in carica, vengono
rimessi in discussione. Personalmente non ci vedo niente di male, purché i
processi di revisione costituzionale avvengano in maniera equilibrata ed avendo
di mira il funzionamento complessivo del sistema, non interessi di parte o la
volontà di ridimensionare i propri avversari politici."
La Resistenza fu
veramente un fatto di popolo? "
Bisogna intendersi. Non tutti gli
Italiani erano antifascisti e sostennero con entusiasmo e attivamente la
Resistenza: c'erano non pochi fascisti convinti, e molti indifferenti. E
tuttavia, il periodo dall'8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 è stato uno di
quelli nei quali i cittadini, volenti o nolenti, si sono trovati a compiere
scelte "politiche", dalle quali dipendeva non solo la loro sorte personale, ma
anche, in ultima analisi, quella della patria. E i comportamenti che oggi
colleghiamo al termine di resistenza hanno coinvolto ampi strati popolari. Se
proviamo a declinare al plurale la parola “resistenza”, per comprendervi tutta
la varietà di comportamenti e vissuti che il popolo italiano mise in atto nei
mesi dall’armistizio dell’8 settembre 1943 alla liberazione, vedremo che,
accanto alla lotta in armi di decine di migliaia di partigiani e, in minor
misura, partigiane per opporsi all’occupazione tedesca e alla continuazione di
una guerra che aveva perso, se mai l’aveva avuto, qualsiasi carattere patriotico
e si rivelava per quello che veramente era, il frutto avvelenato della dittatura
fascista. Vi furono i gesti e i comportamenti di coloro che si opposero comunque
all’occupazione tedesca e al fascismo, a partire dalle donne, in prima fila
nell’accogliere, proteggere e accudire gli uomini, sempre più ricercati e
braccati in quei mesi, a partire dai soldati sbandati dopo l’8 settembre,
spogliatisi della divisa e rivestiti dalle donne italiane: atteggiamenti,
questi, che le storiche hanno definito "maternage" di massa, riduzione del
danno, manutenzione della vita, invitandoci a non declinare solo al maschile la
“resistenza”. Ricorderemo anche i sacerdoti, rimasti accanto ai loro fedeli in
una situazione di disgregazione delle strutture istituzionali, i quali seppero
opporsi con coraggio, e spesso con la semplice arma dell’abito talare, alla
politica del terrore che investì le loro comunità. Ricorderemo i contadini, che
nutrirono militari alleati, sbandati o fuggiti dai campi di prigionia, e
partigiani, dividendo con loro un pane sempre più scarso anche per le loro
famiglie, e mai denunciandoli a tedeschi e fascisti repubblicani. In questo
quadro di atteggiamenti di consapevole disobbedienza, spesso in nome di un
antifascismo esistenziale e prepolitico, ma comunque sempre pericoloso per chi
lo praticava, troveranno collocazione le centinai di migliaia di soldati
italiani internati, dopo l’8 settembre, nei campi tedeschi, senza che venisse
loro riconosciuta la qualifica di prigionieri di guerra, che in maggioranza si
rifiutarono di barattare la propria libertà con l’adesione al regime di Salò. Se
sommiamo tutti questi comportamenti, vedremo che le "resistenze" di italiane e
italiano furono effettivamente un'esperienza di massa, e non di poche élites
politiche."
Una domanda sui partiti. Ebbero un ruolo fondamentale nella
lotta antifascista e nella nascita dell'Italia libera. Ora, sono sentiti spesso
come corpi estranei e spesso delegittimati da scandali e malversazioni. Che è
successo?
"La "Repubblica dei partiti", come lo storico cattolico
Scoppola ha chiamato la repubblica italiana, è andata in crisi, a partire dagli
anni Ottanta, perché i partiti hanno perso la capacità di programmare il futuro
d'Italia. La crescita del debito pubblico, conseguenza di politiche
assistenziali, clientelari, il consociativismo, che ha unito l'intero arco
politico nella richiesta di benefici per i ceti sociali rappresentati, senza che
si definissi un quadro di compatibilità finanziarie, l'occupazione dello Stato e
della pubblica amministrazione, infine la crisi delle ideologie, che ha colpito
soprattutto comunisti e democristiani, ha ridotto progressivamente il ruolo dei
partiti politici. La società inoltre è cambiata, e i partiti non sono stati in
grado di intercettare le richieste dei nuovi ceti sociali, mentre i tradizionali
(contadini, operai, impiegati pubblici) o declinavano o riducevano comunque il
loro peso. E tuttavia la mediazione politica non può che essere assicurata da
soggetti politici quali i partiti, sia pure in modalità diverse rispetto al
passato. I partiti hanno bisogno di una robusta cura dimagrante, devono ridurre
pretese di egemonia e occupazioni di ogni spazio disponibile, lasciare spazi
autonomi all'amministrazione e agli amministratori della cosa pubblica, una
volta elaborate le scelte politiche di fondo. E recuperare il senso della
politica come "servizio", e non come "privilegio"."
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