venerdì, novembre 25, 2011

Intervista a Fabio Antoldi: "Bisogna stimolare un’imprenditoria innovativa»

Viviamo una crisi che molti economisti definiscono la peggiore da un secolo a questa parte. I problemi sono molti: il debito pubblico, la crisi occupazionale, che ovviamente riduce la capacità di spesa e quindi i margini di mercato, la situazione del credito e, ora, anche l’inflazione, in crescita dopo l’aumento dell’Iva. La crescita, sottolineato preoccupato il professor Antoldi nell’intervista che pubblichiamo, nel 2012 potrebbe essere pari a zero. In questo contesto, è chiaro che la preoccupazione sia forte, anche se non si manca di sottolineare, da parte delle associazioni di categoria e della stessa Camera di Commercio, la presenza di alcuni contesti di segno non del tutto negativo. «Il tessuto economico territoriale si caratterizza per un imprenditorialità legata al fattore produttivo tradizionale, e in particolare al manifatturiero» spiega Fabio Antoldi, docente di strategia e politica aziendale dell'Università Cattolica di Cremona e codirettore del Cersi (Centro di ricerca per lo sviluppo imprenditoriale). «I più grossi contributi arrivano dal metalmeccanico e dall'agroalimentare, parallelamente a una forte crescita del metallurgico. Togliendo quest'ultimo caso, dovuto per lo più allo sviluppo di un gruppo forte e internazionale, le altre due categorie nel territorio cremonese si caratterizzano per un'imprenditorialità mediopiccola e micro, che è quella che maggiormente sta soffrendo». Quali sono i problemi più grandi a cui le aziende vanno incontro?
«Tutte le aziende registrano una riduzione del fatturato, che è per lo più un problema italiano, visto che la piccola e micro impresa si basa sostanzialmente sul mercato interno. Vediamo una riduzione dei volumi, dei prezzi e anche dei margini di guadagno. E' un circolo vizioso che porta alla perdita di lavoro e alla cassa integrazione. Del resto recenti dati della Cisl dimostrano che, solo nel settore meccanico, ben 97 imprese sono in una situazione di crisi, per cui si può ipotizzare che in un prossimo futuro vi saranno altre perdite di lavoro. Partendo da questo dato è immaginabile che anche negli altri comparti potranno esservi problemi simili. Si prospetta dunque un periodo di calo di lavoro e licenziamenti, per un 2012 che sarà l'anno peggiore della crisi. Si ipotizza una crescita pari a zero, senza prospettive di aumento dei volumi di vendita. Una situazione non rosea, che richiede un intervento strutturale dal punto di vista italiano ed europeo».
In che modo si dovrà intervenire? il governo Monti è in grado di dare risposte? 
«Il problema economico è qualcosa di nazionale e globale. Per tale motivo le risposte devono arrivare prima di tutto dal sistema. Bisogna agire sulla fiscalità, sulla burocrazie sulla dimensione di impresa e sulle reti, sull'internazionalizzazione delle imprese, sul trinomio ricerca- sviluppo-innovazione. Gli ingredienti sono noti. Si confida che questo Governo libero dai vincoli dei governi che lo hanno preceduto, possa mettere in campo le riforme necessarie. Innanzitutto bisogna agire sulla riforma fiscale. Servono poi riforme legislative che permettano alle imprese una maggior elasticità e rapidità di movimento. Servono politiche di sostegno all'inserimento dei network di imprese italiane in sistemi internazionali. Bisogna puntare sul sostegno all'innovazione di prodotto e di processo attraverso la ricerca, l'indizione di appositi bandi e una maggior vicinanza tra imprese e università. Tutte azioni già note, ma che non si sono mai messe in pratica».
Si può fare qualcosa a livello locale? 
«Assolutamente: il territorio non può esimersi dall'assumersi le proprie responsabilità. Il motore della ricchezza del territorio sono le persone, che con il loro lavoro portano un contributo notevole. Ma un ruolo determinante lo hanno anche gli imprenditori: a noi manca quel motore imprenditoriale votato alla crescita, con idee giovani, innovative e frizzanti. Il nostro territorio è infatti caratterizzato da un'imprenditoria molto locale, tradizionale e decisamente non giovane. Per questo bisogna reagire, sfruttando la presenza delle università sul territorio. Serve una collaborazione tra privato, enti pubblici, atenei e banche territoriali in odo da favorire lo start up di imprese innovative. Questa è una frontiera su cui, a livello locale, si può lavorare da subito, per far nascere idee e imprese giovani ad elevato contenuto intellettuale, specialmente su settori innovativi: il nostro territorio, ad esempio, è votato all 'agrobusiness, settore in cui l'innovazione è centrale. Altro ambito su cui si può lavorare è l'information e communication tecnology. Insomma, servono aziende capaci di guardare all'internazionalizzazione e alla competitività. Per questo bisogna aiutare i giovani a crescere e diventare imprenditori. Cosa che adesso non accade, anzi: tutti i giovani con grande intelletto e capacità non hanno sbocchi lavorativi a Cremona, spesso sono disoccupati o devono andare altrove, con il risultato di una consistente perdita di cervelli, oltre ad essere il territorio con il più alto tasso di disoccupazione giovanile di tutta la Lombardia».
Cosa si sta muovendo in questa direzione? 
«C'è un progetto in fase di approntamento, che vede coinvolte la Cattolica e il Politecnico. Vogliamo favorire velocemente la nascita di un'imprenditorialità giovanile ad elevato tasso di competenza e propensione alla crescita. L'emergenza attuale è tamponare la perdita di lavoro e garantire una vita dignitosa a chi viene licenziato.>>

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