mercoledì, novembre 02, 2011

Intervista a Carmen Leccardi, professore ordinario di sociologia della cultura alla Bicocca: "E’ precario anche il futuro. Ma i giovani restano la speranza "

La crisi che stiamo vivendo non è solo finanziaria ed economica: anche le dinamiche sociali stanno subendo grandi cambiamenti, modificando in profondità comportamenti ed equilibri consolidati. Ce ne parla Carmen Leccardi, docente ordinario di sociologia della cultura della facoltà di sociologia dell'università Milano Bicocca, e presidente del Comitato per le pari opportunità della facoltà stessa. 
Professoressa Leccardi, da molti anni lei studia i fenomeni culturali e sociali del nostro Paese. Abbiamo vissuto un mese di agosto per molti versi drammatico, ultimo episodio di una situazione di crisi, che è sì mondiale, ma che, nel nostro Paese, assume caratteri peculiari. Puntando l'attenzione solo sul dato economico, si rischia di perdere di vista quanto questo incida in termini di ricaduta sociale. Ce ne vuol parlare?
«Vorrei porre l'attenzione, prima di tutto, sulle modalità attraverso le quali la crisi attuale incide sulla rappresentazione del mondo sociale. La cosa principale che si nota è il venir meno della capacità di percepire il futuro come una risorsa da sfruttare attraverso forme di progetto. La crisi, infatti, toglie ai giovani
il diritto al futuro, ed essi smettono di credervi. Ancora più in generale, si avverte fortemente la precarizzazione dell'esistenza, con un passaggio da un orizzonte temporale ampio a uno più ristretto. In parole povere, oggi è difficilissimo pensare di fare progetti per il futuro, mentre si amplia la tendenza a guardare la vita giorno dopo giorno. Tutto questo rimette in discussione un modo di vivere che da secoli era nel nostro Dna. Soprattutto dal secondo dopoguerra, periodo in cui c'è sempre stata l'idea di una possibilità di ripresa e di crescita. Nella fase in cui ci troviamo ora, invece, diventa chiaro per tutti che bisogna ridefinire il nostro rapporto con il futuro. Tutto questo, naturalmente, ha ricadute su molti aspetti della vita: il modo di prendere decisioni, di organizzare la propria esistenza, di progettare una vacanza o un acquisto».
L’incertezza, quindi, si diffonde anche nella sfera dei rapporti interpersonali…
«Essa tende a rafforzare la solitudine della persona, allontanandola dai legami sociali. Ci si sente più soli e più vulnerabili, e questo porta al rischio di rendere ancora più frammentato il vivere collettivo. Da un lato la crisi ci getta in una condizione comune, che si traduce poi nella chiusura nella propria sfera individuale. Accanto a questo, mentre siamo attaccati da una recessione galoppante senza esserne stati gli artefici, veniamo caricati di istanze sociali per uscire da questa situazione, e questo ci fa sentire il peso della responsabilità. Tutto ciò tende a generare delle forme di depressione in quanto ci si sente responsabili della propria situazione e al contempo diventa difficile riuscire ad individuare responsabilità a carico di terze persone. Dunque la depressione che oggi è tanto diffusa è legata proprio alla responsabilità».
Lei analizza da tempo le forme della società, declinate in particolar modo attraverso i giovani e le donne. Sotto questo aspetto, quali sono le conseguenze della crisi?
«Si creano difficoltà nelle relazioni interfamiliari, e in particolare tra la generazione adulta e quella dei giovani. Perché se da un lato la generazione adulta cerca di aiutare i giovani, dall'altro questi ultimi si sentono sempre più chiusi da questo ambiente familiare, e questo li porta ad isolarsi ancora di più dal resto del mondo, chiudendosi tra le mura domestiche. Tutto questo, in assenza di un nuovo "patto tra generazioni", porta al crearsi di situazioni difficili per i giovani, a cui manca la libertà di allontanarsi dal nucleo familiare, da un lato per l'assenza di risorse economiche, dall'altro per il venir meno della fiducia verso il futuro. Le cifre della disoccupazione appaiono spaventose ai giovani d'oggi, e questo finisce per mettere in forse tutte le generazioni future, in quanto non si vede una prospettiva di cambiamento che possa dare speranza a quei ragazzi che tra qualche anno formeranno la generazione dei giovani. Giovani che sono cresciuti circondati da un costante benessere, e che da sempre sono abituati a vivere una situazione di crescente aspettative. Ora questa inversione di tendenza rende necessaria una riconversione di tali aspettative, e questo non vale solo per i giovani, ma per tutti. Le nuove generazioni subiscono poi anche una ricaduta strutturale: la riduzione costante degli investimenti sta ricadendo pesantemente sull'istruzione, e la generazione degli attuali giovanissimi sarà quella che maggiormente ne risentirà: viene meno, infatti, l'unica vera risorsa che avrebbe potuto portare a un cambiamento».
E le donne?
«In questo quadro complessivo, la capacità di tenere insieme i tempi di lavoro, famiglia e vita privata diventa sempre più difficile per le donne, che tendono ad essere i soggetti che maggiormente devono pagare i costi più alti, anche dal punto di vista psicologico. Esse finiscono infatti per metabolizzare i meccanismi di conciliazione forzosa, sentendoli come proprie responsabilità. Da un lato si avverte la consapevolezza delle maggiori pari opportunità conquistate negli anni, dall'altro bisogna fare i conti con la realtà: l'impossibilità di definire un nuovo "contratto di genere" tra uomo e donna porta quest'ultima a portare sulle proprie spalle tutte le responsabilità». 
Si parla molto della necessità di difendere le famiglie, ma questa situazione incide
molto anche sulle dinamiche familiare.
«Le ricadute sono notevoli: per il genitore diventa difficile aiutare il figlio ad acquistare una casa, ad accendere un mutuo, a mantenerlo agli studi per lungo tempo... questo porta a una crescita delle disuguaglianze, e di conseguenza all'incremento dell'aggressività sociale». 
Prevale, tra le persone, l'incertezza, quando non la paura. La paura è un sentimento che blocca, mentre invece ci sarebbe un gran bisogno di movimento. Dovrebbero circolare iniziativa, idee, anche denaro, ma non solo. Secondo lei, come possiamo riacquistare fiducia?
«Avendo fatto, negli ultimi anni, numerose ricerche con i giovani, posso dire di aver trovato tra loro molte risorse, che permettono di accostarsi a questa crisi in maniera creativa, con l'intenzione di costruire progetti che riescano a soddisfare il loro bisogno di costruirsi un avvenire. Dunque si osserva una crescita in positivo
della capacità di rispondere alla precarizzazione dell'esistenza di cui parlavamo prima, cercando di sfruttare la situazione in maniera positiva. I giovani si abituano a cogliere al volo le occasioni, e imparano a dare progetti che siano reversibili. Dunque non ritengo vero che la paura stia bloccando le reazioni alla crisi. Anzi. Da parte dei giovani vediamo delle reazioni, che vanno valorizzate. Altra cosa importante è che si individuano nuove strategie di azione, e sono proprio i giovani ad essere portatori di queste capacità, specialmente dove si assiste a forme collettive di azione, che rappresentano una risposta forte a questa situazione. Lo dimostrano anche le mobilitazioni dei giovani stessi, che lo scorso autunno sono scesi in piazza, affermando con forza la loro opinione. Lo stesso è stato per le donne. E' su queste categorie che oggi bisogna scommettere, perché possono portare gli antidoti a questa forte crisi. Antidoti che possono diventare efficaci se si impara a guardare agli stessi con fiducia e a riconoscerli come tali. E' anche per questo che l'opinione pubblica deve dare il più possibile risalto e visibilità a questi fenomeni. Perché oggi sono questi la nostra unica speranza».

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