sabato, novembre 27, 2010

Il sindaco Perri promosso, ma non a pieni voti

Governare non è uno scherzo, né una passeggiata, soprattutto, quando si governa dopo un cambiamento di rotta che giustamente genera molte aspettative. Ma, nei fatti, ricette miracolistiche, specie di questi tempi, non ce l’ha nessuno. Mutatis mutandis, è un po’ ciò che sta succedendo, certamente non in misura eclatante, alla giunta Perri. Personalmente il sindaco gode ancora della stima e della fiducia di molti cremonesi. Qualche settimana fa ha dichiarato al nostro Fabio Varesi, contento che finalmente qualcuno lo stesse intervistando su argomenti diversi rispetto alla politica, che finito il mandato vuole tornare ad occuparsi di sport e di giovani atleti. Per quanto riguarda la sua giunta, nel complesso, emergono, dalle interviste pubblicate questa settimana, giudizi e valutazioni contrastanti. C’è una certa insoddisfazione rispetto alla gestione degli aspetti che il cittadino coglie in maniera più evidente: la manutenzione delle strade, l’arredo urbano, il traffico, i parcheggi. E poi il lavoro, l’occupazione, grandi punti dolenti. Ma, di converso, si riconosce a Perri, ed anche ai suoi assessori, una grande disponibilità all’ascolto, una vicinanza reale, non solo annunciata; oltre al merito della risoluzione di Piazza Marconi, per prima cosa. Gli intervistati insistono molto sulla capacità comunicativa del sindaco: grande dote, oggi, una caratteristica strutturale, con cui chiunque voglia fare politica e amministrare deve fare i conti. Chi sa comunicare sa condividere, sa coinvolgere, sa fare sistema. Nelle pagine speciali dedicate all'economia, abbiamo intervistato, riguardo alla situazione del nostro territorio in tempo di crisi ed alle possibili risposte, le principali associazioni: dell’industria, del commercio, dell’artigianato ed i sindacati. Con valutazioni diverse, emerge tuttavia da tutti gli interventi il bisogno di coesione, di fare sistema, di unire le forze. Da soli non ci si fa, è il messaggio comune: non ce la fa il piccolo negozio, non ce la fa il lavoratore, non ce la fa l’agricoltore, non ce la fa l’impresa. È un messaggio importante per tutti, comprese le amministrazioni locali, che, per essere davvero in sintonia con gli amministrati, dovrebbero raccoglierloe porlo in opera. Da soli non ci si fa.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 20, 2010

Facciamo presto che è tardi

Con una metafora un po’ ardita, il consigliere comunale Daniele Soregaroli ha sintetizzato così quel che resterebbe della Tamoil, una volta deciso il piano di chiusura della raffineria: “un osso puzzolente”. In realtà, la vicenda in primo luogo dimostra quanto sia difficile governare scelte di sviluppo economico e produttivo coniugando la salvaguardia della salute delle persone, il rispetto per l’ambiente e il mantenimento dell’occupazione. Una cosa pare certa: la difficoltà del comparto raffinerie, che non riguarda solo la Tamoil della nostra città, è dovuta alla crisi economica, che ha fortemente contratto i consumi, ad una congiuntura internazionale molto complessa collegata al mercato dell’energia, ma anche al fatto che, in passato, non sono stati fatti, evidentemente, gli investimenti che sarebbero stati necessari alla loro modernizzazione. Una miopia generale. È anche certa la presenza di inquinamento da idrocarburi, che provoca da tempo una forte preoccupazione in città. La storia si ripete, e scoppiano e contraddizioni tra chi reclama il sacrosanto diritto al lavoro, e chi si preoccupa, in modo altrettanto sacrosanto, della tutela della salute. Nel giornale pubblichiamo una lettera, semplice, disperata e toccante, della moglie di un lavoratore della raffineria. Oggi, l’emergenza è questa, e a questo bisogna dare risposta. Se le contraddizioni e i problemi a cui abbiamo accennato, e che, anche in passato, abbiamo messo in luce sono reali, tuttavia oggi è prioritario salvaguardare il lavoro e la dignità dei lavoratori e delle famiglie. Adesso è davvero il turno delle istituzioni. Il presidente della Provincia Massimiliano Salini fa autocritica, trasmette il senso d’impotenza suo e dell’amministrazione e chiama in causa il Consiglio dei Ministri. Che la Tamoil vada pure a quel Paese, ma deve bonificare e i lavoratori vanno ricollocati. Non c’è tempo da perdere. A Roma c’è un governo che dovrebbe consentire, agli amministratori ed alle forze politiche del nostro territorio, di farsi ascoltare a voce alta e piena. C’è anche un premier che, io credo, dovrebbe avanzare qualche credito nei confronti della Libia. O no?

Daniele Tamburini

domenica, novembre 14, 2010

Quant’è bella giovinezza…

Probabilmente sollecitati ad un nuovo protagonismo dalla riforma della scuola e dell’università, targata Gelmini, i giovani sono tornati ad essere un soggetto che cerca di farsi ascoltare e pesare, nelle scelte politiche e di governo. Non crediamo che ne avessero perso la voglia: il fatto è che, come emerge anche dall'inchiesta che abbiamo condotto in alcune scuole cremonesi, è difficile, per loro, farsi spazio, e anche solo farsi sentire. Grande demerito di una società bloccata, e di una classe politica molto più centrata sul presente che sul futuro. Eppure, le sfide che aspettano il nostro Paese e tutta l’Europa sono enormi, e sono sfide globali: rendere compatibili ripresa e profitto con il welfare, coniugare la solidarietà sociale con un alto tasso di competitività. Robert Schuman, storico ministro francese, uno dei padri dell’Europa, parlava della necessità di fare, in momenti difficili, “sforzi creativi”. Anche per questo servono i giovani. Il genio è saggezza e gioventù, ha detto un poeta. I giovani hanno bisogno che gli si creino opportunità, che gli venga dato spazio e modo di esprimersi. Non corsie privilegiate, non raccomandazioni, non carità pelosa. Emerge anche questo, dai nostri ragazzi cremonesi: basta con “i soliti noti”, le raccomandazioni, il giro di poltrone. La profonda insoddisfazione che esprimono per la condizione presente è il terreno in cui si può radicare il principio speranza: diamo loro attenzione, spazio, fiducia. Alcuni di loro saranno la classe dirigente di domani. Se questa Terra è l’unica che abbiamo, questi giovani sono l’unico futuro che abbiamo.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 06, 2010

Di questi tempi meglio non chinarsi

Non voglio parlare del bunga-bunga. Anche se, cliccando su Internet, c’è la possibilità di vedere quasi 18.000.000 di risultati. Ma non usa certo questa espressione il governatore di Bankitalia Draghi quando parla di economia italiana, tasso di disoccupazione ecc., e non basta che il ministro Sacconi tratti da ignorante una giornalista che gli ha chiesto conto di quell’11% di disoccupazione denunciatdallo stesso Draghi, per cancellare il dato. L’Italia ha accumulato troppo ritardo dice il professore Mario Monti. Emma Marcegaglia fa sapere che il Paese è in preda alla paralisi e che non c’è alcuna iniziativa del Governo, in un momento difficilissimo dell’economia, invitando la politica “riprendere il senso delle istituzioni”. Il presidente di Confindustria non vuole le elezioni anticipate, ma chiede serietà  che si facciano le cose per il Paese. Ci vogliono riforme, per la crescita e l’occupazione. Si sa, in un momento così difficile per un Paese, le elezioni anticipate non sono certo una medicina. Ma la nostra sensazione è che Berlusconi, ormai, si sia davvero incartato, prima con il Lodo Alfano poi in una sequenza di dichiarazioni che, piuttosto che calmare acque agitate da molti marosi, sembrano soffiarvi sopra. L’uomo sembra messo in un angolo: qualcuno dei suoi si distingue, Fini si defila, e Bossi? C’è da fidarsi di Bossi? Se il Senatur soltanto accennasse all’ipotesi di governi diversi, a quel punto, immagino che assisteremmo ad un fuggi fuggi e “tutti a casa”. Intanto la nave Italia, per ora, lotta contro le onde. Lo hanno riconosciuto anche in Europa, la vocazione al risparmio e un certo sano rifiuto del gigantismo hanno evitato al vascello, se non altro, di andare a fondo. Ma non basta più. Lo abbiamo scritto altre volte: servirebbero coesione e unità di intenti, non per essere tutti d’accordo, che non è possibile, ma per trovare soluzioni condivise, per fare, appunto, cose per il Paese. Non ho parlato di bunga-bunga, lo avevo promesso.
P.S. Ragazzi, leggete i giornali e fatevi una opinione tutta vostra.


Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 29, 2010

Il Paese, i giovani, il futuro.

Sta aumentando l’allarme per lo stato delle Università: molti corsi sono a rischio, altri subiscono forti ritardi, ovunque crescono le preoccupazioni, di rettori, docenti, ricercatori e studenti, rispetto ad una realtà che dovrebbe costituire un ganglio fondamentale per le prospettive di sviluppo del Paese. Gli errori compiuti nei confronti dell’Università sono di lunga data e, quindi, difficilmente ascrivibili ad uno schieramento politico, piuttosto che ad un altro. Sta di fatto che la palestra in cui dovrebbero maturare le eccellenze del Paese cade a pezzi, e l’intervento di un buon carpentiere sembra assai lontano. C’è, a mio parere, una sostanziale incapacità del sistema Italia di includere e far “fruttare”, fin dal momento della semina e della germinazione, le forze migliori che abbiamo. E le migliori “teste” continuano a fuggire. Anche questo governo ha fallito, e anche questo governo, ancor più dei precedenti, non ritiene che aiutare la “ricerca” possa essere un investimento per il futuro. Un paese che non investe nell’istruzione, nella ricerca e sui giovani è un paese dal futuro incerto. Già oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. C’è chi si arrocca, e chi preme per conquistare la fortezza. Riprendono piede rivolte di popolo a cui non eravamo più abituati: ne sono un esempio la Francia, la Germania, ma avvengono anche qui da noi, in Campania per la discarica e in Sardegna, con la protesta dei pastori. Non è un buon segnale. Sarebbe meglio ascoltare la gente e trovare soluzioni - non solo per affrontare l’emergenza, ma dare una prospettiva al futuro - piuttosto che trattare quei problemi come se fossero solo di ordine pubblico. Chi scende in piazza per protestare non lo fa per divertimento.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 23, 2010

In perenne conflitto

Voglio porvi, per gioco, qualche domanda: quante sono le leggi vigenti oggi in Italia? Se si mettono insieme leggi statali, regionali, regolamenti ecc., si arriva a circa 200.000 (secondo una ricerca condotta pochi anni fa. Ma il bello è che esiste una legge anche per istituire una commissione bicamerale ad hoc per lo sfoltimento delle leggi!). Quanti deputati e senatori abbiamo? 645, senza contare i senatori a vita. Un apparato enorme, una squadra numerosissima al servizio del Paese, una produzione notevole di norme. Eppure, tutto questo non basta; e anzi, il cittadino comune ha una percezione assai diversa, ormai, dell’utilità di questa macchina. Paradossalmente, al contrario di quanto accade in altri campi, la TV non ha favorito il processo di riconoscimento, se proprio non vogliamo parlare di identificazione, con la classe politica. Certo non aiuta il tono di certi confronti. A differenza di altri paesi, in Italia, il confronto pubblico quasi mai si traduce in civile protesta, ma in scontro tra nemici: alle Camere, nei dibattiti televisivi ma anche al bar e alla guida delle auto. Un conflitto costante, da stadio, come se fossimo sempre in campagna elettorale. Ho osservato con ammirazione, nei giorni scorsi, il recupero dei 33 minatori cileni intrappolati per più di due mesi in una miniera. Quel Paese ha dato prova di una grande determinazione, ma anche di una grande unità: si è stretto intorno a quegli uomini, con orgoglio e con affetto. Eppure, il Cile ha vissuto una storia recente di spaccature profonde, sociali, politiche ed economiche: con la dittatura e, poi, il ritorno alla democrazia. Circola sul web una storiella: se fosse successo in Italia? “già al 3° giorno le prime difficoltà e quindi la ricerca dei colpevoli e delle responsabilità; Berlusconi: colpa dei comunisti; Di Pietro: colpa del conflitto d'interessi; Bersani: ... ma cosa è successo? Bossi: sono tutti terroni, lasciateli là; Capezzone: non è una tragedia è una grande opportunità ed è merito di questo governo e di questo premier; Fini: mio cognato non c'entra”. E’ solo una storiella, ma rende l’idea.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 16, 2010

Italia - Serbia: Stupore, rabbia e brutte figure

Non si tratta di fare il solito discorso, un po’ trito, sulla violenza nello sport, da condannare, da reprimere, ma anche da interpretare. Lo spettacolo pauroso andato in scena lo scorso martedì allo stadio Ferraris di Genova, in occasione della partita tra Serbia e Italia, va più in là. Si può senz’altro discutere in termini sociologici e di costume il fatto che gli stadi siano diventati le nuove arene, in cui sfogare ribellioni e violenza repressa. Si può discutere anche dell’uso, assolutamente poco adatto alle circostanze, ma diffuso, di simbologie o gesti che richiamano ad appartenenze politiche; ma ciò che è successo martedì va oltre. Si va allo stadio, anzi si dovrebbe andare allo stadio per assistere alla partita, per condividere gioia e passione sportiva. Abbiamo assistito ad un’orda di figuri come quello rimasto immortalato in una foto, incappucciato, il braccio teso, maglietta con i simboli nazionalisti, che hanno sfidato, provocato, irriso, devastato, assaltato, lanciato fumogeni. Figli delle tigri di Arkan, il massacratore della guerra dei Balcani, qualcuno ha detto. Epigoni della peggior violenza che si sia scatenata in Europa nel secondo dopoguerra. Sono ultranazionalisti, hanno in mente la Grande Serbia, non vogliono l’indipendenza del Kossovo. Non voglio che il loro paese entri nella comunità europea e forse, per questo, sono stati assoldati da chi non ha convenienza che ciò accada. Ha detto Prandelli: “poteva essere una tragedia”. Erano presenti anche un migliaio di bambini delle scuole calcio: che ricordo ne avranno? Il calcio, la società, la politica non possono permettere che chi va allo stadio viva nella paura di una tragedia annunciata. A che servono tornelli, gabbie, tessera del tifoso, forze dell’ordine schierate e sempre a rischio, la massa di denaro pubblico che tutto questo ci costa, se poi, in uno stadio, un martedì sera, può accadere quel che noi, allibiti e pieni di rabbia, abbiamo visto? Se centinaia di teppisti hanno potuto portare dentro bombe carta, fumogeni, petardi, razzi, coltelli e tronchesi? Di chi la responsabilità? Non certo della polizia che si è comportata responsabilmente, evitando il peggio.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 09, 2010

Perchè la Germania è in forte ripresa?

Qualche giorno fa, con un imprenditore di San Daniele Po, discutevamo, presso la sua azienda che profuma di aceto, di economia e di prospettive future: come va? E soprattutto come andrà nei prossimi anni? Mi raccontava di aver partecipato ad un convegno, in America Latina, sulle prospettive economiche dei vari paesi nei mercati globalizzati. Analisi,trend e stime poco confortantiper i paesi europei e per il nostro in particolare. Forse con una eccezione: la Germania. Così mi diceva. “Sa perché la Germania ha ripreso a correre? Perche là sono capaci, tutti insieme, di rimboccarsi le maniche, di lavorare sodo e certi parassitismi, le caste in genere, non sono tollerati”.In effetti, leggo che il trend di crescita di quel paese è tre volte il nostro. E’ accaduto che, dopo la crisi derivata dalla riunificazione delle due Germanie, Est e Ovest, le grandi imprese tedesche hanno riorganizzato la loro produzione, delocalizzandola in modo massiccio e frammentandola a livello internazionale. Hanno maturato un modello di sviluppo che per effetto del profondo processo di ristrutturazione realizzato dalle imprese e dal sistema produttivo ha riportato il paese ad essere competitivo sui mercati internazionali, in particolare verso l’Asia. E’ un sistema, quello tedesco, in cui esiste una vera economia sociale di mercato, in cui il welfare, storicamente più forte ed equilibrato del nostro, è stato riformato, ridimensionando le spese di assistenza ma rafforzando le politiche attive del lavoro, della formazione e della ricerca. Si riconosce il ruolo del sindacato come attore fondamentale di un sistema in cui è impegno comune delle parti sociali migliorare la competitività dell’impresa e condividerne i risultati: da qui, il legame fra salari e produttività. Tutto un altro mondo, lontano dalle nostre miserie. La sono crucchi, ma a noi le cricche. Che dire? Merito della politica e del loro primoministro? Non c’è mai stata una donna premier, in Italia: cloniamo la Merkel?

Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 01, 2010

L’anatra zoppa

C'è aria di bonaccia. il Governo ha ottenuto la fiducia in Parlamento, con un buon margine. Quindi, tutto normale. Almeno così sembrerebbe. Chi, come me, viene dal mare, sa che c’è quiete dopo la tempesta, ma che i venti fan presto a riportare cattivo tempo. E infatti l’equilibrio su cui si basa oggi il Presidente del Consiglio è delicatissimo. Il dibattito politico si accentra sul durissimo scontro con Fini ormai dalla scorsa estate, ed i finiani adesso risultano decisivi. A me sembra che, nel dibattito di mercoledì, Berlusconi, più che parlare al Paese, abbia parlato al Parlamento: piuttosto inconsueto per uno come lui, che ha sempre fatto un punto di forza, e anzi un vanto, della sua capacità di rapportarsi direttamente alla gente, fuori dai vincoli del bon ton istituzionale e dal politichese. Lui, il leader eletto dal popolo, è ora soggetto a verifica. Si apre una stagione in cui dovrà fare attenzione ad assetti, equilibri, bilanciamenti e – forse - manuale Cencelli. Riuscirà a stare in questi panni, per lui poco comodi? Dovrà diventare un capo di governo che discute: non potrà imporre il decreto contro le intercettazioni senza discutere con la Bongiorno, non potrà non preoccuparsi del sud, perché la Sicilia dell’Mpa di Raffaele Lombardo è diventata un laboratorio politico per lui poco gestibile, e anche i voti dell’Mpa sono molto importanti. Dovrà controllare Bossi, che non ha digerito il punto programmatico sul sud, dovrà tornare in Parlamento, centellinare, mediare … tutto contro la sua indole. Secondo voi, per come conosciamo il Cavaliere, tutto questo sarà possibile? Negli Stati Uniti, un uomo politico che, occupando una carica importante, tuttavia non sia in condizione di esercitarne appieno il relativo potere, viene definito un’ ”anatra zoppa”. Non credo che Berlusconi accetterà a lungo questa condizione.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 25, 2010

Non siamo un Paese normale

Un vecchio film di Hitchcock si intitolava "L’ombra del dubbio". Il dubbio, proprio come la calunnia, è un venticello che si insinua, e, appunto, lascia ombre. Era un punto d’onore dei vecchi gentiluomini fugare ogni ombra di dubbio sul proprio comportamento. A che pro, quindi, la maggioranza di governo ha votato contro l’utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste che riguardano l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di contiguità con ambienti camorristici? Tanto più che lo stesso Cosentino aveva dichiarato che il contenuto delle intercettazioni era irrilevante. Nel suo stesso interesse, per ribadire la sua estraneità, non sarebbe stato meglio consentire al loro utilizzo? Lo abbiamo scritto altre volte: c’è una grande necessità di ricostruire la fiducia nella cosa pubblica, in chi ci amministra e ci governa. Invece, così facendo, si alimenta la convinzione che davvero ci sia una "casta", per non dire una "cricca", che si fa le regole e se le gestisce. La stessa "casta" contro cui dovrebbe lottare in prima persona la Lega. Il ministro dell’interno Maroni sa bene quanto sia importante, per lo sviluppo del Paese, la lotta al crimine organizzato: non sarebbe fondamentale agire perché chi ci governa appaia, appunto senza ombra di dubbio, implicato in certe faccende? Ma forse, oggi, è pretendere troppo. Forse abbiamo assistito ad una sorta di conta: governo si, governo no, quanti i mie, quanti i tuoi … E forse alla maggioranza degli italiani, impegnati a risolvere la quotidianità, questo importa davvero poco. Cercano di barcamenarsi, sperano che le cose possano cambiare, lavorano e si impegnano. E, magari, sono più attratti dal Superenalotto.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 11, 2010

Fare il sindaco può essere divertente

Fare il sindaco è un mestiere sempre più difficile. Soprattutto per chi, in campagna elettorale, si è presentato come personaggio "super partes" e fuori delle logiche di partito. Perché la politica - una materia da sempre esplosiva - ogni volta che viene spedita fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Ne sa qualcosa il sindaco di Crema, Bruno Bruttomesso, che ormai ha un scarso potere contratuale nei confronti degli uomini forti della sua giunta. Oreste Perri comincia oggi a rendersi conto di che cosa è la politica. Quella vera. Sotterranea. Innanzitutto le alleanze: possono rompersi e ricomporsi da un momento all'altro. Si diceva, per esempio, che Gianni Rossoni, il vero leader del Pdl nel Cremonese, e Massimiliano Salini, l'uomo di Formigoni nella nostra provincia, formassero un tandem indistruttibile; oggi neanche più si parlano. Anche a livello di associazioni di categoria, i politici che un tempo erano considerati nemici per la pelle, oggi sono diventati alleati. Alleanze, interessi e progetti mutano alla velocità della luce. Per un sindaco, che si dichiara fuori dai giochi della politica e del business, riuscire a star dietro, indovinare e intercettare i cambiamenti repentini diventa un'impresa ciclopica. E' meglio che lasci perdere perché in politica c'è gente che sa come e quando giocare le carte. E sanno giocare pesante. Ma i primi cittadini, mentre il mondo intorno a loro si muove vorticosamente, possono starsene fermi. A ragionare. Fidandosi solo del loro fiuto e del buon senso. Senza lasciarsi trascinare nella bagarre. Perché hanno un potere che altri non hanno: quello delle dimissioni. Che cosa ha da perdere un sindaco che fra qualche anno si ritirerà a vita privata senza rendere conto di niente, a nessuno? Niente. Può tenere tutti con il fiato sospeso minacciando di dimettersi. Basta questo spaurachio per far saltare qualsiasi banco o andare a vedere qualsiasi bluff. Perri a Cremona e Bruttomesso a Crema, scelti proprio perché non contaminati dalla politica, hanno un'arma atomica in mano. Perché non minaccino di usarla risulta incomprensibile alla gente comune. Dalla quale provengono.

sabato, settembre 04, 2010

Rimbocchiamoci le maniche

Ricordo che mio padre mi diceva spesso, forse più spesso di quel che avrei desiderato: “Studia, impara, impegnati, che così avrai un futuro miglioredel mio!”. Era l’Italia dei primi anni ’60. Uscito dalle devastazioni della guerra, il Paese era un crogiuolo di lavoro, di idee, di cambiamenti politici, economici, culturali profondi e, per certi versi, sconvolgenti. Si lavorava moltissimo: c’era mobilità sociale e territoriale; l’emigrazione interna, dal sud al nord, cambiava radicalmente paesaggi urbani, territori, usi e abitudini. Oggi, forse, la nostalgia non è più quella di un tempo, ma rimane forte il ricordo di un Paese in cammino, pur se lungo un percorso disordinato, spesso incoerente, una camminata magari zoppa. Il “made in Italy” divenne un brand di successo in tutto il mondo. Poi le battute d’arresto, il declino, per motivi che sarebbe troppo lungo elencare: crisi strutturali, crisi di congiuntura, le difficoltà della politica e delle istituzioni, chi voleva la Milano da bere e poi se l’è bevuta tutta, i mercati, le speculazioni, la bolla finanziaria etc. In un recente articolo, molto bello, Beppe Severgnini ha scritto su Il Corriere: “Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai”. Ecco, il punto è tutto qui: non accettare fatalisticamente questo stato di cose. Dobbiamo pretendere futuro, costruire futuro. Aprirci a nuove possibilità, aprirci al mondo, non rinchiuderci – anche se, a volte, la tentazione sarebbe forte – dietro muri o dentro bunker. Tutti i muri sono destinati, prima o poi, a crollare o a essere scavalcati: dal Vallo di Adriano al Muro di Berlino. Ho letto che qualcuno, anche qui in Italia, si sta facendo costruire bunker per sopravvivere alla fine del mondo annunciata dal popolo Maya per il dicembre del 2012. E’ un sintomo di paure profonde, ma dobbiamo convincerci che la vera linea di resistenza sta in noi stessi, nelle nostre capacità, nel nostro lavoro.
Rimbocchiamoci le maniche.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 27, 2010

Ecco settembre

Avete fatto caso che, ormai, il nostro tempo sociale, e anche quello privato, non sono più scanditi dall’anno solare, ma vanno da settembre all’agosto successivo, in una sorta di anno scolastico? Siamo quasi tutti rientrati dalle ferie e si ricomincia. Qualche tempo fa, un periodico tedesco ha compiuto un’analisi spassionata della situazione italiana, rilevando, tra le altre cose, che il “caso” italiano è una continua emergenza che, apparentemente, non sfocia mai in tragedia. L’ingresso nell’eurozona fu gestito attuando, per anni, una rigorosa disciplina di bilancio, unitamente al rigido risparmio: questa politica ha avviato la pluriennale fase del “declino”, perché l’allora riacquistata solidità della politica fiscale significò infatti anche rinuncia alla prosperità derivante dallo sviluppo economico. Ma non c’era alternativa. Insomma, la morale potrebbe essere: meno si sale, meno la caduta sarà dolorosa. È una possibile interpretazione: una “stabile depressione”. Ma la depressione può essere una malattia mortale, specie quando viene accentuata da una continua incertezza che riduce fortemente la voglia di investire. Fuor di metafora, la crisi politico-istituzionale di questo agosto rischia di avere effetti pesanti. In molti gridano: “al voto, al voto”, seppur poco convinti e pronti a far marcia indietro. Mi domando se davvero possa essere una soluzione tornare alle urne con questo sistema elettorale, che non solo “nomina”, e non elegge, i parlamentari, ma che ha dimostrato, nessuno lo può negare, di non favorire in alcun modo la governabilità. Il guaio è che una proposta seria su una nuova legge elettorale necessiterebbe di una lettura precisa della fase politica: per esempio, una lettura e un giudizio oggettivo sul bipolarismo. Un “sistema” che ha evidenziato forti lacune e una fragilità connaturata, quasi inevitabile. Occorrerebbero soluzioni di sistema, non soluzioni estemporanee. Il Paese ha grande bisogno di questo, e poco di ulteriori pettegolezzi, di risse e di inutili cortigiani.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 06, 2010

E’ in un momento come questo che…

Quello che sta accadendo nel Pdl è un vero e proprio terremoto politico del quale è difficile, per ora, saper valutare appieno le conseguenze, sia politiche che istituzionali. È certo che la situazione richiederebbe un forte senso di responsabilità, ma, al momento, sembra prevalere, come preoccupazione maggiore, la “convenienza” dei partiti di andare o meno a elezioni anticipate. Il Paese avrebbe bisogno di ben altro. Anche i vescovi raccomandano di non usare arroganza, dando un giudizio davvero impietoso sulla attuale classe dirigente. Intanto il grande mondo va avanti, ed è proprio in un momento come questo, in cui si intravede in lontananza un barlume di ripresa, che occorrerebbe una classe politica capace di aiutarci ad uscire dal guado (per non dire di peggio). Una cosa è certa: ci sono molte questioni su cui, se i cittadini trovassero unità, parole e azioni comuni, potrebbero intervenire con forza, decisione, incisività. Ma il potere è bravo a tenerci separati, polemici e deboli. Divide et impera. Si respira una sorta di minorità, nell’opinione pubblica, stremata, forse, da un’incertezza ormai patologica nel nostro sistema. Contro cui, ognuno reagisce come può: chi non ha strumenti di censo e di status se la passa male, ma anche chi è in una posizione di privilegio comincia a rendersi conto che se non si favorisce la domanda interna, se non si rafforza il potere d’acquisto delle famiglie finisce male per tutti. E, invece, in molte situazioni prevalgono i posizionamenti ed i favori delle caste. E il maggior difetto di una casta, forse, è la chiusura in se stessa, che protegge ma non fa cogliere opportunità. È la nostra storia recente? Opportunità non colte, strade promettenti non percorse. Care lettrici e cari lettori, è l’ultimo numero prima delle vacanze, e avremmo certo voluto usare toni più ottimisti, ma “così è (se vi pare)” come dice Pirandello. Speriamo di tornare più fortificati dal meritato riposo e che la situazione possa migliorare. Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 31, 2010

Vacanze

Sono uno che preferisce la montagna, ma, quest’anno, mi sono fatto convincere a trascorrere qualche giorno al mare. Spiaggia, sole, onde … finalmente un po’ di relax, per sfuggire alle preoccupazioni quotidiane, almeno per un breve periodo. Un modo per illudersi di averle dimenticate? Come il titolo di un vecchio giallo di Agatha Christie: corpi al sole. Apparentemente immemori, abbandonati. Le ragazze ed i ragazzi corrono felici, si spruzzano, si corteggiano: hanno finito la scuola, oppure hanno lasciato un lavoro – probabilmente, un lavoretto. Chissà se pensano, e in quali termini, al loro futuro? Quali sogni avranno, quali desideri. Ma ci sarà tempo per le riflessioni un po’ più cupe, ora siamo qua, a goderci la vacanza. A dar retta alle analisi ed alle previsioni, avremmo dovuto tutti nasconderci in un buco nel terreno ad aspettare che la tempesta passasse. Invece siamo qui, perché la vita prevale, e la speranza pure. L’estate segna una sorta di spartiacque dell’anno: è al dopo estate che rimandiamo i buoni propositi: “mi metterò a dieta, a settembre palestra tutti i giorni, lavorerò a quel progetto…”. E ne traiamo nuova linfa, nuova vitalità, una piccola forza che cresce nuova dentro di noi. Nutrita dal sole, dall’aria, dai ritmi più rilassati. Noi, che abbiamo alle spalle diverse estati, ci godiamo la vacanza come una tregua, senza troppe aspettative. Loro, le ragazze ed i ragazzi, aspettano invece qualcosa, qualcosa che somigli alla felicità, qualcosa che sia la felicità. Che bello vedere giovaniche ridono: sono contagiosi.
Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 24, 2010

Una buona notizia

E' una notizia importante: secondo dati forniti da Confartigianato, la copertura energetica rinnovabile per i consumi domestici delle famiglie italiane ha raggiunto il 100%. Vale a dire che nel nostro Paese il fabbisogno di energia elettrica dei nuclei familiari viene coperto completamente dalla produzione complessiva che proviene dalle fonti rinnovabili. E questo risultato è stato raggiunto nonostante che la crisi abbia abbattuto la produzione tradizionale di elettricità dell’8,3%. Significa che sostenibile si può. In economia, come nella vita, sono pericolosi gli integralismi, le scelte senza alternative, le forzature che spesso peccano di ideologismi. L’energia è un tema di grandissima rilevanza economica e ambientale, ed è ormai chiaro a tutti che occorre ridurre la dipendenza dai combustibili fossili attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico. Diversificare, e anche pianificare. Le energie alternative (fonti rinnovabili, sole, vento, interventid'efficienza energetica) sono in grado di generare aumenti nell'occupazione: il lavoro di installatori e manutentori. Posto che i due problemi più grandi relativi al nucleare (la questione delle scorie radioattive, la cui messa in sicurezza impegna per migliaia d'anni, e quella della sicurezza non intrinseca delle centrali nucleari, dovuta alle reazioni secondarie incontrollabili in caso d'incidente) sono tuttora lontani da una soluzione, la diversificazione energetica tra risorse rinnovabili e combustibili fossili è la strada più convincente. Negli stessi giorni in cui sono usciti i dati di Confartigianato, anche il presidente USA Barack Obama ha parlato, dallo Studio Ovale, di sviluppo di fonti energetiche alternative. È il presidente del Paese più potente del mondo, grande produttore di petrolio, che sta affrontando la catastrofe ambientale della Bp e in cui ci sono molte centrali nucleari: eppure, parla di 'clean energy economy', un’economia fatta di energia pulita e di "green jobs", lavori “verdi”. La strada è ancora lunga e accidentata, ma qualcosa si sta muovendo e, a mio parere, nel senso giusto.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 17, 2010

Il dovere dei padri

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto spesso sulla situazione dei giovani nel nostro Paese. Nell’ultimo, recente discorso, ha detto, non a caso in occasione di una visita ad una scuola di alta specializzazione, che “non possiamo continuare a far pesare sulle spalle dei giovani un debito pubblico così pesante”. Non possiamo, cioè, continuare ad imporre alle giovani generazioni una ipoteca schiacciante sulle possibilità di lavoro, di sviluppo, di ricerca di una loro strada nella vita. È una grande contraddizione: la società spinge verso modelli giovanilistici, nella moda, nell’estetica (pensiamo al boom degli interventi di chirurgia estetica, per le donne ma anche per gli uomini) ma, nella realtà, si fa ben poco, di concreto, per chi si affaccia alla vita adulta. Qualcuno dice che questa generazione di ragazzi forse è la prima che starà peggio rispetto ai genitori. L’inchiesta nelle pagine interne rileva le difficoltà, per i giovani, anche nell’acquisto della prima casa, con tutto quello che ne consegue riguardo ai progetti per formare una famiglia. Lo stesso Napolitano, lo scorso dicembre, aveva rivolto loro un appello: “Non ve ne andate. Possiamo far crescere il nostro Paese all'altezza delle conquiste delle società contemporanee più avanzate”. E’ una fase difficile ma ne usciremo, ne dobbiamo uscire. Contenere il debito pubblico è un dovere dei padri verso le generazioni future. Ricordiamo sempre quel detto per cui la terra non è nostra, ma l'abbiamo avuta in prestito dai nostri figli, e a loro dovremo restituirla.

Daniele Tamburini

venerdì, luglio 09, 2010

Nichi Vendola, una manna dal cielo?

Un buon comandante, dice Sun Tzu ne «L’arte della guerra», deve possedere diverse qualità: saggezza, rettitudine, umanità, coraggio e severità. Tutte caratteristiche che volentieri vorremmo vedere negli esponenti politici, e che qualcuno sicuramente possiede. Però, se fossero più estese, pensiamo a quanto sarebbe più interessante ascoltarli, e quanto sarebbe più coinvolgente occuparci del dibattito tra i partiti, in Parlamento eccetera. E come sarebbe più stimolante poter parteggiare per l’uno o l’altro di due avversari che possedessero le qualità indicate da Sun Tzu! O che, comunque, si ponessero in maniera ben diversificata, netta, precisa, senza balletti di cortesie manierate reciproche o senza urla tra sordi. Sinceramente, un recente esempio della possibilità di dialogare, pur nella profonda diversità dei punti di vista, l’ha fornito Nichi Vendola, che ha parlato ad una platea di industriali, riuniti in assemblea, a Vicenza (lui, uomo di sinistra del Sud), ascoltando e facendosi ascoltare attentamente. Vendola è un fenomeno da tenere d’occhio, secondo molti. Qualcuno dice che a Berlusconi farebbe comodo averlo come avversario, perché il Cavaliere potrebbe attaccarlo con facilità su molti piani: Vendola era comunista, parla di Marx senza problemi, dice “sinistra” senza imbarazzi, è dichiaratamente e tranquillamente omosessuale. Una persona ai suoi antipodi, un bersaglio perfetto: una manna dal cielo. Però … ha un grande coraggio delle sue idee. È cattolico senza infingimenti; è vicino alla Chiesa e apprezza papa Ratzinger, ma dice che la Chiesa va sfidata sul terreno della libertà e dell’amore, anche di quello gay; parla senza problemi di povertà, ma anche di gioia e di bellezza. In Puglia ha investito sulle energie pulite, su turismo e cultura, e l’acquedotto pubblico – incredibile - produce utili. Spariglia le carte, mette insieme anime diverse, difficile che dica parole conformiste. Il suo linguaggio è concreto e immaginifico insieme: affascina i giovani, fa riaffiorare idee e orgoglio sopito nei più anziani. Non fa finta di non essere un politico ed un amministratore, e se ne assume le responsabilità. Potrebbe davvero rimettere insieme i cocci di una sinistra che aspetta un leader capace di nutrirsi della grande tradizione novecentesca legata ai temi del lavoro, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, coniugati con le sfide di oggi: la precarietà, la frammentazione ideologica, la globalizzazione. Rieletto presidente della Regione Puglia, ha detto tranquillamente che se ne sarebbe andato un po’ in vacanza, senza fingere di mettersi a lavorare subito indefessamente per la comunità. Il tempo per la politica e per l’impegno, il tempo per sé. Chissà se verrà il suo tempo? Staremo a vedere.

dt

Anche nell’isola felice…

Rimaniamo sbigottiti di fronte ai due fatti di sangue, accaduti a pochissimi giorni di distanza nella nostra zona: due uomini, respinti, uccidono la donna che non li vuole più. Due donne, con tutta la vita davanti, che avevano fatto le loro scelte: per loro, tutto è finito. “Anche nell'isola felice il profondo disagio di una società allo sbando”, ha scritto Antonio Leoni all’indomani dei due omicidi. Non si creda che vogliamo fare la parte dei corvi, nel prendere spunto da fatti così dolorosi per fare alcune riflessioni. Ma forse, serve a tutti fermarsi un momento a pensare. Drammi – forse – nati dalla paura della solitudine, dall’angoscia del sentirsi rifiutati. Ma anche, da una convinzione che perdura ancora: molti uomini non accettano che le donne possano liberamente e consapevolmente decidere. Fatti come questi accadono sempre più spesso, a nord e a sud, trasversali alle classi sociali, alla condizione economica etc. Mezzo secolo di storia ha cambiato in profondità le compagne di una vita o di un percorso, e forse, noi uomini facciamo ancora fatica ad accettarlo fino in fondo. Difficile da ammettere, ma, se potesse essere occasione per riflettere, si tratterebbe pur sempre di un punto di partenza. Crescendo abbiamo imparato che la vita non è una fiaba. E’ un percorso dove si conosce il riso e il pianto, l’emozione e il disinganno, la fortuna decide per noi. Non sempre – purtroppo – finisce: “…e vissero felici e contenti”.

Daniele Tamburini

lunedì, luglio 05, 2010

La riqualificazione della zona stadio

Dalla crisi si può uscire con una dinamica di cambiamento, certo non con la staticità. Il progetto CremonaCityHub, presentato venerdi 25 in una affollatissima Sala Mercanti e al quale dedichiamo alcune pagine di commento, all’interno del giornale, riguarda una consistente riqualificazione urbana della zona compresa tra il Foro Boario e gli ex Magazzini Cariplo. Un’area cittadina in passato occupata da attività legate al mercato ed al commercio. Su questo programma sindaco e vicesindaco hanno scelto la strada del coinvolgimento e della partecipazione delle forze economiche e sociali della città, una scelta che, se portata fino in fondo, si rivelerà strategica. Ma la strategia, proprio perché, per sua natura, non deve avere il carattere dell’improvvisazione, non può tralasciare alcuni aspetti. Prima di tutto, la necessità di coniugare sviluppo e regole. Regole di mercato e di impresa, certo, ma anche regole nella salvaguardia del territorio e dell’ambiente e nella trasparenza di scelte e procedure. Lo sviluppo di cui abbiamo estremo bisogno è quello legato al lavoro ed agli investimenti, che rimetta in moto i consumi e che innesti dinamiche virtuose per cui la nostra città, la nostre zone diventino punti di attrazione per investimenti ulteriori: “Volare alto, pensiamo in grande” dice l’architetto Pagliari, concetto ribadito dall’onorevole Pizzetti. L’innovazione di cui abbiamo grande bisogno sta anche nelle idee, negli apporti progettuali che sicuramente circolano, ma che, a volte, stentano nel trovare espressione ed accoglimento. Il progetto CremonaCityHub, se ben gestito, può essere tutto questo. Il sindaco Perri ha detto, davanti ad una platea accaldata e all’inizio, forse, un po’ scettica: “State pur certi, andremo sino in fondo!”. Il presidente della Camera di Commercio Giandomenico Auricchio, entusiasta, non ha nascosto il suo consenso.

Daniele Tamburini