«Occorre una maggiore integrazione politica con il metodo delle cooperazioni rafforzate, per attuare le cose più urgenti, come l’unione bancaria»
di Daniele Tamburini
Le ultime elezioni europee hanno mutato in modo significativo gli assetti politici all'interno dell'europarlamento, ma anche negli Stati in cui si è votato. In Italia, la forte affermazione del Pd di Matteo Renzi giocherà senz'altro un ruolo importante sul futuro del governo del Paese. Il Movimento 5 Stelle ottiene un risultato importante, ma in calo rispetto alle precedenti politiche. Preoccupano gli europeisti le affermazioni di forze nazionaliste e xenofobe in Francia, in Gran Bretagna, mentre la Grecia vede crescere i consensi al partito neonazista di Alba Dorata. Nella stessa Grecia diventa pero' primo partito Syriza di Alexis Tsipras, che antieuropeista non ha come obiettivo un'Europa meno rigida e più equa. Abbiamo rivolto alcune domande a Alberto Martinelli, professore emerito di Scienze Sociali e Politiche presso l'università degli Studi di Milano.
Professor Martinelli, è trascorsa una sola settimana dalle elezioni europee, ma qualche riflessione può senz’altro essere svolta. Voto in Italia, voto in Europa: quali sono, secondo lei, le principali caratteristiche?
«In Europa, come previsto, sono aumentati i consensi ai partiti eurofobici ed euroscettici, per quanto non nella proporzione che si era prevista, eccezion fatta per il successo del partito della Le Pen in Francia e di Farage nel Regio Unito. In altri Paesi, come Belgio, Finlandia, ecc, sono andati peggio di quanto si aspettassero. Il successo dei partiti nazional-populisti, come li definisco anche nel mio libro, ci mette comunque di fronte a fenomeni ben diversi tra loro, anche se con alcuni tratti comuni. Esiste sicuramente una ripresa dell’ideologia nazionalista che dà vita a partiti e movimenti che hanno anche un notevole successo elettorale. Ci sono quelli, come il Front National francese, con una connotazione chiaramente contraria alla mondializzazione e che affermano la superiorità della nazione. Altri, come Austria e Olanda, sono invece per una economia di tipo liberista. I due pensieri che li uniscono, sono invece l'antieuropeismo e l'atteggiamento contrario nei confronti dell'immigrazione. Per quanto riguarda il ruolo che gli euroscettici potranno ricoprire in Parlamento europeo, credo che per molti sarà più che altro un palcoscenico da cui influenzare la politica interna al proprio Paese. C'è poi da vedere se riusciranno a costituire dei gruppi parlamentari (per farlo sono necessari almeno 25 parlamentari e 7 diversi Paesi in rappresentanza). Ad esempio sia Front National che Ukip ancora non ci sono riusciti. Una terza conseguenza del voto europeo sarà una grande coalizione tra popolari, socialisti, liberali e verdi. Ritengo che per rispondere alla crescita del nazionalpopulismo bisogna accelerare il processo di formazione del Parlamento europeo, abbandonando l'atteggiamento attuale, che va nella direzione di perdere tempo e di inseguire i populisti sui loro temi».
Queste elezioni mettono in risalto alcuni cambiamenti profondi della geografia politica europea. Iniziamo dal successo di Marine Le Pen in Francia e da quello di Nigel Farage, leader del partito Ukip, in Gran Bretagna...
«Sono due fatti molto diversi. Nel Regno Unito la maggioranza dei cittadini non è europeista e soprattutto non è interessata ad una vera unione politica; essi desiderano una Ue che sia soprattutto un'area di libero scambio, e soprattutto vogliono recuperare la propria sovranità nazionale Farage, vedendo la titubanza sia di laburisti che di conservatori, ha trovato quindi terreno fertile In Francia la situazione è più complicata: di fatto è il vero malato dell'Europa, in quanto dopo essere stato tra i propulsori dell'Unione ora si trovano con un Governo che non ha saputo dare risposte soddisfacenti alla crisi. Holland dovrebbe essere più incisivo a livello europeo, nel chiedere politiche per la crescita ».
E la presenza di forze come Alba Dorata, gli antisemiti ungheresi, i neonazisti tedeschi?
«Sono un fenomeno fortunatamente circoscritto, seppur piuttosto inquietante. Questo è un segno preoccupante, che dimostra come questa corrente di pensiero, a settant'anni dalla fine del nazismo, non sia ancora del tutto scomparsa. Fortunatamente nei loro confronti c'è una sorta di "cordone sanitario", in quanto vengono tendenzialmente isolati, anche dalla stessa Le Pen».
Parliamo, invece, del “fenomeno” Tsipras, che ha vinto in Grecia, ma che ha riunito sotto il suo nome anche alcune forze di sinistra italiane, in grado di superare lo sbarramento del 4%.
«Credo che la lista Tsipras in Europa sia in parte diversa dal partito corrispondente in Grecia, partito che io definisco nazional-populista di sinistra. Il partito che ha partecipato alle europee non parlava di antieuropeismo, ma di voler una europa diversa. Un movimento che potrebbe trovare un accordo con il movimento spagnolo di Podemos, puntando su una Europa delle riforme».
Secondo alcune fonti, nel 2009 la percentuale dei partiti pro Europa rappresentati al Parlamento europeo valeva il 64% contro il 35% degli euroscettici. Nel 2014, i pro Europa sono saliti al 73% e gli eurofobi sono scesi al 26% (fonte: @ArminWolf). Sembrerebbe, quindi, che l'affermarsi di forze politiche come Fronte nazionale e Ukip abbiano una valenza più interna al Paese che sull'Eurozona. E' d'accordo con questa analisi? E, visto il quadro, anche le euro larghe intese saranno inevitabili?
«La differenza dal 2009 non è tanto nei numeri, quanto nella distribuzione geografica dei partiti antieuropei: essi si sono sviluppati infatti in Francia e nel Regno Unito, come dicevamo prima. Quest'ultimo ha pagato l'antieuropeismo con una progressiva marginalizzazione, mentre la Francia continua ad avere un peso preponderante nell'Unione. In questo scenario l'Italia può rivestire un ruolo fondamentale. Infatti il semestre europeo italiano, se da un lato può essere ridimensionato dal fatto che la Commissione no è ancora stata formata, dall'altro lato potrà avere un ruolo chiave proprio nella formazione della commissione stessa. Il leader italiano, in questa fase, potrebbe avere un peso fondamentale».
Il risultato del Partito democratico, con il 41% dei suffragi, ha sicuramente tratti inediti e inaspettati, almeno in questa misura. A suo parere, quanto è influenzato da valutazioni “italiane” e quanto, invece, è da proiettarsi su uno scenario europeo?
«Credo che il successo del voto del Pd alle europee dipenda dal fatto che chi è fondamentalmente euro tiepido non ha neppure votato, e che quindi il voto si sia spostato dalla parte di chi è favorevole all'Europa, come appunto il Pd».
Una domanda sul Movimento 5 Stelle: a suo parere, c'è stato uno sboom o l'impatto della formazione politica era sovrastimato (forse, dicono alcuni maligni, ad arte)?
«Sicuramente i sondaggisti stavolta non hanno fatto una bella figura. Da un lato credo che il Movimento sia stato sovrasrtimato, forse anche a causa del tam tam mediatico che ha preceduto le elezioni, e che ha indotto a pensare in un successo che poi non c'è stato. Per quanto mi riguarda, avevo fatto delle previsioni più realistiche, spiegandole con il atto che il voto amministrativo avrebbe abbassato il consenso nei confronti del M5S».
L'ultima domanda: come dovrebbe cambiare la politica dell'Unione europea?
«E' necessario che un gruppo di paesi (quelli già appartenenti alla Eurozona) procedano da subito verso una maggiore integrazione politica con il metodo delle cooperazioni rafforzate, per mettere in atto le cose più urgenti, come l'unione bancaria e un incremento dei poteri alla banca centrale. I diciotto paesi membri dell’Eurozona non solo possono ma devono procedere nella forma delle cooperazioni rafforzate perché vivono la contraddizione tra un’unica moneta e 18 debiti sovrani sui quali speculano liberamente i mercati finanziari e 18 sistemi fiscali e di spesa pubblica in aspra competizione gli uni con gli altri».
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