sabato, gennaio 23, 2016

SENATUS POPULUSQUE ROMANUS

di Daniele Tamburini
Mentre l’Europa – ci verrebbe da dire, l’Europa che conta – mostra cipiglio feroce nei confronti di Matteo Renzi da Rignano, e tutti ci chiediamo se effettivamente il capo del governo intenda portare a fondo la crociata contro le pretese dell’austerity continentale, oppure se si tratti di una sorta di gioco delle parti (le amministrative si avvicinano), viene definitivamente approvata la riforma istituzionale del Senato. Il “Senato dei cento”, ridotto a pallido simulacro di un organismo politico-istituzionale degno di questo nome, sarà composto da 74 consiglieri regionali, 21 sindaci, 5 senatori nominati dal capo dello Stato per sette anni. per fare che? Il Senato non avrà più il potere di dare o togliere la fiducia al governo; potrà esprimere proposte di modifica sulle leggi, ma l'ultima parola spetta alla Camera. L'approvazione delle leggi, quindi, sarà quasi sempre prerogativa della Camera: una sorta di monocameralismo de facto. Il governo avrà una corsia preferenziale per i suoi provvedimenti: il potere esecutivo si rafforza ulteriormente a scapito del legislativo. Insomma, chi governerà – anche se non eletto, come nel caso attuale – non dovrà preoccuparsi troppo del parere di chi dovrebbe, per definizione, fare le leggi, essendo eletto a tale scopo. E chi saranno i senatori? Non più eletti durante le elezioni politiche, risulteranno dal novero dei consiglieri regionali e dei sindaci. Signori, si vota sempre meno: ve ne siete accorti? Non si vota più per le Province, non si voterà più per il Senato. Ma c’è un altro dato: il potere centrale si rafforza ulteriormente, perché sarà lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (politica estera, immigrazione, difesa, moneta, burocrazia, ordine pubblico, ecc.), con una fortissima inversione di tendenza rispetto ad un recente passato di valorizzazione delle autonomie locali. Altro che una visione romanocentrica: questa è una visione Palazzochigicentrica. Ma allora, perché mantenere i simulacri? Perché non abolirlo direttamente, il Senato? Questi signori che lo comporranno saranno lì a fare le belle statuine, e, comunque, ci costeranno almeno per i rimborsi spese. Se si crede nella bontà del modello “un uomo solo al comando”, forza, seguiamolo fino in fondo, chiudiamo gli occhi e la mente dinanzi ai drammi che modelli simili hanno provocato ed evitiamo i pasticci all’italiana, il “vorrei ma non posso”, le ipocrisie. Si pensa che all’Italia serva un “conducator”? Forza: chi si candida? Basta non votarlo, e arriverà in cima.

sabato, gennaio 16, 2016

Questa classe dirigente non è più credibile

di Daniele Tamburini
Il 2016 è un anno bisestile: cosa ci riserverà l’anno nuovo?
Arrancheremo ancora, stretti da una crisi ormai lunghissima, pesante, che ha offeso l’economia e le esistenze? Oppure, potremo cogliere segnali di un’aria nuova, tale da poterci far tirare un respiro profondo e dire: “Ok, sarà dura, ma la si volta!”? Sinceramente, non so. Certamente l’argomento non campeggia più nei notiziari e sulle pagine dei giornali: si fa l’abitudine anche alla crisi? Ci si adegua all’incertezza, alla paura, all’insicurezza? Ho un timore, che spero non diventi certezza: mi sembra che si siano deteriorati i rapporti umani. “Ognuno sta solo sul cuor della terra”, cantava il poeta. Chiusura, solitudine, indifferenza alle sorti altrui: questi comportamenti sono cresciuti. Ma ci sono anche tanti esempi di splendido altruismo e di cura dei rapporti di comunità. Tema centrale è, ancora e sempre, il lavoro. Un’altra cosa a cui sembra che abbiamo fatto l’abitudine è questo refrain per cui il lavoro è e sarà sempre di più instabile, intermittente, non garantito. Io credo che questa sia una posizione assolutamente ideologica e non, come sostengono i suoi fautori, un’inevitabile conseguenza della modernità, della globalizzazione eccetera. Sapete, vero, quanto lavoro ci sarebbe nel nostro Paese? Per quanti anni potrebbe lavorare personale impiegato, e cito a caso, nella sistemazione del patrimonio edilizio pubblico, nel ripristino dei suoli, dei corsi d’acqua, insomma del sistema idrogeologico, nella valorizzazione delle biblioteche e dei musei? E’ anche vero però che, per qualcuno, il problema non si pone neppure. Abbiamo letto degli stipendi dei funzionari della Camera, per non parlare di quelli dei manager pubblici che guadagnano molto più del presidente degli Stati Uniti. E’ come per i tagli ai bilanci: distrutte le Province, tramortiti i Comuni, colpite al cuore le autonomie locali, quelle più vicine al cittadino, i corpi centrali dello Stato e i ministeri restano praticamente indenni da riduzioni, tagli e sforbiciate. I sacrifici sono sempre per i soliti. Il fatto è che, per quanto mi riguarda, questa classe politica o per meglio dire questa classe dirigente (come si diceva una volta) non è più credibile.

giovedì, dicembre 24, 2015

La vita non è guerra continua

Il Natale, per chi è credente, segna il
momento in cui Gesù Cristo, fattosi uomo,
porta la salvezza della fede al genere
umano e annuncia la buona novella.
E’ il momento in cui si celebrano la nascita
e l’amore materno; è un’occasione di
riconciliazione. La nascita del bambino viene
salutata da un gloria a Dio nell’alto dei
cieli e un augurio che ciascuna donna e ciascun
uomo, al di là della fede, può fare proprio:
“pace in terra agli uomini di buona
volontà”. Questo è il grande messaggio del
Natale. Riflettere su questo semplice, bellissimo
messaggio ci porterebbe a sentirci
“meno in guerra” con gli altri, a riscoprire i
valori fondativi della vita: l’amore, la famiglia,
il senso di comunità, il rifiuto della violenza.
La guerra e la violenza
non sono inevitabili, anche se ci
toccano ormai da vicino. E allora,
iniziamo dal non fare uso
spropositato ed eccessivo di
parole di guerra. Non sentiamoci
sempre “in trincea”, pronti ad una “battaglia”,
certi della “sconfitta” altrui e della
“vittoria” propria. La vita non è guerra continua:
l’altro – che può essere chiunque si
trovi sulla nostra strada - non va comunque
“combattuto” o “guardato con sospetto”.
Dal giorno di Natale, vicino al solstizio di
inverno, nasce una nuova luce: cerchiamo
di essere pronti a coglierla, per una volta
disarmati, accoglienti, attenti. Buon Natale
a tutte e a tutti.

sabato, dicembre 12, 2015

L’aria è sporca, non solo per lo smog

Banche inaffidabili, controlli inconcludenti. A
quanto ammonta Il fiume di denaro versato negli
anni a tutte le banche, in Italia e in Europa? A
cosa è servito e soprattutto dove è finito? Un
esempio per tutti (i dati sono del Sole 24 ore): dal 2008
al 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche in Europa
sono stati pari a 800 miliardi di euro spesi e 330 recuperati,
con un disavanzo pari al 4,7% del PIL complessivo.
Una follia, una vergogna. Dove sono andati? Nelle tasche
di chi sono finiti? In questa operazione, pare che le banche
italiane registrino un sostanziale pareggio tra le entrate
e le uscite di Stato: ma come la mettiamo con le
notizie di questi giorni? Chi pagherà questi conti? Qualcuno
li ha già pagati, e salati: per esempio, quel povero
signore, pensionato, che si è ucciso perché aveva visto
svanire in un sol colpo i risparmi di una vita, dopo il default
di Banca Etruria (e la Procura ha aperto un fascicolo
per “istigazione al suicidio”). Sapete, può anche capitare
che, per ottenere un fido, ti facciano
sottoscrivere l’acquisto di obbligazioni della
stessa banca, obbligazioni che, oggi, sono
diventate un investimento ad alto rischio.
Alcune persone ne sono consapevoli, ma
molti risparmiatori non vengono informati
adeguatamente, è la stessa Bce a dirlo. Quando finirà
questo andazzo, per cui paga sempre e comunque chi è
alla base della piramide? Quando potremo di nuovo fidarci
di stare in questo mondo senza temere, a ogni piè
sospinto, di essere truffati, e non dal pataccaro per strada,
ma da istituzioni che dovrebbero essere specchiate?
Quando avremo un governo che si preoccupa di come
sta la gente comune, la gente che combatte quotidianamente
con una crisi che, nonostante i proclami, continua
a colpire duro? Quando torneremo a investire su cose
vere, concrete, durevoli, e non su bolle finanziarie piene
solo di aria sporca?

sabato, dicembre 05, 2015

La fretta che l’onestade ad ogn’atto dismaga

Giusto per sorridere un po’, una volta tanto: l’avete sentita
quella della targa alle biciclette? Il fatto è che non
si tratta di una barzelletta, anche se il contenuto della
storiella è stato più volte rimaneggiato. E’ accaduto
che, nei giorni scorsi, un senatore, tal Marco Filippi, mio conterraneo,
tra l’altro abbia parlato di un emendamento alla riforma
del codice della strada, per cui si prevedevano la targa e il
bollo anche per le biciclette. Ovviamente, è scoppiato un putiferio:
l’Italia è ancora un Paese di ciclisti, che sono insorti. Non
solo, si è scatenata una ridda di battute: a quando la targa ai
tricicli, ai camion giocattolo e, perché no, ai pattini a rotelle?
Puntuale è poi giunta la smentita, almeno parziale: il senatore
ha giurato di non avere mai pensato cotanta mostruosità, ma
solo di prevedere la targa per “le biciclette e i veicoli a pedali
adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone”.
Di nuovo, rispetto al “vecchio” emendamento, c’è la
frase “a pagamento”. A parte il fatto che non mi pare che il
Belpaese pulluli di risciò a pedale, quindi non si capisce bene
l’utilità di tale previsione, la pezza che ci ha messo
il senatore è peggiore dello strappo: ha infatti
dichiarato (cito da una fonte di stampa virgolettata):
«Riconosco che l’emendamento era scritto
male. Ma sono cose che succedono, nella fretta.
Il testo me lo avevano passato i colleghi della Camera
e forse ho peccato di scarso controllo». Eccoci, siamo a
posto. E meno male che, alla Camera ed al Senato, non fanno
interventi a cuore aperto… Lo scarso controllo, da parte di chi
propone leggi e emendamenti che riguardano la comunità, a
mio parere, è colpa grave. Piuttosto, vorrei dire al senatore Filippi
ed ai suoi colleghi della Camera, del Senato, del Governo:
voi che vivete a Roma, la vedete davvero in che condizioni è?
Ci sono stato qualche tempo fa e mi sono impressionato: una
sporcizia, un degrado, una confusione mai viste. E’ iniziato il
Giubileo e offriamo la capitale d’Italia, la Città eterna in queste
condizioni. Forse che quel che serviva a mantenerla decorosamente,
“distrattamente”, è stato mangiato da qualcheduno?

sabato, novembre 28, 2015

Combattere il terrore, anche tornando alla quotidianità

La situazione in cui vive il mondo in queste settimane è
pericolosa, anche per i possibili sviluppi. Gli attentati di
Parigi, la caccia al terrorista di Bruxelles, il jet russo
abbattuto dai turchi, tutto ha contribuito a rendere le
nostre giornate ancora più incerte. Se anche papa Francesco
parla di terza guerra mondiale, non c’è da stare allegri. I fatti
accaduti che hanno coinvolto i civili sono stati terribili, proprio
perché hanno riguardato, in maniera tragica, uomini e donne
che vivevano la propria quotidianità. Ma tutto questo non è né
nuovo, né inusitato. Forse per la mancanza di senso storico che
sempre più si avverte (qualcuno parla di “un eterno presente”
in cui siamo immersi), sembra che non ci si ricordi che il terrorismo
è questo: colpire persone normali, “innocenti”, gente
qualunque in ogni dove. Nel nostro Paese, negli anni Settanta,
il terrorismo nero eversivo (coperto da apparati deviati dello
Stato) colpì una banca in cui si recavano piccoli risparmiatori e
agricoltori, una piazza, treni, stazioni ferroviarie. È la radice del
terrorismo, quella di seminare paura, di non far sentire nessuno
sicuro da nessuna parte. È ciò che il terrorismo
vuole. E se volesse, pure, ottenere un altro scopo?
Immersi nell’emergenza, viviamo la nostra
quotidianità assorbiti da queste paure, e tendiamo,
forse, a mettere sullo sfondo altre legittime
preoccupazioni. Forse che i conti pubblici si sono
magicamente sistemati? Forse che stanno riaprendo i tanti,
troppi negozi dalle saracinesche abbassate? Forse che il sistema
del credito è diventato più snello ed efficiente? Forse che
si è ricostituito il sistema produttivo del Paese? Forse che c’è
lavoro, tanto lavoro, con le dovute garanzie e giustamente retribuito?
Forse che no. Direte voi: ma che c’entra, siamo su
piani diversi. Mi sbaglierò, ma la sensazione è che questi tragici
fatti favoriscano coloro che hanno interesse a questo sviamento,
a questo ottundimento. E allora torniamo alla normalità,
dicono che anche così si combatte il terrorismo: diamo ascolto
alle richeste delle categorie economiche espresse nello speciale
economia pubblicato in questo numero.

sabato, novembre 21, 2015

Io non lo so

Lo sgomento che deriva dai fatti di Parigi, che poi hanno
coinvolto altre comunità e altri territori, certamente nasce
dalla pietà verso le persone brutalmente assassinate,
ma anche dalla paura e dal senso di impotenza:
che fare? Io non lo so! Reagire con i bombardamenti dei territori
“covo” dell’Isis? Siamo sicuri che sia una misura efficace?
Io non lo so. Oggi ci sono molti strumenti per contrastare una
guerra terrorista, per definizione sfuggente allo scontro in campo
aperto, ma nessuno, mai potrà controllare ogni persona,
ogni bar, ogni ristorante, ogni stazione, ogni stadio, a meno di
trasformare le nostre città e le nostre vite in immense prigioni,
senza contare i costi proibitivi. Quindi, che fare? Questi fatti
tragici sono sicuramente espressione di un disegno feroce e
criminale, ma affondano le radici tanto, forse troppo, nelle politiche
svolte nel passato dal Vecchio continente. Chi sbuffa ad
ascoltare queste osservazioni non capirà mai nulla di ciò che
succede, e capire - capire, non giustificare – è la prima mossa
per reagire. Mi domando, però, anche quanto incidano gli interessi
economici e politici in tutto questo. Chi
finanzia la macchina da guerra terrorista? Chi
vende loro le armi? Altro che svuotare gli arsenali
e riempire i granai, come disse il presidente
Sandro Pertini: il divario tra poveri e ricchi è forte
come non mai e gli arsenali sono pieni di armi da
vendere. Siamo sinceri: come dicevano i latini, pecunia non
olet, il denaro non ha cattivo odore e viene prima di tutto. Penso
alle politiche di intervento, alle guerre umanitarie, alle guerre
preventive, alla ricerca delle armi di distruzione di massa: che
risultati hanno portato? La guerra è spaventosa: non si dovrebbe
pronunciare la parola “guerra” a cuor leggero. Per questo
io ho paura. Ho paura dei fanatici, degli esagitati, di coloro che
sanno tutto, degli esperti di terrorismo che incontro al bar, dei
giustizieri che popolano la rete. Nel 1940, a piazza Venezia un
popolo intero euforico e invasato disse sì alla guerra, non sapendo
nemmeno il perché: i risultati furono morte, macerie,
fame e una devastazione sanguinosa.

sabato, novembre 14, 2015

Trasparenza e rispetto dei cittadini

Una cosa non può dirla il Pd: che De Luca fosse un candidato imposto, uno che il partito aveva subìto, un marziano. Insomma, non vale per De Luca ciò che è stato detto per Marino. E ora, scandali (di nuovo), intercettazioni (di nuovo), sconcerto (di nuovo). La memoria è labile dalle nostre parti, si sa: ma converrebbe appuntarsi frasi come “è lui il nostro candidato, chi lo osteggia lo fa per una battaglia interna al Pd” (indovinate chi lo ha detto...). In fin dei conti, dirà qualcuno, De Luca è stato eletto: è stato scelto rispetto al candidato del centrodestra Stefano Caldoro. Ok. In fin dei conti, aveva pure vinto le primarie. Tutto regolare, tutto consuetamente regolare. E poi, ci può sempre essere la clausola di salvaguardia della modifica della legge Severino. Meglio essere previdenti. Confesso che, ormai, non so come maneggiare parole come trasparenza, fiducia, rispetto del mandato ricevuto dai cittadini. La negazione di questi concetti è ormai davvero bipartisan. E' palese. E non posso non parlare del caso Lgh: la cessione alla azienda A2A del 51% delle azioni di Linea Group. La questione, al solito, non è nella liceità. Lo è forse nell'opportunità dell’operazione o nella efficacia della scelta? Non so, non sono in grado di valutare, non ho sufficienti elementi. Di certo, la questione sta nel modo con cui viene condotta. A mio parere, il sindaco Galimberti avrebbe dovuto far sapere, già da tempo e con trasparenza, costi e vantaggi, acquisti e perdite legate all'operazione. E’ cosa doverosa verso le opposizioni, ma soprattutto verso i cittadini. Quei cittadini che spesso votano per una speranza di cambiamento, e anche contro certe pratiche, certi modi di governare: non è bene togliere loro le residue speranze. Non è bene per chi è governato ma anche per chi governa, non va bene per la democrazia.

sabato, ottobre 17, 2015

Viva la Rai, che ci fa crescere sani...

Sappiamo bene quanto sia importante il ruolo dell’informazione. Stavo per dire: “nella società attuale”, ma, a ben vedere, tale ruolo ha sempre goduto di grande risalto, e il potere, qualsiasi potere, ha cercato sempre di gestirlo e di indirizzarlo. Dagli araldi che giravano città e campagne nel Medioevo per rendere note le decisioni del signore, ai fogli o proclami che, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, venivano affissi e recavano le volontà di sovrani, governanti e reggitori. Non solo uno strumento in mano al potere, però: anzi. Basti citare il grandissimo ruolo che ebbe, nella preparazione e nello svolgimento della Rivoluzione francese, la messe di giornali, bollettini, fogli di informazione, riviste. E non è un caso che i totalitarismi e le dittature del Novecento abbiano investito molto nella costruzione di apparati di informazione pubblica persuasivi e pervasivi. Quando arrivò la tv, lo sappiamo, fu una rivoluzione: si narra di molti politici assai sconcertati, quando non terrorizzati, dal dover entrare con la propria immagine, oltre che con le parole, nelle case degli italiani. Man mano, ci si rese conto di quanto lo strumento fosse divenuto potente, e ci si pose il problema di una regolamentazione: tot minuti a te, tot a me, tot a lui. Una sorta di manuale Cencelli (Era quello inventatodal democristianissimo Cencelli per distribuire ruoli politici e governativi ad esponenti di vari
partiti politici o correnti, in maniera proporzionale). Ma il meccanismo, di dubbio funzionamento fin da subito, dal punto di vista dell’equità, è saltato con l’avvento dell’informazione radio tv privata. Ponete il caso (il caso, eh!) che ci sia un imprenditore padrone di tv che si metta in politica: pensate che si sentirà in obbligo di assicurare il giusto spazio per tutti? O non gli verrà la tentazione di una presenza costante, ficcante, luccicante? Ponete poi il caso che non ci sia direttamente al governo uno che possieda le tv ma che abbia in mente di costruire un partito (forse chiamato “della nazione?”) in cui, per il bene del Paese, non ci sia tanto posto per critiche e dissensi, che, oltre un certo limite, disturbano e fanno perdere tempo a chi deve lavorare: lo spazio per l’informazione lascerà margini sempre più esigui per le opposizioni. Ma è per il bene del Paese, senz’altro. Chissà: rimpiangeremo anche Massimiliano Cencelli?

sabato, ottobre 10, 2015

C’è più che mai bisogno di concretezza

Una certa qual melanconia autunnale si sta insinuando nelle giornate, che si accorciano, nei cieli già plumbei
quando sono coperti, anche se il sole, al momento in cui si manifesta, brucia ancora. Ma la melanconia è cosa da poeti, e anzi, la cifra di oggi, almeno così si ascolta in tante dichiarazioni, è o dovrebbe essere l’ottimismo. L’Istat ci dice che non si era mai vista tanta fiducia dall’inizio della crisi; Montezemolo plaude a Renzi, che “ha portato fiducia”. Spero che non sia come quando, a forza di dire le cose, ce ne convinciamo e, oltretutto, convinciamo. Davvero c’è stato un punto di svolta? A noi piacerebbe tanto, se così fosse. Davvero, anche se non c’è stato, la gente ci crede? Sarebbe importante anche questo, l’effetto-fiducia tira su il morale e dà nuova spinta. Non sono domande polemiche, le mie: vorrei tanto avere certezze in questa direzione. Vorrei tanto essere certo che non si tratti di fumisterie e di propaganda. Due sere fa, sono andato ad ascoltare la ministra Madia, la quale ha detto che non esiste alcun provvedimento governativo che stabilisce l’accorpamento di prefetture, questure etc… vero. Ma esiste, e si può facilmente trovare on line, uno schema di decreto del presidente della repubblica, formulato dal ministero dell’interno – dipartimento dei vigili del fuoco, che mette, nero su bianco, tra le altre cose, lo schema degli accorpamenti. Mi viene da chiedere: il governo non ne è a conoscenza? Il braccio destro non sa che cosa faccia il braccio sinistro? Mi sa che sono le solite fumisterie, dire per non dire, reggere il gioco finché il provvedimento è esecutivo, e allora, oplà, il tutto è legge. M viene da pensare che non è un caso che sempre più persone, soprattutto giovani ma non solo, scelgono e si costruiscono attività a contatto con la natura. Lì non ci sono fumisterie, lì c’è la concretezza dell’impegno quotidiano: piante, frutta, sole, aria, vento. Un po’ come i vecchi operai alzavano ed ammiravano un giunto di metallo da loro tornito, o il mio babbo rimirava soddisfatto un mobile rimesso a nuovo. Cose tangibili, concrete. A proposito, un mio amico vorrebbe trovare un terreno, in affitto, per coltivarvi piante ornamentali: possiamo dargli una mano?

venerdì, ottobre 02, 2015

Tutto come previsto

Non mi sorprendono le forti polemiche in corso rispetto all’accorpamento della Prefettura e della Questura con quelle di Mantova. E’ il risultato di un percorso di “riforma” che prima ha coinvolto le Province, poi gli enti sopra richiamati, e chissà dove si fermerà. Già in tempi non sospetti, proprio sulla questione Province abbiamo scritto: attenzione a smantellare senza prevedere qualcosa di nuovo e di strutturato; attenzione a seguire le sirene del “dagli alla cosa pubblica”, quando, poi, quelle stesse sirene si lamenteranno sicuramente di non avere più servizi adeguati, uffici disponibili, sedi pubbliche facilmente raggiungibili. E tutto si sta rivelando, ahimè, vero. Pensando a qualche anno fa, quando ero giovane e, sicuramente, meno indisponente, riflettevo che, quando sentivamo parlare di riforme, subito ci riferivamo a operazioni che ampliavano i diritti di cittadinanza e quelli sociali, che cercavano di dare risposte ai profondi mutamenti in corso nel Paese su base di equità. Adesso, sentiamo parlare di riforme e ci chiediamo: a chi tocca, ora, il colpo di mannaia? Però, una cosa mi stupisce sinceramente: la preoccupazione per gli effetti di queste “riforme” espressa da chi ha un ruolo istituzionale e politico rilevante. Ho letto: “Dobbiamo interrompere l'iter dello schema di decreto (che prevede questo accorpamento)...”. E a me lo dite? Chi le fa, le riforme? Il governo. Chi le ha votate quelle riforme? Chi le sta portando avanti se non l’attuale governo? E allora, che succede, signori miei? Prima si sostiene il predetto governo, magari senza se e senza ma, poi ci si indigna quando tagli, accorpamenti, azzeramenti picchiano duro? Se si reputa che una misura sia necessaria, e se si sostengono, legittimamente, ci mancherebbe, le ragioni di chi mette in atto quella misura, non si dovrebbe forse accettarne le conseguenze negative, anche se ci colpiscono da vicino? Insomma, ciò che è cattivo per Cremona sarebbe buono per Mantova? Mah... forse qualcosa mi sfugge (o forse no).

sabato, settembre 26, 2015

I custodi del Colosseo e l ’immagine dell ’Italia

A prescindere, avrebbe detto Totò, non intendo spezzare alcuna lancia a favore dei custodi del Colosseo: tra di loro ci sarà il buono e il cattivo, il fannullone e il bravo e capace lavoratore, come da tutte le parti. Come in banca, come nei supermercati, come ovunque. Invito però a riflettere sul can can che è stato fatto rispetto alla chiusura del sito archeologico per assemblea sindacale, qualche giorno fa, dalle 8:30 alle 11:00. Un can can talmente surreale, che un uomo come Vittorio Sgarbi, certamente non accondiscendente, ha dichiarato: ” due ore che non possono far pensare che l’Italia non funziona“, riferendosi a parole dette da molti personaggi, per cui tale chiusura era stata “un grave danno di immagine all’Italia e alle sue istituzioni”. Molte volte mi sono chiesto e vi ho chiesto se, per alcune azioni, parole, dichiarazioni svolte da chi ci governa, da “chi comanda”, prevalessero la poca esperienza, l’ignoranza, l’inettitudine, oppure la malafede. In genere, è difficile rispondere. Ma ora leggo, sempre rispetto al Colosseo e al gravissimo colpo per l’Italia determinato da un’assemblea di due ore e mezzo, prima la dichiarazione del ministro Franceschini, dopo aver gridato allo scandalo insopportabile: "Non c'è alcun reato di nessun tipo, l'assemblea era stata convocata regolarmente"; poi, quella di Francesca Barracciu, sottosegretaria ai Beni culturali, che ha definito l’assemblea sindacale “un reato”. Caspita. Qualcuno le ha fatto notare che le assemblee sindacali in orario di lavoro sono perfettamente legali, almeno per adesso. Allora lei ha dichiarato, correggendosi, di considerarla un reato in senso lato. Ora, nei miei studi di legge non ho mai incontrato un “reato in senso lato”. Ne vedo, invece, molti in senso proprio. Per esempio, il nostro patrimonio storico, artistico, architettonico che cade a pezzi (Pompei docet): cosa che viola abbastanza l'articolo 9 della nostra Costituzione italiana, "la Repubblica… tutela e valorizza il patrimonio storico e artistico della nazione”, oltre che una messe di leggi. Inoltre, Sgarbi ha anche dichiarato una cosa, questa sì davvero scandalosa: che chi lavora, deve essere pagato. I custodi del Colosseo, come molti altri, lavorano in straordinario e non vengono pagati, oppure ricevono il compenso con molto ritardo. Questo non sarà un reato, ma che lo faccia lo Stato, che dovrebbe essere l'incarnazione della legittimità e della legalità, non va bene. Alla onorevole Barracciu, infine, vorrei dire: attenzione a parlare di reato, quando si ragiona di diritti. È tipico delle dittature, onorevole. Lo sappia. A parer mio, tira una brutta aria.

sabato, settembre 19, 2015

Siamo il paese di Masaniello

Durante le ferie ho letto una biografia di Masaniello, il noto capopopolo napoletano, vissuto nel XVII secolo. Il libro era molto ricco di particolari, e delineava le caratteristiche del personaggio: fascino personale, arguzia, sfrontatezza. Nessuno lo aveva investito di un ruolo: se lo prese. Non aveva competenze amministrative né esperienze di governo: eppure, pronunciò anche sentenze giudiziarie, dileggiando i giudici. La rivolta di cui si mise a capo derivava non tanto da un sentimento patriottico, ma dalle gravi condizioni di crisi in cui versava il regno di Napoli, pagate soprattutto – al solito – dai ceti meno abbienti. Il potere gli diede alla testa nel giro di brevissimo tempo: farneticò, si denudò in pubblico. Fu ucciso dopo solo nove giorni di rivolta. Tra le sue frasi si ricorda questa: “Io vi volevo solo bene e forse sarà questa la pazzia che ho nella testa. Voi prima eravate immondizia ed adesso siete liberi. Io vi ho resi liberi!”. Masaniello è diventato il simbolo di un potere sregolato, personalistico, senza mediazioni, che si appella al popolo e che dal popolo, spesso, viene abbattuto. Dagli altari alla polvere: ci vogliono pochi mesi, o anni, ma il percorso è questo. La storia italiana è piena di Masanielli: vogliamo fare il gioco dei nomi? Mi chiedo perché il successo in politica, ormai, derivi da una dose più o meno cospicua di “masaniellite”. Ma il potere può anche non dare alla testa. Invece che inebriare, può, semplicemente, far sopravvivere. È il caso dei “politici di professione” che, iniziata la carriera giovani, hanno fatto un percorso da carica a carica, e non possono che aspirare ad altra carica. Nonostante tutta l’antipolitica che si respira, ce ne sono, ce ne sono… E’ solo così che si può vivere il potere? Invece che un’investitura a servizio della comunità, il potere può porsi solo nell’alternativa tra un egocentrismo smisurato o l’eterno “tengo famiglia”? E anche in questi ultimi giorni, gli esempi non mancano. Considerazioni sconsolate, ma c’è poco da ridere, purtroppo.

venerdì, agosto 28, 2015

Un penoso mantra che si ripete da vent’anni

Le ferie sono finite, la vacatio è terminata, si riparte. Per ricominciare, sarebbe utile, forse indispensabile, qualcosa di nuovo: un progetto nuovo, nuove idee, nuove proposte. Ma già, non dobbiamo essere disfattisti, come si diceva una volta: qualcosa c’è, che diamine! “Aboliremo l’Imu e abbasseremo le tasse”. Perbacco. Chi ci avrebbe mai pensato? E, poiché le primogeniture sono cose serie, a questo annuncio del governo si è scatenata la rivendicazione: “Era un’idea di Berlusconi!” (vero, tra l’altro); “Non ci sono le risorse!” (come se Berlusconi le avesse avute ... Ricordiamo, vero, la finanza creativa?). Eccoci qua. E guai a chi, come alcuni di noi fanno, vada a consultare, ogni tanto, giornali e siti di un recente passato. Per dire: i discorsi del 2008 sono uguali ai discorsi del 2015, pur con scenari diversi in modo radicale. Allora, gli economisti più avvertiti sapevano bene che stava per scatenarsi una crisi davvero epocale, e i politici, che cosa tuonavano? “Ci vuole rigore!”; "Basta con gli sprechi!"; "Abbassiamo le tasse!"; "Rendiamo più efficiente la Pubblica Amministrazione.!", e via così. Andate a vedere, se cercate conferme. Alcuni anni dopo, con un mondo di cose avvenute, con la finanza internazionale scossa ciclicamente da processi esplosivi (l’ultimo, quello cinese), con la crisi tutt’altro che risolta, con il fenomeno delle migrazioni in corso, che nessun muro, nessun respingimento potrà mai fermare, si sfogliano i giornali e si legge: “Rilancio dell’economia: aboliremo l’Imu e abbasseremo le tasse, l’economia ripartirà, diventeremo tutti più ricchi”. Assistiamo ad un mantra ridicolo, penoso e stucchevole che si ripete, oramai, da circa vent’anni, senza produrre miglioramento alcuno, salvo mantenere i privilegi per i soliti noti che confidano, tranquillamente, sulla nostra scarsa memoria. Andate a leggere le dichiarazioni e i proclami dell’ex rottamatore, prima che diventasse premier... poi ne riparliamo.

sabato, agosto 01, 2015

Mai arrendersi

Avete presente cosa fa Facebook, da un po’ di tempo? Sceglie un giorno, credo a caso (o, come si dice, “random”) e ripubblica quel che era stato inserito l’anno prima. Un modo simpatico di rivivere eventi, magari passati un po’ di mente. E allora, visto che questo è l’ultimo numero prima delle vacanze estive, ho provato a fare il gestore Facebook di me stesso, andando a leggere cosa avevo scritto non solo lo scorso anno, ma anche quelli precedenti. Era il 2012, governo Monti, ve lo ricordate? E io scrivevo: rivalutiamo il vero significato delle vacanze, poiché dovremmo “cogliere le opportunità, magari poche, che il tempo della crisi offre. Le vacanze devono essere un momento in cui si stacca la spina, in cui si prova a leggere quel libro che ci aveva incuriosito, in cui si può tentare di non tenere sotto controllo il cammino dello spread”. Già, era l’epoca dell’incubo spread… Ora non se ne parla più, e temo che pochi abbiano capito come abbia fatto, un mostro così vorace, a rintanarsi e diventare – sembrerebbe – inoffensivo. Ma andiamo avanti. L’anno successivo scrivevo: “La calura è forte, anche gli oggetti sembra che grondino sudore, Molti non potranno andare in vacanza. Molti temono che cosa avverrà a settembre. Forse ci sono spiragli di ripresa, dicono”. Come leggiamo in questo numero, le persone stanno industriandosi per fare le ferie in modo nuovo, low cost, e, forse, non è una cosa del tutto negativa. Per il resto…vorrei tanto credere negli spiragli di ripresa. Ma andiamo al 2014: citavo un recente studio del Centro Studi di Confindustria, che parlava di partenza ritardata e lenta, di investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi, delle banche, che “hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza ravvicinata”. È cambiato qualcosa? C’è un clima nuovo? O forse, ci sono meno rabbia, meno preoccupazione, ma più rassegnazione? A tutto ci si abitua: anche alla crisi? Importante è reagire, sempre, di fronte alla difficoltà, cercando soluzioni e provando a fare qualcosa di diverso. Mai arrendersi. Buone vacanze.  

sabato, luglio 25, 2015

De Re Publica

Non dirò dove, non dirò di quale sindaco si tratti, ma ha avuto risonanza nazionale un episodio. Un (semplice) cittadino chiede al (primo) cittadino: perché non annaffiate i giardini? E il (primo) cittadino: perché non li annaffia lei. Una “bella” risposta: c'è di cui riflettere. Un tentativo di convolgere i cittadini per il rispetto e la salvaguardia del bene pubblico? Una partecipazione attiva della popolazione all'interesse comune? Oppure una dichiarazione di impotenza dell'ente pubblico? Allora, irresistibilmente, ho pensato all'inceneritore di Cremona. Direte voi: ma è matto? Il caldo gli ha dato alla testa? No. Seguite il mio ragionamento. Quel primo cittadino ha, semplicemente e tragicamente, secondo me, abdicato (forse in modo inconsapevole) al suo dovere. C'è una precisa responsabilità politica e amministrativa, che non si può esercitare solo quando le cose vanno a gonfie vele: per cui, ad esempio, se in campagna elettorale si promette che, tanto per dire, si dismetterà l'inceneritore a Cremona, l'inceneritore va dismesso. Se poi ci si avveda (e dico se) che quella promessa forse era un po' avventata, e che chiuderlo significhere un grosso sacrificio per le casse della comunità, che cosa resta da fare? Una prima domanda, intanto,è: quanto vale la salute dei cittadini? Seconda domanda: se la salute in giuoco è dei cittadini, perchè non far decidere a loro? E qui faccio mia la proposta di Danilo Toninelli, deputato del Movimento Cinque Stelle, il quale invita il Sindaco a indire un referendum popolare consultivo sulla questione inceneritore. Facciamo decidere alla gente. Tornare, ogni tanto, a quelle pratiche, oramai desuete, di vera democrazia a me non dispiace. A voi?  

sabato, luglio 18, 2015

Non siamo capaci di ribellarci

Mi pare che fosse il professor Vittorino Andreoli a definire l’Italia un Paese malato. Pieno di masochisti ed esibizionisti allo stesso tempo, quindi incapace di mettere in moto le proprie forze migliori, stretto nella forbice tra autodenigrazione e bullismo parolaio; di individualisti costantemente recitanti, sostanzialmente incapaci di fare squadra, buoni solo a mettere in scena il proprio – io – tronfio. Ovviamente, come tutte le generalizzazioni questo giudizio era ingeneroso nei confronti di chi è serio, lavora sodo e non vive la vita come un perenne teatrino. Però, c’è del vero. A partire da un dato: mi pare che sia impossibile, ormai, una situazione in cui la lotta politica si sviluppi in maniera bellicosa, dura, serrata, ma non criminale. La parola è forte? Se credete di sì, pensate al “metodo Boffo”. Se si fa una ricerca sul web, apparirà questa definizione: “campagna di stampa basata su bugie allo scopo di screditare qualcuno”. Dino Boffo, allora direttore di “Avvenire”, periodico molto duro nei confronti dello stile di vita di Berlusconi, fu oggetto, da parte de “Il Giornale”, di accuse infamanti. Si sa che la calunnia, quando pure sia comprovata tale, lascia comunque una sporca, anche se inconsistente, ombra di dubbio. Accuse del genere, pur se comprovatamente false, ti rovinano la vita. È quanto sta avvenendo a Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia. Il settimanale “l’Espresso” esce con questa notizia: in una intercettazione, il medico personale di Crocetta avrebbe detto all’uomo politico: “La Borsellino va fatta fuori come il padre”, e il presidente non avrebbe reagito. Crocetta nega disperatamente di aver mai ascoltato quelle parole e si autosospende. Nel giro di poche ore, la magistratura interviene e dice: non c’è traccia, agli atti, di alcuna intercettazione in cui si dicano quelle cose. E allora? Una congiura politica? Una resa dei conti? Una guerra per bande dentro il Pd? Sto, semplicemente, riportando tutte le ipotesi che vengono fatte. Una cosa è certa: in Italia ci sono tante persone oneste e perbene, ma c’è anche un gran verminaio. Aveva ragione Andreoli: questo è un Paese malato. Malato grave. Ma ancora più grave è il fatto che non siamo capaci di ribellarci, quasi che la nostra psiche fosse programmata ad accettare tutto, intenti solo a salvaguardare quel piccolo orticello che, se pur precario, temiamo di perdere. 

sabato, luglio 11, 2015

... Come il due di coppe quando briscola è bastoni

Qualcuno si ricorda di Sigonella? Un aereo atterrato con a bordo alcuni rappresentanti dell’Olp e i dirottatori della “Achille Lauro”, gli americani che, armi in pugno, ne pretendevano la consegna, l’Italia, presidente del consiglio Bettino Craxi, che a sua volta metteva sotto assedio i militari americani, sulla base delle leggi riguardanti le competenze territoriali e un semplice principio: non potete fare i gradassi a casa nostra. E non vuol essere, il mio, un peana a Craxi, inventore e autore di molti dei meccanismi perversi che hanno reso il nostro Paese quel che è. Però è indubbio che l’Italia ha avuto, per molti anni, un forte ruolo internazionale, di cui oggi non è rimasta traccia. Vogliamo parlare di Andreotti? Per decenni, quantomeno nello scacchiere mediterraneo, non si è mossa foglia che il divo Giulio non conoscesse e a cui non consentisse. Un patrimonio disperso, quello della grande scuola diplomatica italiana? Una perdita di incisività, di credibilità? Pare proprio di sì. Renzi ha piazzato Federica Mogherini, con grande fanfara, come Alto rappresentante dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma poi? Nella crisi greca abbiamo avuto un ruolo simile a quello del Botswana e dell’Ecuador. Ma loro non c’entrano, direte. Appunto. Renzi diventò presidente del consiglio con grandi proclami sulla necessità di correggere l’austerità della troika. Come è noto, non ha avuto un grande ascolto. I media mainstreaming danno risalto a quando lui si reca alle riunioni europee, ma non hanno niente da narrare, oltre che il viaggio. Però è stato bravo a fare battute anche su Tsipras: “non faccia il furbo”. Da un capo di governo ad un altro capo di governo (eletto): roba da allibire. Ma è cominciata con Berlusconi: le corna, l’abbronzatura di mister Obama, la caciara al cospetto di Elisabetta II, la Merkel, come dire con una perifrasi, non meritevole di attenzione sessuale, e via così, tra nani e ballerine. Le parentesi Monti e Letta,senz’altro credibili, da questo punto di vista, sono state troppo brevi (per fortuna). Certo, conta anche il potere reale di un Paese, la sua solidità politica, la sua capacità economica e la sua coesione sociale. Ma la serietà è fondamentale. E noi assistiamo sconsolati a rapporti binari, Merkel-Hollande, Obama- Merkel, come prima Merkel-Sarkosy, e l’unico italiano che sembra ascoltato è un banchiere, Mario Draghi. Meditiamo. 

sabato, luglio 04, 2015

Se la Grecia viene abbandonata a se stessa

Sarò molto debitore, in queste righe, di un bellissimo articolo scritto pochi giorni fa da Massimo Cacciari. Devo dire, intanto, che non sopporto i giuochi linguistici sciocchi, i calembour come il termine “Grexit”: signori, siamo seri, mi viene da dire.  E mi interessa, certo, essendo cittadino europeo, ciò che accadrebbe all’Europa nel caso in cui la Grecia venisse abbandonata a se stessa, fuori dalla UE e dall’area euro; ma mi interessa, ora e principalmente, cosa accadrebbe ALLA GRECIA. Al di là di una valutazione puramente umana, debitrice di quel senso di umanità che il nostro beneamato Occidente ha costruito nel corso di millenni di storia e che ora naufraga in continuazione nelle profondità del mare Mediterraneo, sulle frontiere spagnole, sugli scogli di Ventimiglia, che cosa è la Grecia, per noi europei? Moltissimo. Riassumo cosa scrive Cacciari, nell’articolo che ho citato: per la cultura europea, la memoria della nostra comune nascita in Grecia è tutta attiva e immaginativa: non si dà formazione, non può essere pensata una costruzione-e una educazione della persona umana nella integrità e nella complessità delle sue dimensioni senza questa “figliolanza”. La Grecia fuori dall’Europa sarebbe una ferita immedicabile.  Si può dire che queste siano romanticherie? Non è così. Scrive ancora Cacciari: “L’Europa può ora pensare di dimenticare la Grecia, perché rinuncia a svolgere una grande politica, la quale può fondarsi soltanto sulla coscienza di costituire un’unità di distinti, aventi comune provenienza e comune destino. Se questa coscienza vi fosse stata, avremmo avuto una politica mediterranea, piani strategici di sostegno economico per i Paesi dell’altra sponda, un ruolo attivo in tutte le crisi mediorientali”. E, per favore, non diciamo cose come “hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità”: ma chi lo ha fatto? I potentati politici ed economici. Non certo la gente comune, che viene bastonata, come dappertutto. Il debito greco è certamente insostenibile: ma, se l’Europa vorrà continuare ad essere degna del suo nome, dovrà aiutare la Grecia a venirne  fuori, non a gettarla in una tomba. Sarebbe la tomba di tutti noi. Anche della ricca Germania. Forza Grecia.

sabato, giugno 20, 2015

Storia, la mia, di un esame di maturità

Il mondo ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale. Erano gli anni ‘70, anni di contestazione

Forza ragazzi, il futuro vi attende, abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate
di Daniele Tamburini

L'esame di maturità non si dimentica, è un ricordo indelebile: penso che sia così per tutti. Non ero preoccupato, ero abbastanza tranquillo, ma la notte prima non ho chiuso occhio. Una notte insonne trascorsa ad ascoltare musica, la musica che mi piaceva: Emerson, Lake and Palmer, King Crimson, Gentle Giant. Avvenne molti anni, anzi, molti decenni fa: era il 1974. E’ vero, erano gli anni '70, anni di contestazione, “no alla scuola dei padroni”, si cantava nei cortei. Ma io ero sempre stato un po’ solitario, un po’ secchione, e alla scuola ci tenevo, eccome, anche perché in famiglia, pur composta da gente semplice e illetterata, lo studio era considerato essenziale, direi sacrosanto. Insomma, a quell’esame ci tenevo, e molto. Una maturità scientifica, all’epoca, era importante: ci si sentiva persone preparate, in grado di affrontare quell’Università che doveva essere un percorso obbligato. Come cantavano i Nomadi, effettivamente, la nostra era una generazione preparata. Il mondo, intorno a me, ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale, e per il gran caldo. La crisi petrolifera e l'austerità avevano tolto alla gente alcune solide certezze; inoltre, c'erano state, terribili, le stragi: Piazza della Loggia, poi l'Italicus; si parlava di preparativi di golpe, di caserme in stato di allerta. Il ministro di allora, Tanassi, non smentì, e alimentò la tensione. Pochi mesi prima si era svolto il referendum sul divorzio: la prima volta in cui parte dell'elettorato democristiano non seguì il partito, una debacle per Amintore Fanfani. Bollivo anch’io, perché, proprio come in una famosa canzone di Antonello Venditti, mi piaceva una moretta che filava tutti, meno che me. Alternavo lo studio a qualche riunione al collettivo studentesco (che comunque frequentavo) e alle partite di calcetto, che servivano moltissimo, anche per sfogare la tensione. Inoltre, la moretta veniva a vederci, insieme alle sue amiche … Nella città toscana in cui crescevo, quell'estate faceva tanto caldo: la maturità iniziava più tardi di quanto accada oggi. Ricordo che finii a luglio inoltrato: un dramma. Per fortuna, qualche anno prima, nel 1969, un benemerito ministro (benemerito anche per altri motivi), e cioè Fiorentino Sullo, aveva riformato l’esame, portandolo a due prove scritte e a due materie per il colloquio (di cui una a scelta del candidato), con una commissione esterna, ma con un componente interno. Intorno, ho già detto, il mondo ribolliva e stava cambiando in profondità, e noi volevamo esserci; io, nonostante tutto, volevo esserci. I modelli culturali tradizionali subivano una trasformazione radicale. Il boom degli anni Sessanta e le condizioni economiche della classe lavoratrice, migliorate dopo le lotte sindacali, avevano provocato un incremento dei consumi. Gli studenti protestavano contro un sistema scolastico e universitario fermo e chiuso, gli operai volevano più potere nelle fabbriche, le donne non accettavano più il potere patriarcale. Per parafrasare Mao Ze Dong, una grande confusione sotto il cielo. Ma era eccellente la situazione? A me sembrava di sì: e r a v a m o f i d u c i o s i nell’avvenire e pieni di speranza, anche se avremmo voluto cambiare tutto. Delle prove da me sostenute ricordo tutto. Furono italiano e matematica per lo scritto, e portai filosofia e fisica all’orale. In matematica presi un voto esaltante: nove e mezzo con elogio da parte del professore, un tipo molto elegante, con la barba curatissima. In filosofia non andò bene: avevo portato un percorso che, partendo da Leopardi, portava a Schopenhauer e approdava ai pre-marxisti. Il professore si incavolò: “Basta con questi pre-marxisti, mi parli di Kant”. Kant si faceva in quarta, e poi non mi piaceva: un disastro. E dire che la mia professoressa mi aveva messo in guardia. Per fortuna, nelle altre materie ero al massimo dei voti. Nei giorni precedenti a quello dell’orale, mi azzardai ad andare ad ascoltare alcuni amici che erano, nel frattempo, esaminati. L’avessi mai fatto … I docenti mi sembrarono orchi, che avrebbero potuto mangiare in un boccone la nostra, pur robusta, prof di lettere (un must!) che era la componente interna. Circolavano svariate leggende metropolitane: a un candidato avevano lanciato il foglio protocollo con il tema svolto, un altro era uscito piangendo, e via così. Ma una cosa la voglio raccontare: accadde che a qualcuno fosse chiesta l’altezza precisa del poeta Giacomo Leopardi. La cosa riempì d’orrore chi “portava” italiano come prova orale: hai visto mai che avessero potuto chiedere la circonferenza del giro vita di Carducci o il numero di scarpa di Guido Gozzano? Io gongolavo, forte delle mie scelte, ma poi mi venne un dubbio atroce: e se mi avessero chiesto l’altezza di Friedrich Hegel? Naturalmente, era tutta una burletta, ma che uscì, seppur con tono dubitativo, anche sul quotidiano locale. Della maturità di oggi so poco. Mia figlia è tranquilla e questo mi fa piacere. I temi scelti quest’anno mi sono sembrati di buon livello: su ognuno, a mio parere, ci sarebbe stato da scrivere molto. “Ma non sono argomenti trattati nei programmi”, ho sentito dire. Beh, questa mi pare una triste condizione di resa della scuola, che avrebbe bisogno di meno chiacchiere sulla managerialità etc., e più consistenza e capacità di insegnamento in senso verticale. Cosa voglio dire? In maniera completamente, visceralmente contraria a quanto ha sostenuto Alessandro Baricco, credo che la scuola debba essere capace di insegnare che la cultura non è un surfing su una superficie scintillante, ma è capacità di muoversi in verticale, nelle profondità del pensiero e nelle altezze dell’arte, della speculazione matematica, della poesia, della musica, in un movimento incessante e altamente formativo. In questo modo, io credo, si insegna a diventare davvero colti, ad affrontare, cioè, la vita in grado di conquistare la capacità di valutazione perspicua, di critica costruttiva, e di farsi una cultura propria, anche se “non è nel programma”. Ma questo movimento del pensiero e dello spirito non potrebbe certo essere valutato con i test Invalsi. Ditemi voi, chi ha interesse a governare su un popolo colto? Comunque, ad ognuno il suo tempo: io me lo sono goduto e non ho rimpianti. Forza ragazzi, il futuro (forse un futuro meno spensierato) vi attende. Abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate.