Dopo la sentenza di condanna per i dirigenti Tamoil, abbiamo intervistato Sergio Ravelli e Gino Ruggeri
di Michele Scolari
Nel processo celebrato con rito abbreviato davanti al gup di Cremona Guido
Salvini, in cui cinque manager della Tamoil di Cremona erano chiamati a
rispondere dell'inquinamento della falda acquifera causato, secondo l'accusa,
dalla raffineria cremonese, il gup Guido Salvini ha emesso quattro condanne per
disastro ambientale e un’assoluzione. «Una sentenza – aveva commentato a margine
il pm Fabio Saponara – che rende giustizia all’intera città», mentre l’azienda
aveva ribadito la «piena fiducia nei propri manager», convinta della loro
«assoluzione in appello». All’indomani, restano molti problemi aperti, dai tempi
di effettuazione della bonifica alla ricollocazione del personale, e alcuni
interrogativi, tra cui la mancata costituzione di parte civile da parte del
Comune di Cremona. All’origine dellìinquinamento, secondo gli elementi contenuti
nel fascicolo istruito dal pm Fabio Saponara lo scorso ottobre a partire da un
esposto anonimo pervenuto alla Procura di Cremona, vi sarebbero stati la rete
fognaria vetusta ed altamente compromessa nonché i ritardi della dirigenza negli
interventi (ritardi riconducibili ad «un discorso di risparmio economico», come
aveva dichiarato un teste in aula, riferendo che «l’indirizzo generale era
risparmiare ovuqnue»). Di questi problemi abbiamo parlato con Sergio Ravelli, da
sempre in prima linea con i Radicali «contro l’inquinamento prodotto dalla
raffineria Tamoil», che «è stato non solo di natura ambientale, ma anche
economico, sociale e politico». Dopo anni di sit-in, pubblici dibattiti,
petizioni popolari e interrogazioni parlamentari, come interpreta la sentenza?
«Solo la cocciutaggine dei Radicali ha consentito di arrivare a questo processo.
Ora che l'accertamento della verità è iniziato e ha trovato una prima verifica
con la sentenza del giudice Salvini, è tempo che la comunità cremonese e chi
oggi la rappresenta rialzino la testa per rivendicare il proprio diritto di
vivere in un ambiente salubre, anche politicamente».
Secondo Lei perché il
Comune, guidato dalla Giunta Perri, non si costituì parte civile?
«La giunta
Perri ha rappresentato solo il terminale occasionale di un sistema politico,
sindacale e istituzionale, di destra, di centro e di sinistra, genuflesso di
fronte al potere economico della multinazionale libica. C'è chi si è genuflesso
per sudditanza e chi per connivenza. Tutti, comunque, hanno ceduto al cosiddetto
“ricatto occupazionale”. Tutti, tranne i Radicali».
Di fronte all'entità della
sentenza appare ancor più grave la mancata costituzione di parte civile del
Comune?
«Quando nell'aprile 2011, in piena emergenza ambientale, si firma un
accordo in cui la controparte Tamoil si autoassolve da ogni responsabilità
dell'inquinamento in corso, ben prima che abbia inizio l'accertamento delle
responsabilità, ci si preclude colpevolmente la possibilità di difendere
un'intera comunità dai gravi danni subiti».
Chi avrebbe dovuto vigilare ha
sempre sostenuto di aver appreso dell'inquinamento nel 2007, "dalla stampa"...
«Non è necessario essere degli esperti per sapere che le raffinerie, di per sé,
hanno un forte impatto ambientale. Per questo devono essere attentamente
monitorate, soprattutto dopo decenni di attività produttiva. Impianti obsoleti,
serbatoi e reti fognarie non sottoposti a manutenzioni e a risanamenti periodici
costituiscono delle minacce permanenti. In ogni caso, fin dall'autodenuncia
Tamoil del 2001, l'inquinamento all'interno del sito industriale era certo.
Bastava mettere qualche piezometro all'esterno per constatare che la
contaminazione si era estesa oltre il perimetro aziendale. Per fare ciò si è
aspettato fino al 2007. E' evidente che gli enti pubblici preposti alla
vigilanza e ai controlli ambientali non hanno fatto il loro dovere».
La verità
sulle perdite del sistema fognario all'origine dell'inquinamento nonché sulle
responsabilità di parte della dirigenza è emersa in seguito ad un esposto
anonimo. Una casualità dell'ultima ora o, forse, una realtà che non doveva
emergere?
«Da anni, come Radicali, in solitudine, segnalavamo le possibili fonti
dell'inquinamento: rete fognaria e serbatoi, in gran parte costruiti negli anni
'50. Il procedimento giudiziario è stato l'occasione per rompere finalmente
l'omertà generale».
Ora l'urgenza primaria è la bonifica e la ricollocazione del
personale. Due priorità che rischiano di restare un miraggio?
«I buoni risultati
ottenuti sul fronte occupazionale (rispetto ad altre crisi aziendali le
sofferenze lavorative sono state contenute, anche se ancora da affrontare e
risolvere) non sono stati accompagnati da concreti risultati sui fronti
ambientale e industriale. L'accordo sottoscritto oltre tre anni fa da enti
locali, sindacati e Tamoil è stato largamente disatteso e si sta rivelando
sempre più un accordo-bidone: la dismissione degli impianti non è ancora
avvenuta, la bonifica - sia interna che esterna - non si farà e, di conseguenza,
il riutilizzo produttivo delle aree dismesse (oltre 650.000 mq) non è più
all'ordine del giorno. Opportunamente il dispositivo della sentenza Salvini
prevede per i due manager condannati per disastro ambientale colposo la
sospensione della pena solo se proseguirà il ripristino ambientale e se verrà
avviata la bonifica. Ma la prospettiva rimane incerta. Temo che l'occasione
storica per rimediare al disastro ambientale causato dalla Tamoil sia stata
perduta. Nel marzo 2001, con la chiusura della raffineria, la guerra in Libia e
la caduta del rais Gheddafi, c'erano le condizioni concrete per tutelare gli
interessi della città attraverso un'azione conservativa nei confronti dei beni
Tamoil-Oilinvest (bloccati, come tutte gli enormi fondi libici in Europa, dalle
sanzioni Onu). La classe politica cremonese (la grande ammucchiata
partitocratica) ha scelto diversamente e si è accontentata di un piatto di
lenticchie!».
Gino Ruggeri: «Quell’area rischia di essere compromessa per sempre»
Il protagonista, suo malgrado, della vicenda Tamoil si chiama Gino Ruggeri.
Una persona come tante, che però ha fatto una scelta coraggiosa: costituirsi
parte civile in vece del Comune di Cremona, che aveva deciso di non costituirsi.
«Come Radicali abbiamo seguito le vicende di Tamoil da tempo immemore, fin dal
1985, quando si rinnovò la concessione alla raffineria, e noi fummo gli unici ad
opporci ». Poi si arrivò al 2007 quando emerse lo scandalo dell'inquinamento e
furono avviate le indagini. «L'accordo che il Comune stipulò con Tamoil era
tutt'altro che vantaggioso, sia dal punto di vista ambientale che lavorativo,
nonostante quanto afferma Pizzetti» ci dice Ruggeri. Un accordo che impedì al
Comune di costituirsi parte civile, secondo quanto ha affermato più volte lo
stesso Perri. «Comprendemmo che il Comune non voleva costituirsi parte civile,
così valutammo di ripetere esperienze già portate avanti da altri radicali in
altre città, facendolo come cittadini. Io ci ho messo il nome, ma è stato un
lavoro collettivo, in cui hanno preso parte avvocati, ingegneri e altri
professionisti. Abbiamo permesso che il Comune portasse a casa un milione, ma
potrebbero arrivarne altri, nelle successive fasi del processo». Secondo Ruggeri
«sul versante politico abbiamo visto una connivenza silenziosa da parte
dell'amministrazione. Ma anche sotto l'aspetto più burocratico e amministrativo,
si è assistito a una carenza di competenze. L'Arpa, che doveva essere l'organo
di controllo, è uscita con le ossa a pezzi, perché non ha fatto nulla di quanto
avrebbe dovuto, come è emerso dal processo. Tanto che è dovuta intervenire la
magistratura, che si è letteralmente sostituita alle istituzioni ». Intanto il
fronte ambientale rimane una ferita aperta: «E' assurdo che Tamoil non sia
obbligata a bonificare l'area solo perché ha una piccola attività in essere
sulla stessa. Quella zona della città, dopo tanti anni, rischia di restare
compromessa per sempre». Nei giorni scorsi Ruggeri ha incontrato la nuova
amministrazione. Il sindaco Galimberti ha chiesto a Ruggeri di mettere a
disposizione del Comune tutta la documentazione in loro possesso in modo da
poterla consultare.
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