In qualche numero fa ci siamo divertiti a prendere in giro i luoghi comuni.
Occorre avere cura della lingua, dicevamo: perché, citando Nanni Moretti, “chi
parla male pensa male”. Ora, se considerassimo il linguaggio che utilizziamo con
cuore puro e libera mente, avremmo delle belle sorprese. Sorvoliamo sul
terribile italiano burocratico: da “obliterare il titolo di viaggio”, invece che
“timbrare il biglietto”, a “previo versamento del corrispettivo”, invece di
“dopo avere pagato la somma dovuta”. Voglio soffermarmi su un fenomeno che non è
solo dovuto alla misoginia che ancora si aggira tra di noi, ma alla pessima
conoscenza della lingua, con esilaranti sgrammaticature, e anche al cattivo
giornalismo: l’uso scorretto del genere. Esilarante, dicevo. Abbiamo potuto
leggere, anni fa, che il sindaco di ... aspettava un bambino da... O che il
sottotenente... convolava a giuste nozze con il capitano... Per fortuna che ci
ha messo una parola conclusiva la benemerita Accademia della Crusca: se si dice
“cameriere” e “cameriera”, allora si dice anche “direttore” e “direttora”,
“assessore” e “assessora”. “Sindaco” e “sindaca”, certamente. Niente più dubbi,
quindi, si dice chirurga, ministra, avvocata e così via, non esistono due
opzioni, “Il genere è un parametro fisso come lo è un numero, è un meccanismo
regolatore della nostra lingua”. Lo dice la suddetta Accademia che insieme ad
un’associazione di giornaliste ha presentato, poco tempo fa, alla presenza di
Laura Boldrini, “la” presidente della Camera, un manuale che coadiuvi nello
scrivere in maniera corretta anche dal punto di vista del genere. E il rispetto
del genere presto sarà applicato in tutti i documenti ufficiali. Non è cosa
strana. E’ solo grammatica italiana. #sappiatelo.
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