Non dirò dove, non dirò di quale sindaco si tratti, ma ha avuto risonanza
nazionale un episodio. Un (semplice) cittadino chiede al (primo) cittadino:
perché non annaffiate i giardini? E il (primo) cittadino: perché non li annaffia
lei. Una “bella” risposta: c'è di cui riflettere. Un tentativo di convolgere i
cittadini per il rispetto e la salvaguardia del bene pubblico? Una
partecipazione attiva della popolazione all'interesse comune? Oppure una
dichiarazione di impotenza dell'ente pubblico? Allora, irresistibilmente, ho
pensato all'inceneritore di Cremona. Direte voi: ma è matto? Il caldo gli ha
dato alla testa? No. Seguite il mio ragionamento. Quel primo cittadino ha,
semplicemente e tragicamente, secondo me, abdicato (forse in modo inconsapevole)
al suo dovere. C'è una precisa responsabilità politica e amministrativa, che non
si può esercitare solo quando le cose vanno a gonfie vele: per cui, ad esempio,
se in campagna elettorale si promette che, tanto per dire, si dismetterà
l'inceneritore a Cremona, l'inceneritore va dismesso. Se poi ci si avveda (e
dico se) che quella promessa forse era un po' avventata, e che chiuderlo
significhere un grosso sacrificio per le casse della comunità, che cosa resta da
fare? Una prima domanda, intanto,è: quanto vale la salute dei cittadini? Seconda
domanda: se la salute in giuoco è dei cittadini, perchè non far decidere a loro?
E qui faccio mia la proposta di Danilo Toninelli, deputato del Movimento Cinque
Stelle, il quale invita il Sindaco a indire un referendum popolare consultivo
sulla questione inceneritore. Facciamo decidere alla gente. Tornare, ogni tanto,
a quelle pratiche, oramai desuete, di vera democrazia a me non dispiace. A voi?
sabato, luglio 25, 2015
sabato, luglio 18, 2015
Non siamo capaci di ribellarci
Mi pare che fosse il professor Vittorino Andreoli a definire l’Italia un
Paese malato. Pieno di masochisti ed esibizionisti allo stesso tempo, quindi
incapace di mettere in moto le proprie forze migliori, stretto nella forbice tra
autodenigrazione e bullismo parolaio; di individualisti costantemente recitanti,
sostanzialmente incapaci di fare squadra, buoni solo a mettere in scena il
proprio – io – tronfio. Ovviamente, come tutte le generalizzazioni questo
giudizio era ingeneroso nei confronti di chi è serio, lavora sodo e non vive la
vita come un perenne teatrino. Però, c’è del vero. A partire da un dato: mi pare
che sia impossibile, ormai, una situazione in cui la lotta politica si sviluppi
in maniera bellicosa, dura, serrata, ma non criminale. La parola è forte? Se
credete di sì, pensate al “metodo Boffo”. Se si fa una ricerca sul web, apparirà
questa definizione: “campagna di stampa basata su bugie allo scopo di screditare
qualcuno”. Dino Boffo, allora direttore di “Avvenire”, periodico molto duro nei
confronti dello stile di vita di Berlusconi, fu oggetto, da parte de “Il
Giornale”, di accuse infamanti. Si sa che la calunnia, quando pure sia
comprovata tale, lascia comunque una sporca, anche se inconsistente, ombra di
dubbio. Accuse del genere, pur se comprovatamente false, ti rovinano la vita. È
quanto sta avvenendo a Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia. Il
settimanale “l’Espresso” esce con questa notizia: in una intercettazione, il
medico personale di Crocetta avrebbe detto all’uomo politico: “La Borsellino va
fatta fuori come il padre”, e il presidente non avrebbe reagito. Crocetta nega
disperatamente di aver mai ascoltato quelle parole e si autosospende. Nel giro
di poche ore, la magistratura interviene e dice: non c’è traccia, agli atti, di
alcuna intercettazione in cui si dicano quelle cose. E allora? Una congiura
politica? Una resa dei conti? Una guerra per bande dentro il Pd? Sto,
semplicemente, riportando tutte le ipotesi che vengono fatte. Una cosa è certa:
in Italia ci sono tante persone oneste e perbene, ma c’è anche un gran
verminaio. Aveva ragione Andreoli: questo è un Paese malato. Malato grave. Ma
ancora più grave è il fatto che non siamo capaci di ribellarci, quasi che la
nostra psiche fosse programmata ad accettare tutto, intenti solo a salvaguardare
quel piccolo orticello che, se pur precario, temiamo di perdere.
sabato, luglio 11, 2015
... Come il due di coppe quando briscola è bastoni
Qualcuno si ricorda di Sigonella? Un aereo atterrato con a bordo alcuni
rappresentanti dell’Olp e i dirottatori della “Achille Lauro”, gli americani
che, armi in pugno, ne pretendevano la consegna, l’Italia, presidente del
consiglio Bettino Craxi, che a sua volta metteva sotto assedio i militari
americani, sulla base delle leggi riguardanti le competenze territoriali e un
semplice principio: non potete fare i gradassi a casa nostra. E non vuol essere,
il mio, un peana a Craxi, inventore e autore di molti dei meccanismi perversi
che hanno reso il nostro Paese quel che è. Però è indubbio che l’Italia ha
avuto, per molti anni, un forte ruolo internazionale, di cui oggi non è rimasta
traccia. Vogliamo parlare di Andreotti? Per decenni, quantomeno nello scacchiere
mediterraneo, non si è mossa foglia che il divo Giulio non conoscesse e a cui
non consentisse. Un patrimonio disperso, quello della grande scuola diplomatica
italiana? Una perdita di incisività, di credibilità? Pare proprio di sì. Renzi
ha piazzato Federica Mogherini, con grande fanfara, come Alto rappresentante
dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma poi?
Nella crisi greca abbiamo avuto un ruolo simile a quello del Botswana e
dell’Ecuador. Ma loro non c’entrano, direte. Appunto. Renzi diventò presidente
del consiglio con grandi proclami sulla necessità di correggere l’austerità
della troika. Come è noto, non ha avuto un grande ascolto. I media mainstreaming
danno risalto a quando lui si reca alle riunioni europee, ma non hanno niente da
narrare, oltre che il viaggio. Però è stato bravo a fare battute anche su
Tsipras: “non faccia il furbo”. Da un capo di governo ad un altro capo di
governo (eletto): roba da allibire. Ma è cominciata con Berlusconi: le corna,
l’abbronzatura di mister Obama, la caciara al cospetto di Elisabetta II, la
Merkel, come dire con una perifrasi, non meritevole di attenzione sessuale, e
via così, tra nani e ballerine. Le parentesi Monti e Letta,senz’altro credibili,
da questo punto di vista, sono state troppo brevi (per fortuna). Certo, conta
anche il potere reale di un Paese, la sua solidità politica, la sua capacità
economica e la sua coesione sociale. Ma la serietà è fondamentale. E noi
assistiamo sconsolati a rapporti binari, Merkel-Hollande, Obama- Merkel, come
prima Merkel-Sarkosy, e l’unico italiano che sembra ascoltato è un banchiere,
Mario Draghi. Meditiamo.
sabato, luglio 04, 2015
Se la Grecia viene abbandonata a se stessa

sabato, giugno 20, 2015
Storia, la mia, di un esame di maturità
Il mondo ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale. Erano gli anni ‘70, anni di contestazione
Forza ragazzi, il futuro vi attende, abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate
di Daniele Tamburini
di Daniele Tamburini
L'esame di maturità non si dimentica, è un ricordo indelebile: penso che sia
così per tutti. Non ero preoccupato, ero abbastanza tranquillo, ma la notte
prima non ho chiuso occhio. Una notte insonne trascorsa ad ascoltare musica, la
musica che mi piaceva: Emerson, Lake and Palmer, King Crimson, Gentle Giant.
Avvenne molti anni, anzi, molti decenni fa: era il 1974. E’ vero, erano gli anni
'70, anni di contestazione, “no alla scuola dei padroni”, si cantava nei cortei.
Ma io ero sempre stato un po’ solitario, un po’ secchione, e alla scuola ci
tenevo, eccome, anche perché in famiglia, pur composta da gente semplice e
illetterata, lo studio era considerato essenziale, direi sacrosanto. Insomma, a
quell’esame ci tenevo, e molto. Una maturità scientifica, all’epoca, era
importante: ci si sentiva persone preparate, in grado di affrontare
quell’Università che doveva essere un percorso obbligato. Come cantavano i
Nomadi, effettivamente, la nostra era una generazione preparata. Il mondo,
intorno a me, ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e
sociale, e per il gran caldo. La crisi petrolifera e l'austerità avevano tolto
alla gente alcune solide certezze; inoltre, c'erano state, terribili, le stragi:
Piazza della Loggia, poi l'Italicus; si parlava di preparativi di golpe, di
caserme in stato di allerta. Il ministro di allora, Tanassi, non smentì, e
alimentò la tensione. Pochi mesi prima si era svolto il referendum sul divorzio:
la prima volta in cui parte dell'elettorato democristiano non seguì il partito,
una debacle per Amintore Fanfani. Bollivo anch’io, perché, proprio come in una
famosa canzone di Antonello Venditti, mi piaceva una moretta che filava tutti,
meno che me. Alternavo lo studio a qualche riunione al collettivo studentesco
(che comunque frequentavo) e alle partite di calcetto, che servivano moltissimo,
anche per sfogare la tensione. Inoltre, la moretta veniva a vederci, insieme
alle sue amiche … Nella città toscana in cui crescevo, quell'estate faceva tanto
caldo: la maturità iniziava più tardi di quanto accada oggi. Ricordo che finii a
luglio inoltrato: un dramma. Per fortuna, qualche anno prima, nel 1969, un
benemerito ministro (benemerito anche per altri motivi), e cioè Fiorentino
Sullo, aveva riformato l’esame, portandolo a due prove scritte e a due materie
per il colloquio (di cui una a scelta del candidato), con una commissione
esterna, ma con un componente interno. Intorno, ho già detto, il mondo ribolliva
e stava cambiando in profondità, e noi volevamo esserci; io, nonostante tutto,
volevo esserci. I modelli culturali tradizionali subivano una trasformazione
radicale. Il boom degli anni Sessanta e le condizioni economiche della classe
lavoratrice, migliorate dopo le lotte sindacali, avevano provocato un incremento
dei consumi. Gli studenti protestavano contro un sistema scolastico e
universitario fermo e chiuso, gli operai volevano più potere nelle fabbriche, le
donne non accettavano più il potere patriarcale. Per parafrasare Mao Ze Dong,
una grande confusione sotto il cielo. Ma era eccellente la situazione? A me
sembrava di sì: e r a v a m o f i d u c i o s i nell’avvenire e pieni di
speranza, anche se avremmo voluto cambiare tutto. Delle prove da me sostenute
ricordo tutto. Furono italiano e matematica per lo scritto, e portai filosofia e
fisica all’orale. In matematica presi un voto esaltante: nove e mezzo con elogio
da parte del professore, un tipo molto elegante, con la barba curatissima. In
filosofia non andò bene: avevo portato un percorso che, partendo da Leopardi,
portava a Schopenhauer e approdava ai pre-marxisti. Il professore si incavolò:
“Basta con questi pre-marxisti, mi parli di Kant”. Kant si faceva in quarta, e
poi non mi piaceva: un disastro. E dire che la mia professoressa mi aveva messo
in guardia. Per fortuna, nelle altre materie ero al massimo dei voti. Nei giorni
precedenti a quello dell’orale, mi azzardai ad andare ad ascoltare alcuni amici
che erano, nel frattempo, esaminati. L’avessi mai fatto … I docenti mi
sembrarono orchi, che avrebbero potuto mangiare in un boccone la nostra, pur
robusta, prof di lettere (un must!) che era la componente interna. Circolavano
svariate leggende metropolitane: a un candidato avevano lanciato il foglio
protocollo con il tema svolto, un altro era uscito piangendo, e via così. Ma una
cosa la voglio raccontare: accadde che a qualcuno fosse chiesta l’altezza
precisa del poeta Giacomo Leopardi. La cosa riempì d’orrore chi “portava”
italiano come prova orale: hai visto mai che avessero potuto chiedere la
circonferenza del giro vita di Carducci o il numero di scarpa di Guido Gozzano?
Io gongolavo, forte delle mie scelte, ma poi mi venne un dubbio atroce: e se mi
avessero chiesto l’altezza di Friedrich Hegel? Naturalmente, era tutta una
burletta, ma che uscì, seppur con tono dubitativo, anche sul quotidiano locale.
Della maturità di oggi so poco. Mia figlia è tranquilla e questo mi fa piacere.
I temi scelti quest’anno mi sono sembrati di buon livello: su ognuno, a mio
parere, ci sarebbe stato da scrivere molto. “Ma non sono argomenti trattati nei
programmi”, ho sentito dire. Beh, questa mi pare una triste condizione di resa
della scuola, che avrebbe bisogno di meno chiacchiere sulla managerialità etc.,
e più consistenza e capacità di insegnamento in senso verticale. Cosa voglio
dire? In maniera completamente, visceralmente contraria a quanto ha sostenuto
Alessandro Baricco, credo che la scuola debba essere capace di insegnare che la
cultura non è un surfing su una superficie scintillante, ma è capacità di
muoversi in verticale, nelle profondità del pensiero e nelle altezze dell’arte,
della speculazione matematica, della poesia, della musica, in un movimento
incessante e altamente formativo. In questo modo, io credo, si insegna a
diventare davvero colti, ad affrontare, cioè, la vita in grado di conquistare la
capacità di valutazione perspicua, di critica costruttiva, e di farsi una
cultura propria, anche se “non è nel programma”. Ma questo movimento del
pensiero e dello spirito non potrebbe certo essere valutato con i test Invalsi.
Ditemi voi, chi ha interesse a governare su un popolo colto? Comunque, ad ognuno
il suo tempo: io me lo sono goduto e non ho rimpianti. Forza ragazzi, il futuro
(forse un futuro meno spensierato) vi attende. Abbiamo tanto, ma proprio tanto,
bisogno di persone preparate.
sabato, giugno 13, 2015
Non ci affosserà la crisi, ma questo sentore
La stanno definendo “mafia senza lupara”: è quella che ha spadroneggiato a
Roma (e fosse solo Roma, e fosse che si può esser certi di usare il verbo al
passato). A dire la verità, non avrei voluto affrontare l’argomento, perché, e
lo dico con una parola, mi vergogno. Mi vergogno, come cittadino di questo
Paese, a leggere le intercettazioni, con le volgarità e l’assoluta mancanza di
scrupoli dimostrata dai vari protagonisti. Mi vergogno per le parole usate:
mucche da mungere, mammelle da tirare… a questo, sono ridotte le istituzioni? E
si sa, qualcuno vuole ancora minimizzare: ma è proprio su questa pratica, sul
“che vuoi che sia”, sul “lo fanno tutti”, sul “meglio non andare a fondo”, che
si basano tutte le mafie, con lupara e senza. Hanno fatto bene gli esponenti di
governo che hanno detto parole molto dure sull’accaduto, compreso Renzi. Ma io
vorrei chiedere loro, che siano Renzi o Alfano eccetera: non vi fate delle
domande? Va bene dire che sbatterete fuori i corrotti. Ma non vi chiedete perché
questo accada e da così tanti anni, perché, quali ne sono i motivi, dove si
annida il capo della serpe. Come è possibile? Perché? come facciamo a tornare
indietro? Come è possibile che, nello stesso Paese, ci siano gli Odevaine, i
Carminati, i Buzzi e compagnia cantante, e poi, magari, un poveraccio viene
tartassato da Equitalia perché ha commesso un errore. Ma dove stanno la
giustizia, l’onestà, la verità? Cosa raccontiamo ai nostri figli? Ho la netta
sensazione che non sarà la crisi ad affossarci, ma questo sentore nauseabondo di
lercio che si leva da troppe parti, che ammorba le istituzioni e la società
civile. Ecco, non vorrei usare toni da predicatore, ma perdinci, svegliamoci,
facciamoci sentire, diamoci una mossa. (PS: sapete cosa c’è scritto nell’art.
54, comma 2 della nostra Costituzione? “I cittadini cui sono affidate funzioni
pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Era un altro
mondo).
sabato, maggio 30, 2015
Coraggio, che il meglio è passato
Siamo agli ultimi fuochi (si fa per dire…) della campagna elettorale per il
rinnovo di consigli e presidenti in 7 regioni e di consigli e sindaci in 1.089
comuni. Un test importante, sul quale le varie forze politiche contano per
capire come procederà il futuro governativo e istituzionale del Paese: e lo sa
molto bene Matteo Renzi, che si è dato un gran daffare per sostenere il suo
partito, quel Pd di cui è anche (non dimentichiamolo) segretario. Bravo, lui,
che riesce a tenere separati i cappelli di capo del governo e segretario di
partito… ammesso che lo faccia davvero. Renzi non pare arcisicuro di un grande
successo, e si è lanciato in spericolati pronostici di stampo vagamente
calcistico (“dovesse finire 4 a 3…”) o tennistico (“conto nel 6 a 1”…). Mah,
ormai dovremmo esserci abituati, al presidente tifoso, al presidente vicino al
popolo, al presidente che si fa le selfie con gli operai… deja vu, ma chissà che
non paghi ancora. Una cosa è certa: la partita o il set, come la si voglia
definire, appassiona senz’altro il personale politico e d’altronde è il loro
mestiere, e pazienza se, per qualcuno, si prefigura eventualmente
l’eleggibilità, ma poi l’obbligo di dimissioni (roba da matti, vicenda pazzesca,
quella del piddino De Luca, che neppure nei peggiori incubi istituzionali
avrebbe potuto prevedersi). Il fatto è che si teme un enorme astensionismo. Ma
voi, ne sentite parlare, al bar, al mercato, per strada, delle elezioni
regionali? Va bene, in Lombardia non si vota, ma mi dicono che sia così
dappertutto. E se ciò si dimostrasse vero, andremo avanti così, senza colpo
ferire, assistendo allo sgretolamento delle basi partecipative della nostra
Repubblica? Intanto, ho letto nuovi dati: l'Italia è l'ultimo tra i 34 Paesi
Oese per occupazione giovanile (oltre il 40%). I “Neet”, i giovani né
(lavoro)-né (studio) sono arrivati al 26,09%, e non si sono ridotti neanche con
la recente riforma del lavoro. L'abbandono scolastico si unisce alla mancanza
delle competenze giuste. È vero, si vota per le regionali e comunali, non per le
politiche, ma anche Regioni e Comuni potrebbero fare cose molto serie per
provare ad intervenire su questi dati: quelli che si eleggeranno e quelli che
abbiamo già eletto. Forza, altrimenti la “generazione perduta” di mariomontiana
memoria rischierà di essere declinata al plurale. E però l'Istat ci annuncia,
dati alla mano, la fine della recessione. Speriamo che sia vero. Intanto,
coraggio, che il meglio è passato.
sabato, maggio 23, 2015
Almeno avessimo imparato qualcosa...
Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è
ottimista: i segnali di ripresa sono sempre più evidenti, il peggio della crisi
è dietro le spalle. Ci sarà ancora da lavorare molto, ma la strada è quella
giusta. E’ un segnale che giunge anche dal mondo imprenditoriale: il clima,
insomma, è cambiato. Giorni fa pensavo a come verrà narrata, tra cinquanta -
sessanta anni, questa storia. Si parlerà, mi auguro, della forza d’animo di chi
ha resistito, ha reagito, e spero che quelle generazioni future lo facciano dal
punto di vista di chi ne è venuto fuori; ma spero che si parli anche del resto.
Di chi non ce l’ha fatta e non ce la fa, per esempio. Di chi, in un mondo di
sommersi e salvati, direbbe Primo Levi, è rimasto sommerso. L’Ocse ci dice che,
in Italia, l’1% dei più facoltosi detiene il 15% della ricchezza nazionale e il
40% della fascia più bassa si spartisce il 5%. Vorrei sperare che dalla crisi
non si esca con una situazione in cui chi era già ricco lo sarà di più, chi
stava discretamente sarà irrimediabilmente impoverito e chi era vicino ad
annegare ne resterà, appunto, sommerso. Non sarebbe un modo lungimirante di
uscirne. Vorrei sperare che la crisi - e anch’io ne voglio parlare come se fosse
dietro le spalle - ci abbia insegnato che, dagli altari alla polvere, il passo è
breve; che la rincorsa dissennata allo spreco e allo sfruttamento portano in un
precipizio. Spero che il mondo, allora, abbia imparato a fronteggiare le grandi
crisi internazionali e che le minacce di distruzione delle migliori forme di
civiltà umana siano state debellate. E poi, mi domando: la politica avrà
imparato qualcosa? Avrà capito che il bene comune è più importante del primato
nel cortile di casa? Avrà capito che occorrono, anche e soprattutto in politica,
tenacia, umiltà, capacità di ascolto, onestà? Come dite, ne dubitate?
Anch’io.
domenica, maggio 10, 2015
Imbonitori e sarti
Tutto secondo copione. La legge elettorale, che non è una barzelletta, ma che
stabilisce il modo con cui i cittadini possono eleggere i loro rappresentanti,
dando corpo, così, ad uno dei diritti democratici fondamentali (anche se sempre
meno cittadini se ne avvalgono…), insomma l’Italicum, adesso, appunto,è legge.
E' stato approvato in via definitiva dalla Camera con la procedura del voto di
fiducia. Ora, io non voterei neppure un capocondominio con il voto di fiducia.
Il governo pone la questione di fiducia su una legge, in quanto la qualifica
come un atto fondamentale della propria azione politica e fa dipendere dalla sua
approvazione la propria permanenza in carica. Sapete quante sono le fiducie
fatte votare dal governo Renzi? Arrivano, se si escludono le ratifiche di
trattati internazionali, al 70%. E come funziona la “fiducia”? Basta
chiacchiere, basta discussioni, dice il governo, qui si deve lavorare, qui si
produce, e allora, si voti la fiducia, altrimenti cade il governo stesso. Come
principio e come metodo, non c’è male. Non credo che venga utilizzato neppure
nelle famiglie più all’antica: ve li figurate, voi, un padre o una madre che
battono il pugno sul tavolo e dicono: “ora basta!”, e i figli tacciono ed
obbediscono, tremebondi? In Parlamento succede di continuo. E quando sarà
effettiva la riforma del Senato, i pugni da battere saranno ancora meno, con
meno fatica. Io non capisco come facciano così tanti parlamentari ad accettare
questo stato di cose: dalla carota al bastone, dai toni di imbonitore di paese
alla grinta del capo. O meglio, lo so: i capilista saranno bloccati, garantiti,
quindi, vi immaginate che appetiti si scateneranno? Tutto ruota attorno alla
figura del premier, al “sindaco d’Italia”, al capo del “partito della nazione”.
A me fa un po’ paura. Poniamo che “venga su”, come dicevano i vecchi, un tizio
con idee pericolosamente autoritarie (dice il mio lato ottimista: ma no, non
sarebbe possibile, in Italia siamo vaccinati… ma ribatte il mio lato non
ottimista: intanto, nelle liste delle regionali si stanno accettando elementi di
ogni risma…). Un premierato forte, che rischi comporterebbe? Chi farà da
arbitro, da garante, da contrappeso, visto che sparirà anche il bicameralismo?
Avremo, invece che un bipartitismo imperfetto un monopartitismo perfetto, si
chiede qualcuno? Questo percorso fa paura a molti, non solo a me, e non solo
alle opposizioni: lo abbiamo visto. In nessuna democrazia europea la
governabilità dipende dal premio di maggioranza. E poi, mi domando: strappo su
strappo, dove si intende arrivare? Chi potrà essere un sarto capace di
rammendare un tessuto così liso?
venerdì, maggio 01, 2015
Expo, respiro universale e miserie quotidiane
Sapete da cosa nasce l’idea dell’Esposizione universale? Tenuto conto che la
prima si tenne a Londra nel 1851, vi predominava il desiderio di mostrare le
capacità, l’industriosità, il genio di cui era capace l’essere umano. Un’idea
quasi illuministica: l’intelletto e l’operosità possono spingere l’uomo a
raggiungere traguardi impensabili; la scienza e la tecnica permettono di
dominare il mondo. Non a caso, per quella di Parigi del 1889 fu costruita la
Torre Eiffel, gigantesco simbolo della capacità umana di sfidare i limiti posti
dalla natura. È cambiato tutto, ovviamente, e la fiducia nella scienza e nella
tecnica è caduta, di fronte ai grandi disastri ambientali, al loro utilizzo per
dare morte anziché vita, e, soprattutto, all’incapacità di risolvere molti
grandi problemi dell’umanità. Non a caso, l’Expo di Milano è dedicata al cibo e
all’alimentazione: non è un argomento alla moda, ma, nel nostro mondo,
ipertecnologico da un lato (molto ridotto), e immerso, ancora in gran parte,
nella miseria, la vera e propria tortura della fame viene subita ancora da
moltissime persone. Ci sarà sostenibilità futura, in questa nostra Terra? Noi
siamo in altre faccende affaccendati, nel nostro scorrere quotidiano, spesso
difficile e faticoso: ma è bene prestare attenzione, ogni tanto, a questi grandi
temi. Servirà l’Expo per questo? Forse. Certo che non hanno aiutato le accuse di
malaffare intorno all'Expo, i tempi concitati di preparazione, gli svarioni,
come quello delle cartine geografiche sbagliate… speriamo che vada tutto bene.
Speriamo che non finisca come con Potemkin, che, per accontentare la zarina
Caterina di Russia, fece costruire bellissimi scenari di cartone per nascondere
la cruda realtà delle contrade che attraversava. Speriamo che il doverci
misurare con i problemi mondiali di tale importantissima natura faccia un po’
alzare la testa dalle nostre beghe quotidiane: ma non credo. Continuiamo ad
assistere ad una concezione proprietaria, un po’ bulgara, del potere e delle
istituzioni, che si discosta da una tentazione di autoritarismo quando assume
toni da infanzia offesa: “se non si fa come dico io, allora tutti a casa!”, “il
pallone è mio, le regole le faccio io, altrimenti non si gioca più”. Ne troviamo
le tracce a Roma, e anche a Cremona. Certo, è un meccanismo che sembra anche
funzionare, almeno per ora. Voglio solo sperare che l’Expo, con il suo respiro
universale, faccia alzare un po’ lo sguardo in alto, come intendeva fare la
Torre Eiffel
sabato, aprile 25, 2015
L’IRRESISTIBILE FASCINO DEL POTERE
Sappiate che giovedì 30 aprile verrà eletto il nuovo consiglio direttivo del
Consorzio Agrario. E allora? Direte: è cosa che riguarda gli agricoltori, certo,
ma il Consorzio è anch'esso un centro di potere economico, un asse portante
degli assetti del potere cittadino, al pari di Cremona Fiere, della Camera di
Commercio eccetera. Come tale, influisce sulle vicende cittadine. Le votazioni
preliminari per l'elezione dei delegati, svoltesi in questi giorni, hanno visto
prevalere la Coldiretti con 63 delegati, contro i 58 della Libera Associazione
Agricoltori. Quindi, sembrerebbe che il prossimo presidente del Consorzio possa
essere un “coldiretto”… ma le certezze non sono mai tali, quando c’è di mezzo un
potere importante. Le sorprese non si possono escludere: ci furono, lo
ricordiamo, nelle elezioni del 2009, quando, per contrasti interni, alcuni
delegati della Coldiretti, guidati dall'attuale presidente Voltini, “tradirono”
il mandato, votando la lista della Libera Agricoltori che proponeva Ernesto
Folli presidente. La Coldiretti, importante associazione, reclama oggi maggiore
spazio e potere: è ora di cambiare, “cambiare è possibile”, dicono e fanno
scrivere, avvalendosi di un momento favorevole, vista la debolezza dei vertici
dell'altra ancor più importante associazione, cioè la Libera. Venti anni fa, la
Libera presiedeva i più importanti gangli del potere economico: la Banca
Popolare di Cremona, la Camera di Commercio, l'Ente Fiera, il Consorzio, oltre a
detenere la proprietà del giornale “La Provincia”, che, per anni, ha costituito
una sorta di monopolio dell'informazione. Piazza del Duomo rimane ancor oggi la
rappresentazione plastica del potere: c'è quello religioso, quello
amministrativo (il Comune), quello economico, con la sede della Libera, proprio
sopra la Banca. Alla presenza perspicua della Libera nella mappa del potere
cittadino di allora veniva attribuito quel conservatorismo della città, così
definito, inteso come immobilismo e conservazione dello status quo. Questo
assetto di potere, ora, si sta sgretolando: è sempre più evidente, tanto che,
per conservare la presidenza di Cremona Fiere, c'è voluto l'intervento deciso e
decisivo di Arvedi, che ha imposto alle categorie economiche la conferma di
Piva. C’è da dire che durante la presidenza di Piva, per merito suo o del
management, la Fiera ha conquistato maggiore importanza e risonanza a livello
internazionale, e questo lo si deve riconoscere. Se poi questa possa essere un
motivo sufficiente del perché Arvedi si sia così speso, mettendosi di traverso a
molti, non è dato sapere. C'entra il possibile acquisto del giornale “La
Provincia”? C'entra la compartecipazione nell'Ilva di Taranto? C'entra
quant'altro? Non si sa , ma presto lo sapremo e avremo modo di tornarci. La
mappa del potere cremonese, comunque, si sta riorganizzando, come in quelle
partite di scacchi in cui alfieri, cavalli, re, regina, torri e... tante pedine,
a grandezza naturale, si muovono su una grande scacchiera.
sabato, aprile 18, 2015
Tutto cambia perché nulla cambi
Si sente spesso dire, e io stesso l’ho detto in più occasioni: la politica
ormai è un teatrino, con tanti attori che non partono da posizionamenti e scelte
precise, ma che si muovono sulla base del gradimento, del consenso, dei sondaggi
d’opinione. Ed è vero. Leggere le prime pagine dei giornali equivale, molto
spesso, a guardare un noioso incontro di tennis (che, quando è noioso, lo è
davvero!). Tant’è che anche i sommovimenti maggiori (il redde rationem nel
centrodestra, l’accelerazione della Lega in senso lepeniano, gli scossoni nel
Pd, che lascia per strada pezzi di partito, iscritti, deputati e anche il
capogruppo Speranza), diciamocelo, interessano poco. Ma… c’è un ma: abbiamo
questa sensazione di inconsistenza, perché, in realtà i giochi veri sono proprio
altrove. Il potere che oggi è quello “vero”, quello legato all’economia ed alla
finanza, eccome se si sta ristrutturando. E la sensazione è che a qualcuno
interessi moltissimo delineare la nuova mappa nazionale di questo potere. Vi si
vedono volti nuovi, ma non troppo. Rotture, ma nella continuità. Più o meno
giovani boiardi che sono cresciuti, comunque, nelle antiche case del potere, di
questo potere. Il potere è una categoria che, durante una stagione vicina
cronologicamente, ma lontana anni luce, nei contenuti e nello stile, si diceva
dovesse essere destrutturato, messo in discussione, decostruito. Questo potere è
oggi un moloch apparentemente invincibile. Gestisce le nostre cose e le nostre
vite. Garantisce il futuro di pochi, mentre per tutti gli altri il futuro sta
nella declinazione dei verbi: “Riformerò, rottamerò, farò, cambierò...”. Forse
ha ragione chi decide di scenderci a patti, perché la rivoluzione non è certo –
o non lo è mai stata – dietro l’angolo. Nel nostro “piccolo” gli esempi recenti
non sono mancati (leggi Ente Fiera), e nel bene o nel male il potere, quello che
decide, a prescindere, passa su tutto e su tutti. Tutto cambia perché nulla
cambi.
Daniele Tamburini
sabato, aprile 11, 2015
Il cielo è azzurro ma l’umore no
Si vorrebbe parlare della primavera che, ormai, si impone, nelle giornate più
lunghe e nei cieli azzurri, ma come facciamo ad ignorare i tempi oscuri? Quando
sono di umore nero non dovrei scrivere? Forse sarebbe meglio di no. Ripenso alla
tragedia del tribunale di Milano, e le mie riflessioni sono molto confuse e
ambivalenti. Da una parte, l’orrore di tre vittime uccise a freddo, mentre
stavano svolgendo il proprio lavoro. Eravamo tristemente abituati alle stragi
nelle scuole americane: il folle che entra e spara all’impazzata. Beh, ci stiamo
globalizzando anche in questo, e il rischio è che chi svolge un servizio
pubblico venga sempre più individuato come bersaglio “fisico” al posto di uno
Stato che si percepisce sempre più lontano e ostile. Ma vorrei dire
qualcos’altro: ho letto che il giudice ucciso era conosciuto per la sua
inflessibilità. E questo è senz’altro un merito: una giustizia corruttibile non
è giustizia, e il giudice Ciampi ha pagato con la vita la sua rettitudine. Ma
non ho potuto fare a meno di riflettere sulla solita prassi italiana
dell’utilizzo di due pesi e due misure. Mi riferisco alla condanna della Corte
di Strasburgo per il ricorso alla tortura nei giorni del G8 del 2001: tutti
abbiamo o dovremmo avere negli occhi le persone pestate, con una violenza
smisurata e ingiustificata, alla Diaz e a Bolzaneto. Qualcuno parlò di
macelleria messicana. E tutti sappiamo chi fosse, allora, capo della polizia:
Gianni De Gennaro, ora manager della Finmeccanica. E tutti abbiamo letto le
parole di Renzi: “massima fiducia in De Gennaro”, capo di quei poliziotti (pochi
per fortuna) che hanno compiuto quelle violenze ora condannate come reati di
tortura, al pari dell’Argentina dei generali golpisti. Qui la rottamazione non
vale, riflettevo, e il peso e la misura sono altri. Brutte riflessioni, non c’è
dubbio. Dov’è l’equanimità che si chiederebbe a chi regge la cosa pubblica?
Dov’è la responsabilità politica, mi chiedevo? Ma di quale responsabilità
politica si può parlare, quando un grande partito politico fa tesseramento
offrendo uno sconto per l’acquisto del biglietto dell’Expo? A quanto il 3x2? (e
spero di non avere dato un’idea…). È primavera, ma i pensieri non sono leggeri.
D’altronde, riflettere e pensare sono il solo spazio di autonomia che ci resta.
Almeno, così mi pare.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 28, 2015
Vogliamoci bene, pensiamo alla salute
L'inceneritore di Cremona chiuderà. O, almeno, così pare. Lo aveva assicurato
il sindaco Galimberti, già in campagna elettorale, e lo ribadisce il segretario
del Pd cremonese Matteo Piloni, in un’intervista che pubblichiamo su questo
numero de “Il Piccolo”. C’è da esserne soddisfatti? Sarà la volta buona che
“usciremo dal Medioevo della gestione dei rifiuti”, come, con felice
espressione, ha detto il coordinatore di Sel, Gabriele Piazzoni? Noi abbiamo
sempre sostenuto questa scelta, e anzi, c’è da chiedersi come mai, nelle aspre
polemiche degli ultimi tempi, il tema della salute pubblica non sia emerso con
sufficiente chiarezza. La salute pubblica è, o meglio dovrebbe essere, a norma
di Costituzione, un bene pubblico inalienabile e non contrattabile: sia perché
ciascun individuo è unico ed irripetibile ed ha il diritto alla vita ed alla
salute; sia perché, in termini forse più freddi, ma veri, il costo sociale di
malattie importanti, che, come è provato, possono essere provocate
dall’inquinamento, è enorme. La vicenda amianto, da questo punto di vista,
dovrebbe essere una lezione incancellabile. Tutto bene, quindi? Speriamo.
Speriamo che non prevalgano le ragioni legate alla convenienza contingente di
tenere aperto un impianto, la cui chiusura comporterebbe, secondo lo studio del
Politecnico, un forte impatto economico: circa 38 milioni di euro. Speriamo che,
in questo percorso, sia tutto trasparente: noi ci fidiamo delle rassicurazioni,
ci mancherebbe, ma le vicende legate a telefonate concitate, a scambi di mail
“riservate”, a dimissioni presentate non rassicurano poi troppo. Ci chiediamo
ancora una volta: perché non esprimersi con chiarezza sempre, e non solo nei
comunicati ufficiali? Perché non essere trasparenti sempre? Perché non dire:
guardate, noi confermiamo la scelta, ma certamente i problemi ci sono, quindi
affrontiamoli con ponderazione insieme? Perché l’arte del governare deve, troppo
spesso, ridursi ad essere arte del “dico e non dico”?
Va beh, vogliamoci bene e
pensiamo alla salute.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 21, 2015
Cesarismo de’ noantri
A me piacciono i programmi di storia, mi piace molto la storia di Roma
antica. Capisco perché gli americani ci abbiano fatto così tanti film: è epica,
eroica e umana al tempo stesso. Sere fa, ho visto un programma su Giulio Cesare.
Ne parlano Plutarco e Svetonio, mica scherzi. Cesare a cui viene offerta la
corona, e lui la rifiuta, la lancia via, ma gliela ripropongono, e ancora lui la
lancia via… sembra davvero di stare in un film: intorno, i maestosi marmi di
Roma. Ma i congiurati non si fidano, sanno quanto Cesare, in realtà, ami il
potere, e affilano i pugnali. E ora, immaginiamo le nostre piazze, le nostre
strade, i nostri Comuni: non il foro di Roma. Là Cesare, qui personaggi che sono
a lui comparabili per un verso solo: la ricerca del potere. Un cesarismo de'
noantri, è quello dei nostri politici (e non solo), mi veniva da dire guardando
il programma. E non si smentiscono mai… pensiamo al caso Zamboni - inceneritore.
Si tratta, evidentemente, di una questione molto delicata: dietro c’è tanta
roba. E guardiamo l’incredibile superficialità, l’alzata di spalle con cui il
Comune ha tentato di liquidare la faccenda. Meno male che si parla di
trasparenza, di capacità di comunicazione istituzionale. Non sanno neppure
trattare i media con equanime attenzione. Certo, è palese che l'opposizione
abbia voluto convocare la commissione quel giorno lì, in maniera anche
pretestuosa, per mettere in difficoltà la maggioranza, ma, appunto,
l'opposizione fa l'opposizione. Zamboni dice che l’assessora lo ha pressato
perché non si presentasse alla suddetta commissione. Caspita, si aspettava che
lui tacesse? È davvero così ingenua? Se è arrivato a dare le dimissioni, c’è
dietro qualcosa di grave, o no? Raramente un manager presenta le proprie
dimissioni per una crisi mistica o per darsi all’ippica. Domanda sul caso
all’assessora: e questa risponde in modo arrogante. Niente di nuovo sotto il
sole, è lo spirito dei tempi, è, appunto, il cesarismo de' noantri. Un
atteggiamento che a me non piace e che non dovrebbe essere proprio di una
persona incaricata di pubblico ufficio, ma, ormai, le cose vanno così. In taluni
casi può essere che il potere dia alla testa, ne abbiamo di esempi, hai voglia
tu, e non solo nelle istituzioni. Li metti lì, sul gradino più alto, e alcuni
diventano arroganti, fanno la voce grossa, si fanno tronfi; altri diventano
improvvisamente onniscienti: so io cosa bisogna fare. Ma tutti sanno bene quando
scodinzolare, quando invece voltarsi dall'altra parte. Alcuni, poi, si
atteggiano a grandi manager, salvo combinare disastri. Però l’ingenuità no, non
è scusabile, ed è anche pericolosa. È un'ingenuità che non fa i conti con la
realtà, con i rapporti di forza, con come stanno le cose. L'assessora dovrebbe
dare le dimissioni? Per carità, non lo farà, non lo fa nessuno (però il ministro
Lupi le ha date: chapeau). Ma ci sentiamo di suggerire una cosa: signor sindaco,
se dimissioni dovessero esserci, anche solo un accenno… colga l’attimo, le
accolga subito.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 14, 2015
Senza Parole...
Certo che la vicenda del finanziamento della manifestazione “Le corde
dell’anima” è quanto meno singolare, se cerchiamo di vederla con occhi liberi da
preconcetti. Allora: il Comune sostiene che, fin dallo scorso settembre, aveva
fatto sapere a PubliA (organizzatrice della manifestazione) che non sarebbe
stato in grado di assicurare, per il 2015, lo stesso contributo erogato nel
2014. Da notare che i novantamila euro dati nel 2014 erano addirittura il triplo
rispetto agli anni precedenti, e questo in tempi già difficili per i bilanci
dell’Amministrazione. Ma tant’è: mi pare di ricordare che, lo scorso anno, ci
siano state le elezioni per la carica di sindaco e che il giornale La Provincia
sostenesse apertamente la candidatura di Perri... Comunque, il sindaco
Galimberti propone di svolgere una edizione ridotta, magari in collegamento
all’Expo di Milano, potendo assicurare una cifra, al massimo, di trentamila
euro. Dall’altra parte, giunge una risposta che, francamente, stupisce: allora
non se ne fa di nulla. Ma come, non era possibile fare una manifestazione ad un
costo inferiore? O magari, non era possibile prevedere alcuni spettacoli a
pagamento, in modo da poter compensare il minor contributo pubblico? Forse non
sarebbe stato più conveniente mettersi attorno a un tavolo e vedere che cosa era
possibile fare? La concertazione non è più di questo mondo? Il confronto
neppure? Allora il Comune è scevro di responsabilità, completamente trasparente?
In questa vicenda, sembrerebbe proprio di sì. Ma ecco che, su un altro versante,
arriva una doccia fredda. Il presidente di Aem Gestioni Federico Zamboni dà le
dimissioni, denunciando «pressioni» da parte dell’Amministrazione perché non si
recasse ad una audizione della Commissione vigilanza del Comune. Il fatto, se
confermato, sarebbe di una gravità inusitata: roba da singolar tenzone! Invece,
il Comune, serafico, risponde: «Prendiamo atto dell’annuncio di dimissioni da
parte del Presidente Zamboni e lo ringraziamo per il lavoro svolto». Aplomb?
Imbarazzo? Non lo so proprio. Da una parte si invoca la trasparenza, dall’altra
si mette il silenziatore ad una bomba. Che succede in piazza del Comune? C’è
doppiezza? Ci sono piani separati? Qualcosa si può dire e qualcosa no? Vedo in
giro gente stanca, demotivata, attonita, stizzita, incazzata... Da ultimo vi
racconto questa. Giunge in redazione una lettera firmata Renato Fiamma,
l'assessore del Pd, quello per il quale l'ampliamento del poligono di tiro
potrebbe risovere i problemi economici, occupazionali e di turismo a Cremona.
Pubblichiamo fedelmente il contenuto della lettera e come conseguenza veniamo
tacciati di scrivere il falso. Scopro che la lettera non solo non era stata
scritta da Fiamma, ma l'occulto estensore non si era nemmeno preoccupato di
avvertire l'assessore. La mozione per l'ampliamento del poligono viene
presentata, lunedì scorso, in consiglio comunale e approvata a larga
maggioranza, nonostante i distinguo del sindaco e i mal di pancia di buona parte
del Pd, costretti a sottostare ad una specie di ricatto. Mah, che dire, non ho
parole... Domani me ne vado al mare, lontano da tutto questo.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 07, 2015
Cosa c’entra Tognazzi con il poligono di tiro?
Vi ricordate i basettoni? E il borsello? Gli abiti alla moda, di quel tempo,
che oggi sembrano così ridicoli? La 600 Fiat con la quale andavamo a scoprire il
mondo, e poi le danze delle donne che rivendicavano il loro ruolo e l’impeto
delle manifestazioni politiche, il livello di scontro che si alzava. Avevamo
tanti sogni, tante speranze, in quegli anni ’70 (allungati al finire dei ’60 ed
all’inizio degli ’80): per il presente e per il futuro. E persino la Balena
bianca, la Dc, dava voce ai diversi modi di vedere il mondo e le cose. Le
correnti, così spesso aspramente criticate, erano anche dislocazioni di potere,
ma non solo: c’erano diversificazioni reali, politiche e culturali. Si sentiva,
si percepiva, che una pluralità di emozioni di voci, di aspettative, di idee
percorreva il Paese. Non si sottraeva, Ugo Tognazzi, a quella temperie. Una
certa malinconia, simile a certe caligini padane, e la grande capacità di
interpretare umori e debolezze della società a lui contemporanea. C’erano stati
il federale e i mostri, poi l’immorale e il ruolo nel “Porcile” di Pasolini, e
poi il conte Mascetti e l’umanità vivisezionata de “La terrazza”, e la
straordinaria “Tragedia di un uomo ridicolo”. Eppure, Tognazzi non era il
classico attore “impegnato”: viveva nel suo tempo, viveva il suo tempo con
occhio attento e partecipe. Si sentiva uomo del suo tempo (collaborò anche allo
scherzo del “Male”: “Tognazzi capo delle Brigate rosse!”). Ecco il punto:
sentirsi partecipi del proprio tempo, e non, semplicemente, oggetti passivi, che
è il grande rischio di oggi. Lo vedo, ahimè, anche nei giovani. Lo vedo in chi
non spera più, o non ha mai sperato, di poter avere voce in capitolo, di essere,
magari un minimo, protagonista delle scelte e delle situazioni. In alto sopra di
noi, la cupola mondiale delle banche e della finanza e di una politica che non
ti guarda negli occhi, che non ascolta, ma che blandisce e proclama. Più vicino
a noi, vediamo nei ruoli decisori persone che, magari, subordinano le proprie
scelte di appartenenza al fatto di non ricevere soddisfazione alle proprie
richieste. Che dire? Un tempo si decideva l’appartenenza rispetto a cosa si
pensava della guerra nel Vietnam, oggi rispetto all’accoglimento o meno della
proposta di ampliare un poligono di tiro. Mah, a volte mi dico, sconsolato, che
forse hanno ragione ora. Adesso, che ho più passato che futuro, sia chiaro non
rimpiango niente: ho vissuto il mio tempo, ne sono stato partecipe, ho fatto
quello che volevo fare, quello che mi piaceva fare, con passione e caparbietà.
Quella caparbietà che anche oggi mi consente di vivere questo tempo indistinto
che, a dire il vero, mi piace un po' meno.
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 21, 2015
COME SE FOSSE ANTANI...
Dice il presidente del Consiglio: “Sono gasatissimo”. E’ lì con Marchionne e
si fanno pubblicità a vicenda. Marchionne deve vendere le Fiat, Renzi deve
vendere se stesso: e gli riesce benissimo. Che lo ritraggano su un muletto, o
mentre dà il cinque a qualcuno, o mentre sussurra all’orecchio della signora
Merkel, è sempre spiazzante. E’ vero, è un ottimo giocatore, è anche un uomo
senza scrupoli (“stai sereno, Enrico… stai sereno, Silvio”). Si è circondato di
figure che non gli fanno affatto ombra, anzi: ministri e ministre, sembrano così
quieti, così mansueti, così in linea. Se si espongono, è palese che lo fanno per
permettere a Lui di correggere, bacchettare, rettificare. Da ultimo è toccato a
Gentiloni. Ma intanto, il messaggio è lanciato. Ho provato a leggere alcuni blog
di politici suoi seguaci: dal “twit” del capo discendono commenti e valutazioni,
tutti encomiastici, tutti entusiasti. L’Ocse dice che siamo sulla strada giusta?
La notizia viene fatta rimbalzare ovunque (chissà se c’è qualcuno che si chieda:
e chi è, l’Ocse?). Le organizzazioni come la Caritas, viceversa, dichiarano che
tanta, troppa gente è allo stremo: non se ne parla proprio. Non c’è che dire, il
premier porta a casa ciò che gli interessa davvero; resta da vedere se ciò che
interessa a lui (la messa in un angolo di Berlusconi, l’elezione di Mattarella,
l’Italicum, le riforme costituzionali etc…) interessa alla popolazione. Forse
sì, forse la gente ha bisogno di ascoltare frasi come: basta con l’industria
della lagna, supereremo la Germania, vinceremo sulla globalizzazione… Come aveva
bisogno di sentire anche le precedenti: meno tasse per tutti, un milione di
posti di lavoro… e, andando ancora all’indietro: un pacco di pasta per tutti…
Eppure, erano state tante le promesse: una su tutte, la cultura sarà
valorizzata, è il petrolio italiano… ma intanto Pompei continua a sgretolarsi. E
gli F35? avevano promesso di ridurne l’acquisto sensibilmente, ma dagli Usa
giunge notizia che non se ne parla proprio. E magari, il governo con l’elmetto
commenterebbe anche: “ma ora c’è l’Isis!”, salvo poi mettersi un berrettino di
lana e rassicurare che noi, guerre non ne faremo. Mah. Mi viene in mente il
nostro grande Ugo in “Amici miei” con la sua supercazzola: “Come se fosse
antani….”.
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 14, 2015
Nel resto del mondo... è semplicemente inverno
Il concetto di fondo che abbiamo ascoltato questa settimana, da parte
dell'Amministrazione comunale, così come l'ho percepito io, è quello
dell'inevitabilità. Inevitabili i disagi derivanti dalla nevicata "eccezionale";
inevitabile che ci voglia tempo - tanto tempo – (troppo tempo), per portar via
mezzo metro di neve; inevitabili le auto bloccate, le persone che non potevano
camminare sui marciapiedi, i nonni a rischio caduta, per giorni, mentre
portavano i nipoti a scuola, gli asili con gli accessi impraticabili.
Inevitabile, pare, dover spalare piazza del Comune e piazza Stradivari. Certo;
però, forse, le scuole avrebbero potuto avere la precedenza. L'assessora
competente risponde alle critiche un po' in maniera rituale, e un po' in modo
stizzito: del resto, dice: “... è stato fatto un lavoro straordinario... il
piano neve ha funzionato a dovere”. Ma se molti cittadini non sono d'accordo, e
si sono fatti sentire, qualche motivo ci sarà, o no? È vero, amministrare una
città significa non poter accontentare tutti; di questi tempi, poi... Ma noi
siamo certi che amministrare una città significhi anche andare al confronto e
accettare anche critiche che si considerino ingenerose. Amministrare non è una
chiamata divina, non è una missione, non è neppure una scelta obbligata: è un
servizio che si sceglie volontariamente di dare. Un servizio oggi
difficilissimo, specie per chi amministra i Comuni, sottoposti dal governo a
tagli micidiali. Strano che gli amministratori non sottolineino di più questo
aspetto. Ma forse, non è così strano. E comunque, se cinquanta centimetri di
neve da noi rappresentano un evento, quasi drammatico, di difficile e complicata
gestione... nel resto del mondo, è semplicemente inverno.
Daniele Tamburini
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 07, 2015
COME TANTI, BRAVI, PICCOLI TAFAZZI...
Un venerdì da incubo in città e nei paesi. Ore 14.30, sono sulla via Mantova,
verso Gadesco, devo andare, non posso farne a meno. È vero, è caduta moltissima
neve, ma ormai da diverse ore non nevica più, eppure le strade sono un disastro.
Stiamo procedendo a passo d’uomo, e quindi c’è tempo per riflettere, su tante
cose. La prima è l’amara constatazione che sempre facciamo in queste
circostanze: siamo andati sulla Luna quasi 50 anni fa, stiamo lavorando con 2.0
e droni, ma basta una forte nevicata e tutto va in tilt. Ci sarà una soluzione?
Il fatto è che vedo pochi mezzi, pochi uomini, forse anche poco sale. E penso:
sono questi, evidentemente, i primi risultati dei tagli lineari ai bilanci degli
enti locali? Questo è il primo risultato dell’operazione sgangherata che è stata
condotta sulle Province, per esempio? Sindaci, presidenti eccetera avranno anche
amministrato male in passato, in alcuni casi; sicuramente ci saranno stati
sprechi; ma, all’italiana, cosa si è pensato di fare? Di rendere ingestibile
quel che era già difficile reggere; di tagliare senza pietà quei servizi che già
languivano. Invece di razionalizzare, sfrondare, sistemare, si è tagliato
indiscriminatamente. Invece che un ragionamento serio, una serie di tagliole.
D’altronde, chi parla più del dossier Cottarelli, che aveva individuato – pare –
spese da razionalizzare davvero, senza colpire i servizi al cittadino, e che è
sepolto, sparito, sommerso chissà dove? Aboliamo le Province, gridavano, certi
politici, con la bava alla bocca. Mi sa che, più che colpire la casta, abbiamo
fatto come Tafazzi e colpito a morte i servizi. Medito ancora, mentre ancora
vado a passo d’uomo. Siamo tante scatole semoventi in fila, mentre il tempo,
prezioso, scorre, i droni, forse, volano, e i sacchi di sale sono desolatamente
vuoti.
Daniele Tamburini
Daniele Tamburini
Iscriviti a:
Post (Atom)