Era tutto prevedibile, tutto scritto. La riforma “epocale” delle Province, il
cui padre, Graziano Delrio, se ne sta prudentemente in silenzio, in questi
giorni, si dimostra pasticciata e irrealizzabile. Le funzioni non assegnate
dalla legge medesima, ma esercitate ad oggi dalle Province, dovevano essere
ripartite, con personale e risorse al seguito, tra Stato, Regioni, Comuni, e
tutto questo entro il 31 dicembre. Non del 2050, ma del 2014. Delrio, Madia
eccetera giurarono che così sarebbe stato. Figuriamoci: la legge di stabilità
taglia pesantemente i bilanci di Comuni e Regioni e Province stesse e, con
emendamento apposito, pare intenda tagliare del 50% la spesa del personale delle
Province e del 30% quella delle Città metropolitane. Cioè: Regioni e Comuni non
prendono le funzioni che non sono più proprie delle Province, che quindi
rimangono in capo a queste ultime, le quali, però, dovranno ridurre il personale
del 50% o del 30%. E questo personale “residuale”, dove andrà? Le risposte sono
fumose: tribunali? A copertura dei pensionamenti statali? Non si sa bene. Bella
roba: i risparmi effettuati non su privilegi, prebende e clientelismi, non
combattendo veramente corruzione e evasione, non colpendo a fondo i tanti “casi
Roma”, ma su servizi e lavoratori. Bravi, sette più. Altre 56.000 persone a
rischio di non essere collocate e, quindi, di licenziamento, dopo due anni di
messa in disponibilità. Ma che bell'impulso alla ripresa del Paese. Strade con
le buche, frane non rimosse, scuole superiori senza manutenzione: ditte che,
quindi, non riceveranno lavoro. Era chiaro a molti di noi che l'eliminazione
dell'elettività a suffragio universale del Consiglio provinciale e del
presidente - che comportavano spese risibili - fosse solo il preludio all'unico,
vero risparmio, sciaguratamente individuato: un taglio immane delle spese sul
personale e sui servizi. Bravi, davvero bravi a fare le riforme così. Riforme
epocali... E questi vorrebbero riformare pure la Costituzione! Ma fateci il
piacere!
Agostino Poli
sabato, dicembre 20, 2014
sabato, dicembre 13, 2014
Sono stufo di questo sottobosco aggrovigliato e puzzolente

sabato, dicembre 06, 2014
Il verminaio

sabato, novembre 29, 2014
DITECI LA VERITA’

sabato, novembre 22, 2014
Temo l’arroganza e la paura altrui
Non so quanto possano giovare a Matteo Renzi gli attacchi furibondi, ormai
quotidiani, rivolti al sindacato in generale e alla Cgil in particolare. Certo,
è ormai palese che il consenso vero che egli cerca non sta in un elettorato
legato, per cultura e storia, alle ragioni del lavoro di cui la Cgil è bandiera.
Ma nel Pd il malessere cresce, e non tanto nei Civati, Mineo eccetera, quanto
nella gente che, per dirla con Lucio Dalla, lo vive ancora come un partito
ottimista e di sinistra. Renzi se la prende con lo sciopero generale del 12, ed
è comprensibile. Meno comprensibile è dire che Camusso e Salvini siano le due
facce della stessa medaglia. È vero, magari diversi iscritti Cgil votano o hanno
votato Lega, magari condividono l’obiettivo di combattere la legge Fornero, ma
questo paragone fa sicuramente torto ad entrambi e neppure rispetta le
reciproche storie. Si sa che l’aggressività viaggia spesso con una scomoda
compagna, la paura. Si sa che la situazione è da far paura: il Pil precipita e
mette a rischio pure le pensioni, su cui tanti "attivi forzatamente inattivi"
contano per campare, come diciamo anche in questo numero; la riforma del lavoro
non avrà effetti salvifici, la finanza internazionale continuerà a speculare sui
nostri malanni e via così. Temo le reazioni isteriche e non ponderate, temo gli
attacchi a testa bassa nei confronti di chi obietta e critica, temo la paura
altrui, temo, soprattutto, l’incapacità di affrontare l’emergenza senza perdere
la testa, con slogan e minacce, contrapponendo invece che cercando la
collaborazione, temo il piglio da uomo solo al comando che non può, non può
stare al timone e cazzare la velatura. Temo chi non ha l’umiltà intelligente di
trarre insegnamenti dal passato. Temo la mancanza di cultura, l’incapacità di
rifarsi a quanto la storia ci insegna. In una parola, temo l’arroganza.
Daniele Tamburini
Tutti i danni della speculazione finanziaria
La crisi economica non si attenua, anzi nonostante le rassicurazioni del governo e l'invito ad essere ottimisti lanciato dal premier Renzi dall'Australia, le cose sembrano peggiorare. Disoccupazione crescente, aziende in difficoltà, tassazione alle stelle, sfiducia. Niente sembra far presagire una inversionedi tendenza.
Il governatore della Bce, Mario Draghi, ha detto che le stime di crescita dell'area euro sono state riviste al ribasso, che le previsioni per il 2015 e 2016 sono per una ripresa modesta ed insiste sul bisogno urgente di riforme strutturali, esortando sostanzialmente i governi a continuare nella politica di austerità. In un quadro
drammatico, ci hanno colpito le affermazioni dell'economista Nino Galloni, secondo il quale ci può essere una via alternativa all'attuale politica di austerità. Antonino Galloni è stato direttore generale al ministero del Lavoro e funzionario presso il ministero del Bilancio. Nel suo ultimo libro, “Il futuro della Banca", delinea una teoria bancaria e finanziaria rivoluzionaria, che se attuata potrebbe ridurre la pressione fiscale del 50%.
Professor Galloni vuole spiegare ai nostri lettori in che modo, secondo lei, si potrebbe ridurre la pressione fiscale e rilanciare la nostra economia?
Oggi siamo incastrati in una situazione drammatica: si tagliano le spese per ridurre le tasse, ma si dimentica che l’effetto di una riduzione della spesa pubblica sul pil è più che proporzionale sicchè il pil stesso si riduce e, per mantenere, i parametri europei occorre rimandare la riduzione delle tasse. Tuttavia se, a parità di tasse, il pil si riduce è chiaro che aumenta la pressione fiscale. Oggi, per la prima volta alle banche conviene riconoscere come funzionano veramente (anche la Banca d’Inghilterra ha pubblicato uno studio in questo
senso): creano moneta dal nulla indebitando imprenditori, depositi e conti correnti servono solo a gestire le richieste di liquidità dei clienti, quindi realizzano un immane margine operativo dato dalla differenza tra le rate dei prestiti e dei mutui meno i loro costi di funzionamento. Anche depositi e conticorrenti andrebbero tolti
dal passivo…è come se il gestore di un garage per occultare i guadagni mettesse le automobili parcheggiate al passivo!
Gli ultimi governi sembrano avere un potere limitato o comunque subire in certa misura i cosiddetti poteri forti, economici e finanziari. Secondo lei è possibile intervenire sul sistema bancario, magari attraverso una legge dello Stato?
Allora, il punto di partenza è il ripristino della netta separazione tra banche di credito e banche speculative: se no, non si può far nulla neanche per liberare i governi dalla nefasta influenza della finanza. Oggi le banche avrebbero interesse ad allontanare debiti finanziari e crediti inesigibili che le porterebbero a perdere esse stesse autonomia nei confronti delle banche centrali e ad essere assorbite dalle concentrazioni finanziarie considerate troppo grandi per fallire.
Oggi l'Europa sembra accelerare il percorso verso l’Unione Bancaria Europea (Ube): che ne pensa?
L’Unione Bancaria Europea costituisce il punto di arrivo di tutta la strategia finanziaria iniziata decenni fa con la perdita di sovranità monetaria degli Stati: servirà a mettere le banche sotto la grande finanza che si arricchisce peggiorando la condizione dei debitori perché si basa sull’aumento della quantità delle emissioni,
non più sulla redditività dei singoli titoli finanziari.
A seguito della sua teoria, l'Italia dovrebbe, quindi, uscire dall'Euro...
Dall’euro non si esce con le chiacchiere, le utopie o i referendum, ma grazie ad un percorso di ripristino della sovranità monetaria degli Stati che, se stanno nell’euro devono ricominciare ad emettere moneta fiduciaria (buoni acquisto, certificati di credito, voucher, ciò non è impedito dai trattati europei) da far circolare presso i privati e poi recuperare con le tasse: la crescita del pil ed il riassorbimento della disoccupazione porteranno al miglioramento dei conti pubblici; contemporaneamente occorre liberare le aziende di credito dalle storture della finanza che serve solo ad accumulare debiti.
Mario Draghi, in questi giorni, ha ribadito che la scelta dell'euro è irreversibile, ma che la Bce non può obbligare nessuno a restarci. Secondo lei che significa? quali scenari prevede nel prossimo futuro?
Mario Draghi è uomo della grande finanza internazionale, ma si trova anche a fare il capo della BCE. Il progetto è quello di controllare la liquidità e ciò implica che gli Stati non possano emettere nessun tipo di moneta e la stessa funzione creditizia sia secondaria rispetto all’azione ben più pesante (ma lontana dall’economia reale) della finanza. Quindi, con questi due passaggi (gli Stati che ricominciano ad emettere moneta nuova, ancorchè fiduciaria, e le banche di credito che si liberano della speculazione)
se ne potrà uscire.
Nasce Artventuno.it, il nuovo quotidiano online

Daniele Tamburini
redazione@artventuno.it
sabato, novembre 08, 2014
Libera, effetto a catena

Vanni Raineri
sabato, novembre 01, 2014
Non siamo in uno stadio
L'azione di governo, da quello locale a quello nazionale, non è un campionato
di calcio, nel quale la parola d’ordine è: primum vincere. Anche perché chi
vince lo scudetto gode di grande prestigio e i giocatori ne ricevono indubbi
vantaggi (ingaggi migliori etc..), ma i tifosi, quando è tutto finito e lo
scudetto è sulle maglie, stanno pari pari come il giorno precedente. L’azione di
governo, invece, dovrebbe produrre cambiamenti reali, migliorare le cose,
indurre a speranza: o no? Dispiace dire sempre le stesse cose, ma, in Italia, le
fabbriche che ancora esistono stanno chiudendo o sono in procinto di farlo (ahi,
il nostro vanto, il manifatturiero!), i negozi arrancano e chiudono anch’essi,
le strutture di accoglienza turistica pure, non c’è un ragazzo o una ragazza,
tra quelli che conosco, che dica seriamente: questo è il mio Paese, qui voglio
restare. Anzi, se ci fosse, anche tra chi ci legge, ce lo dica, ce lo scriva,
che ne avremo tanto bisogno. A poco servono gli slogan e le battute di spirito,
le slides, gli effetti speciali e gli annunci. Non abbiamo bisogno solo di un
partito che governi, comunque sia, ma di qualcuno che spieghi con certezza gli
obiettivi che quel governo intende perseguire. Non ci interessano gli attacchi
verso “il resto del mondo”, dal sindacato agli intellettuali gufi e rosiconi ai
nonni attaccati ai loro privilegi (la pensione, spesso minima?) a chi ha il
posto fisso e lo vorrebbe mantenere. Non ci interessa questo, non siamo sugli
spalti di uno stadio. Vedo gente sempre più disperata in giro. Non starò a
parlare, anche se ne avrei voglia, delle manganellate sulla testa a chi va in
piazza a difendere il proprio lavoro. Non faccio un discorso novecentesco, ma un
ragionamento molto terra terra: senza lavoro non si guadagna, senza denaro non
si compra, non si consuma, l'economia non riparte, domanda e offerta si avvitano
verso il basso. Non è difficile da capire. Questo non è calcio, non è poker.
Qui, a suon di mazzate, rischiamo di restare a terra. E non importa se lo
restiamo in una piazza o davanti alla ex stazione Leopolda.
Daniele Tamburini
sabato, ottobre 18, 2014
Il Tfr in busta paga
Il Tfr in busta paga a me sembra una di quelle “pillole miracolose” utili
solo per il profitto di chi le propone. Partiamo dall’Abi (l’Associazione
Bancaria Italiana) che si è resa subito disponibile alla possibilità che le
banche finanzino le imprese per smobilizzare il Tfr, purché ci sia la garanzia
statale. E ti pareva! Poco importa che l’eventuale garanzia statale possa far
aumentare il debito pubblico. La cosa dovrebbe funzionare in questo modo: le
imprese che dovranno erogare il Tfr ai lavoratori, che ne faranno richiesta, si
rivolgono alla banca la quale, una volta ottenuta la garanzia statale, eroga i
soldi per smobilizzare il Tfr che va nella busta paga del dipendente. In busta
paga, però non arriva nella sua interezza, perché il Tfr, al quel punto, per lo
Stato costituisce materia imponibile da tassare. In altre parole, lo Stato tassa
oggi ciò che avrebbe dovuto tassare domani, oltretutto con una aliquota
superiore (di sicuro per i redditi superiori a 15mila euro annui). Fantastico!
Nel frattempo, sono pronto a scommettere che le banche troveranno il modo di
cartolarizzare i crediti concessi per smobilizzare il Tfr e che, forti della
garanzia statale, andranno dalla Bce proponendoli a garanzia di nuovi prestiti:
migliorando così anche i coefficienti di erogazione del credito alle imprese,
che è condizione essenziale per non dover rimborsare in anticipo i prestiti
ricevuti nel mese di settembre, cioè i 27 miliardi destinati al credito alle
aziende, ma con i quali, di fatto, comprano titoli dello Stato. E coloro che
avranno richiesto l’anticipo, perché di anticipo si tratta (sono soldi loro!)
cosa ci faranno? Soprattutto le famiglie in difficoltà probabilmente lo
utilizzeranno per pagare le utenze scadute, o le rate del mutuo sospese, o
magari il debito con Equitalia, così lo Stato recupera. Con buona pace del
rilancio dei consumi. Semplicemente geniale!
Daniele Tanburini
«Che la Banca d’Italia torni a battere moneta»
Alberto Bagnai, docente di politica economica: «Uscire dall’euro? Sì. Ciò permetterebbe di rilanciare l’economia, riportando la disoccupazione sotto al 7% in 5 anni»
«L’intransigenza tedesca è quella dell’usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L’attuale sofferenza dell’economia tedesca ne è una prova»
L’Unione Europea? Non è l’Europa: è un mostro di burocrazia, un bancarottiere
seriale che ha portato fallimento ovunque abbia imposto le sue regole»
di Daniele Tamburini
Durante la manifestazione del Movimento Cinque Stelle al Circo Massimo di
Roma, nello scorso week-end, il leader del movimento, Beppe Grillo, ha
rilanciato il tema tanto discusso dell’Euro e, in particolare, l’uscita
dell’Italia dalla moneta unica. «Faremo un referendum sull’euro. Raccoglieremo
un milione di firme», ha annunciato Grillo. C’è una indubbia questione di
fattibilità di un referendum, su questa materia: la strada sembra difficilmente
percorribile, per due motivi: il primo è che non è ammissibile un referendum
popolare sui trattati internazionali, così sancisce la Costituzione Italiana; il
secondo è che, molto probabilmente, i mercati, già durante il periodo di
raccolta delle firme, metterebbero sotto pressione l'Italia. Al di la di questo,
quella di Grillo è una chiara scelta politica, che alimenta il dibattito: Euro
si, Euro no. Ne parliamo con il professor Alberto Bagnai, docente di Politica
economica all’Università “Gabriele d’Annunzio” di Pescara e collaboratore del
Centro di ricerca in economia applicata alla globalizzazione dell’Università di Rouen. Professor Bagnai, il dibattito politico si riaccende, dopo l’annuncio di
Grillo, sulla questione dell’Euro. Alcuni schieramenti politici fanno
dell’uscita dell’Italia dall’Euro la loro bandiera, facendo leva sul malcontento
creato dalla crisi economica e anche sulla distanza che separa le istituzioni
europee dai cittadini. Si è infranto il “sogno europeo”. Perché questa “Europa”
è sempre più malvista dagli italiani?
«L’intransigenza tedesca è quella dell’usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L’attuale sofferenza dell’economia tedesca ne è una prova»
L’Unione Europea? Non è l’Europa: è un mostro di burocrazia, un bancarottiere
seriale che ha portato fallimento ovunque abbia imposto le sue regole»
di Daniele Tamburini

«Perché le attribuiscono, a ragione, la
causa della recessione più grave nella storia dell'Italia unita, dopo quella
causata dalla Seconda guerra mondiale. Di tutte le macroregioni dell'economia
mondiale, l'Eurozona è la sola a non aver recuperato terreno dopo la crisi
Lehman del 2008. Le ultime previsioni del Fmi prevedono che il Pil europeo
tornerà ai livelli del 2008 nel 2016. Nel frattempo quello mondiale sarà
cresciuto del 38%, sempre rispetto al 2008. È la conseguenza dell'aver adottato
un sistema di regole monetarie e fiscali troppo rigide, inadatte a cogliere le
sfide della globalizzazione».
La domanda che molti si fanno: l’Italia, ma
soprattutto gli italiani trarrebbero vantaggio dall’uscita dalla moneta unica?
«Sì. Posso anticipare che secondo le valutazioni del centro studi Asimmetrie,
che verranno esposte l'8 novembre prossimo nel quadro della conferenza "L'Italia
può farcela?", alla presenza di economisti e politici quali Bertinotti, Boldrin,
Cuperlo, Meloni, Salvini, un riallineamento del cambio dell'entità che si
ritiene plausibile per l'Italia (circa il 20% rispetto ai paesi del Nord Europa,
circa il 10% rispetto al dollaro) permetterebbe di rilanciare l'economia,
riportando la disoccupazione sotto al 7% in cinque anni. L'inflazione
arriverebbe a un massimo del 4% nel secondo anno, poi tornerebbe rapidamente
verso il 2% previsto dalle regole europee, che oggi non vengono rispettate
condannandoci alla deflazione. La maggiore crescita avrebbe un impatto positivo
sui conti pubblici, riportando il bilancio in pareggio dopo due anni e il debito
sotto al 120% del Pil in 5 anni. L'incognita qui non è economica. Anche il Fondo
Monetario Internazionale ha certificato che i paesi in regime di cambio
flessibile crescono di più e reagiscono meglio a crisi globali. Il problema è di
ordine politico: riusciranno i politici a garantire una gestione ordinata dello
smantellamento dell'Eurozona? In un secolo si son dissolte circa cento unioni
monetarie, gli aspetti tecnici sono noti, la difficoltà consiste nel regolamento
dei rapporti di debito e credito fra i paesi membri. L'intransigenza tedesca è
quella dell'usuraio che strozza il debitore. Alla fine perdono tutti. L'attuale
sofferenza dell'economia tedesca ne è una prova. Bisogna sperare che convinca il
governo tedesco a un atteggiamento cooperativo».
Quali conseguenze subirebbero
coloro che hanno contratto un mutuo, un finanziamento, che ovviamente è stato
negoziato in euro?
«Nel 1992 gli Ecu erano a tutti gli effetti valuta straniera,
e quindi le rate dei mutui contratti in Ecu aumentarono del 20% in conseguenza
dello sganciamento della lira dal Sistema Monetario Europeo. Questa esperienza,
che qualcuno ricorda, non si applica al caso odierno. Oggi l'euro è valuta a
corso legale in Italia, quindi i mutui denominati in euro e disciplinati dal
diritto italiano verrebbero convertiti in nuove lire ai sensi dell'art. 1281 del
Codice Civile, quello che venne applicato quando uscimmo dalla lira. A una rata
di 500 euro corrisponderebbe una rata di 500 nuove lire, così come a uno
stipendio di 2000 euro uno di 2000 nuove lire. Il valore interno della nuova
valuta (e quindi il potere d'acquisto) non verrebbe particolarmente alterato. Il
vantaggio della ridenominazione è poter aggiustare il valore esterno della
valuta, il cambio con le valute dei partner, facendo ripartire le esportazioni e
diminuire le importazioni».
E’ possibile stimare di quanto si svaluterebbe la
nuova moneta, diciamo la “nuova Lira” tanto cara agli italiani?
«Sì. L'entità
degli squilibri accumulati lascia prevedere una svalutazione fra il 20% e il
30%. Su questo tutte le valutazioni concordano. L'impatto sui prezzi interni non
sarebbe uno a uno. Chi dice che una svalutazione del 20% farebbe rincarare la
benzina del 20% è un ciarlatano, per l'ovvio motivo che il costo del greggio
corrisponde a una parte non preponderante del prezzo alla pompa (fatto per lo
più di accise, caricate di IVA). Ad esempio, il centro studi Asimmetrie, in uno
studio pubblicato ad aprile su asimmetrie.org, ha calcolato che in caso di
svalutazione del 20% della nuova lira il prezzo della benzina aumenterebbe del
6%. Del resto, dal 6 maggio l'euro ha perso più del 9% rispetto al dollaro, e il
prezzo della benzina della benzina sta flettendo, anziché aumentare del 9%. Gli
argomenti terroristici usati dai media mostrano immediatamente la corda a
contatto coi dati. La benzina è aumentata quando Monti alzò le accise di 10
centesimi per restare nell'euro».
E il debito pubblico?
«La percentuale di
debito pubblico governata da legislazione internazionale è inferiore al 5%. Per
questa parte, il rimborso ci costerebbe il 20% in più, ma col rilancio
dell'economia è un costo che potremmo permetterci. Il problema più rilevante
potrebbe essere dato dalla dinamica dei tassi di interesse. Voglio ricordare che
nel 1992 lo sganciamento dagli accordi di cambio fu seguito da una diminuzione
dei tassi».
La Banca d’Italia tornerebbe a battere moneta?
«Certo, lo scopo è
questo, riappropriarsi di sovranità monetaria. 177 stati sovrani al mondo ne
beneficiano, esclusi i 18 sventurati dell'Eurozona, coi risultati che vediamo.
Peraltro, la possibilità di battere moneta renderebbe il governo italiano
perfettamente liquido nella propria valuta nazionale, calmierando i tassi con un
effetto analogo a quello che si verificò nel 1992».
In quanto tempo il Paese
potrebbe svincolarsi dall’Euro e cosa accadrebbe all’Unione Europea?
«Lo
sganciamento avrebbe effetti immediati nei rapporti internazionali, e in tutte
le transazioni regolate con moneta bancaria (Bancomat, bonifici, assegni). Le
moderne tecnologie di pagamento ovviamente ci facilitano il compito. C'è poi il
problema pratico dello smaltimento del vecchio circolante (che potrebbe
richiedere anche più di un semestre, ma è gestibile, dato l'ammontare
relativamente esiguo di transazioni regolate per contanti). Quanto all'Unione
Europea, essa non è l'euro, né l'Europa. L'Unione Europea è un mostro di
burocrazia, un bancarottiere seriale che ha portato fallimento ovunque abbia
imposto le sue regole (Grecia, Spagna, Portogallo), è una creatura politicamente
opaca, al cui vertice siedono persone come Katainen, premiato col posto di
Commissario agli Affari Economici dopo aver fatto perdere al suo paese, la
Finlandia, in qualità di primo ministro, sette posizioni nell'indice di sviluppo
umano della Banca Mondiale. Questo organismo necessita di una profonda riforma,
e il primo passo di questa riforma è lo smantellamento dell'euro, che sta
portando al collasso l'economia e la civiltà di quello che una volta era un faro
di cultura e progresso, l'Europa».
In conclusione…
«In conclusione, il
disfacimento dell'euro non è un evento probabile: è un evento certo. Ormai anche
economisti ultraortodossi come Zingales (che da sempre avrebbero preferito un
euro a due velocità) lo ammettono, se pure a denti stretti. Non è mai esistito
nella storia dell'umanità un sistema monetario così rigido fra paesi così
diversi, quindi il suo superamento è inevitabile. Governi responsabili
dovrebbero gestire questo processo anziché subirlo, ma per questo è
indispensabile che presso i cittadini maturi una maggiore consapevolezza. Il
sistema dell'informazione italiana finora non ha contribuito molto in questo
senso, preferendo argomenti terroristici a ragionamenti pacati. Speriamo che il
buon senso prevalga».
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lunedì, ottobre 13, 2014
«La legge delega sul Job act? Una cornice vuota»
Intervista a Andrea Bordone, avvocato giuslavorista. «Non vi è una riga su una cosa importante, l’uscita dal rapporto di lavoro»
«Il Governo deve dire cosa vuole metterci dentro. Assurdo pensare che si aiuti chi non ha garanzie togliendole a chi le ha»

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sabato, ottobre 11, 2014
Da sé se la cantano e se la suonano
Cose strane, come da tempo avviene, vediamo nel Paese. Alcune spiegabili,
alcune meno, altre spiegabili quando si allarga un po’ la visuale: come la
questione del Tfr in busta paga, che presenta retroscena poco immaginabili. Ma
su questo ritorneremo. Oggi vorrei parlare di nuovo della questione Province. Da
un paio di anni, parlare di Province voleva dire dare la stura a contumelie,
insulti, lazzi e frizzi. “Buttiamole via!”, era la voce comune: fonti di spreco,
sentine di vizi. Poi è stata partorita la legge Delrio - qualcuno ha parlato di
"legge Delirio". Risultato, nonostante che molti pensino che siano state
abolite, in realtà le Province ancora ci sono, con le competenze e i bilanci e
le società collegate eccetera. Che cosa è accaduto? E’ accaduto che i presidenti
e i consigli non verranno più votati dai cittadini, bensì dai sindaci e dai
consiglieri comunali. Insomma, da sé se la cantano e se la suonano.Una bella
presa in giro. E se i soldi pubblici delle Province verranno usati male, chi
potrà, magari quel minimo, protestare, chiedere conto agli eletti, visto che
sono eletti di secondo livello? Se protestavi contro Corada o Torchio o Salini
per le strade dissestate, qualcosa accadeva. E adesso che il presidente non è
più eletto dai cittadini? Sarebbe questo un provvedimento anticasta? In
compenso, visto che non ci sarà il giudizio degli elettori, in tutta Italia si
sono viste alleanze straordinarie: prevale quella Pd-Pdl, che, ora che ci penso,
tanto straordinaria non è. È anche singolare che partecipino alle elezioni
praticamente tutti, anche coloro che hanno gridato più forte contro le Province:
solo il M5S se ne è astenuto. Ma torniamo al punto: ci sono ancora bilanci da
gestire, anche se più magri di prima, beni mobili e immobili eccetera. Che dire?
Nel nostro territorio abbiamo visto giravolte sui candidati, veti incrociati,
sindaca di Crema contro sindaco di Cremona. Quando c’è di mezzo il potere, tutto
si può fare, tutto si fa. Ricordate lo statista democristiano che diceva che il
potere logora chi non ce l’ha?
sabato, ottobre 04, 2014
L'Australia è lontana. Molto.
Oggi mi piace raccontare una storia: quella del gjob acth australiano. Quel
lontano e sterminato Paese e riuscito, in poco piu di trenta giorni, a far
rientrare il tasso di disoccupazione di quasi mezzo punto percentuale. E non con
un miracolo, ma attraverso una campagna pro-occupazione particolarmente
innovativa, con la quale ha cercato di coinvolgere veramente tutti. Il progetto
si chiama Jobs 2014 e aveva come obiettivo creare 3mila posti di lavoro in otto
settimane. La gestione e stata affidata a quartieri e comunita: il risultato
sono stati 121mila nuovi posti di lavoro soltanto nel mese di agosto. A fine
giugno, il governo aveva invitato tutti gli operatori economici, grandi e
piccoli, ad offrire qualche opportunita in piu ai giovani, non importa se
parttime, stagionale o a tempo determinato; ovviamente, lo Stato ha fatto la sua
parte incentivando le aziende. L'Australia e lontana, certo, ed e messa meglio
dellfItalia; di sicuro la loro economia arranca meno, ma mi chiedo se una
visone positiva ed attiva come questa non possa fare infinitamente meglio di una
scelta politica ga togliereh. Mi spiego meglio: sappiamo quanto profonda sia
la strutturalita della crisi, ma sappiamo bene, anche, quanto siano importanti
la fiducia, lo sguardo rivolto al domani, la non rassegnazione. Mi chiedo se,
invece di sfinirsi su una battaglia tutta ideologica sullfarticolo 18 il
governo non dovrebbe invece battersi per una soluzione gallfaustralianah:
siete giovani, ancora non si parla di lavoro a tempo indeterminato, ma, intanto,
vi facciamo lavorare. Inoltre, leggo che molte persone, laggiu, non
cambierebbero la propria flessibilita con la sicurezza: consente loro di poter
seguire meglio la famiglia, per esempio. Insomma, e una filosofia diversa: non
punitiva, volta non ga togliereh, ma a creare opportunita, a far vivere.
Potremmo provarci anche qui? Dare fiducia, mettere alla prova l'autonomia e la
voglia di lavorare e di impegnarsi dei piu giovani. Invece di giocare con
l'antipolitica e poi accapigliarsi per le Province (e, detto tra noi, le nuove
amministrazioni comunali del nostro territorio non hanno fatto una grande
figura), far partire uno, alcuni, molti progetti "all'australiana". I nostri
ragazzi hanno bisogno di studiare e di lavorare, sono stufi di vane promesse.
L'Australia e lontana. Molto.
sabato, settembre 13, 2014
Tutto è bene quel che finisce bene. O no?

Daniele Tamburini
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Ortolano,
vittorio sgarbi
sabato, agosto 02, 2014
E’ una Vanoli a stelle e strisce

Tari, commercianti pronti allo sciopero fiscale

Parcheggi a pagamento: le proteste dei cittadini

Il Comune temporeggia: «Incontreremo i gestori Saba e Aem»
E' stato affrontato anche il tema dei parcheggi, durante la prima riunione
dello staff mobilità che vede coinvolti gli assessori Alessia Manfredini,
Maurizio Manzi e Andrea Virgilio, oltre a dirigenti e tecnici che si occupano
della partita, riunione che si è tenuta nella mattinata di venerdì. Un
approfondimento fortemente voluto da tutta la Giunta per affrontare la
situazione dei parcheggi, della viabilità, delle piste ciclabili, della
pedonalizzazione, della ZTL, del trasporto pubblico locale, in un’ottica di
visione complessiva sulla città. Il tema dei parcheggi non è ancora stato
approfondito, in quanto, come spiegano gli assessori, andrà inserito in un
discorso complessivo sulla mobilità cittadina e sul piano della sosta. Senza
dubbio la questione del numero dei parcheggi andrà rivista: difficile dire -
fanno sapere dal Comune - se il numero sia quello previsto dalla legge, in
quanto molto dipende dalla dislocazione dei parcheggi nelle varie zona della
città, ma sicuramente la distribuzione dei posti a pagamento dovrà essere
rivista. Nelle prossime settimane lo staff incontrerà gli enti gestori, Aem e
Saba, per capire cosa si può fare. «Gli strumenti di pianificazione del sistema
di mobilità del Comune di Cremona, infatti, risultano ormai datati: il piano
della mobilità risale al 1994, i piani particolareggiati del traffico al 2008,
il piano dei trasporti al 2002, il piano della rete ciclabile al 2007, il piano
urbano del parcheggi al 2008 - fanno sapere gli amministratori -. Sulla base di
dati precisi, assessori e tecnici hanno cominciato a riflettere sulle principali
criticità: l’assenza di un piano organico della sosta, lo stato di alcune
direttrici come Viale Trento Trieste, via Dante e via del Giordano, la
situazione dei passaggi a livello, le fasce della Ztl, le tariffe degli stalli e
i permessi in vigore, il piano di distribuzione delle merci che manca».
L’impegno preso al tavolo dello staff mobilità è quello di affrontare nel
dettaglio le singole questioni, dandosi una tabella di marcia certa e
verificabile. «Consapevoli che si tratta di un lavoro lungo e complesso –
dichiara l’assessore Alessia Manfredini - è necessario approfondire tutte le
criticità per individuare soluzioni a breve, medio e lungo termine con
l’obiettivo di una mobilità più possibile sostenibile e che favorisca gli utenti
più deboli della strada, in linea con le buone pratiche europee».
"A Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”. I Cottarelli e le missioni impossibili
Con Luzzara e Cottarelli son tornati i tempi belli”. Perché la frase susciti
un dolce ricordo sono necessarie almeno due condizioni: essere tifoso della
Cremonese, e avere oltre sessant’anni. L’uomo del giorno nel nostro paese è
Carlo Cottarelli, il commissario straordinario cui è stata affidata la Spending
Review, e che ha annunciato le possibili dimissioni dall’incarico per un
semplice motivo affidato a un blog: “Se si usano i risparmi sulla spesa per
aumentarla, il risparmio non potrà essere utilizzato per ridurre le tasse sul
lavoro”. Strana sorte quella dei Cottarelli, commissari chiamati al capezzale di
organismi moribondi per fare il miracolo. A papà Celeste, per tutti “Celo”,
l’impresa riuscì, fatte le debite proporzioni: l’Uessecì non è l’italia. Correva
l’anno 1967, e la Cremonese toccava il punto più basso della sua storia
sportiva: le difficoltà economiche avevano costretto il presidente Maffezzoni a
lasciare, e la squadra era retrocessa in serie D. La società fu commissariata, e
i commissari scelti furono due: Celo Cottarelli, amico di Maffezzoni, e Domenico
Luzzara, entrato in società per recuperare un credito di 80 milioni di lire, per
aver realizzato con la sua impresa edile l’impianto di illuminazione dello
stadio Zini. La stagione 1967-68 iniziò malissimo, con la storica sconfitta nel
derby con la Leoncelli, ma finì con la vittoria del campionato e il ritorno in
serie C, grazie a giovani di talento come Mondonico e Cesini e capitan Tassi.
Nel 1969 Cottarelli lasciò, e con la presidenza di Luzzara arrivò il momento più
alto, con le 4 stagioni in serie A. La Cremo era rinata, l’impresa era compiuta.
Quella che attende il figlio Carlo è proibitiva, non solo per la crisi economica
che attanaglia il nostro paese, ma anche per il contesto politico in cui opera.
Carlo nacque nel 1954; dopo il master alla London School of Economics, dal 1988
lavora per il Fondo Monetario Internazionale, di cui dal 2008 dirige il
Dipartimento Affari Fiscali. A richiamarlo in Italia da Washington fu
nell’ottobre scorso il primo ministro Letta, per affidargli la revisione della
spesa pubblica, scoglio sul quale si erano arenati anche economisti del calibro
di Pietro Giarda ed Enrico Bondi (scelti da Monti). “Mister Forbici”, come viene
prontamente soprannominato, diventa in breve un personaggio tra i più noti della
politica italiana, nonostante non sembri certo tipo da cercare i riflettori. A
Cremona in dicembre per il 50° dell’API (Associazione Piccole e Medie
Industrie), manifestò attaccamento alle radici, nonostante la lunga assenza, e
anche fiducia nell’arduo compito, che consisteva nel reperire 32 miliardi entro
il 2016. «Non avrei accettato se avessi pensato che l’impegno non fosse
fattibile. Ci sono riusciti altri paesi». Già, altri paesi però. Evidentemente
contagiato dal pragmatismo made in Usa, tornava in Italia con uno spirito
ottimistico: «Mi preoccupa però – diceva allora – il pessimismo, spero che
l’amministrazione pubblica ce la faccia. Serve un cambio di mentalità, in due
sensi: fare tagli non lineari ma mirati per eliminare le aree di spreco, e
utilizzare la maggior parte delle risorse trovate per ridurre la tassazione sul
lavoro, bisogno fondamentale per l’economia italiana». Un’anticipazione chiara
del contrasto poi emerso. Gli ultimi sviluppi infatti sono storia recente, di
queste ore. La reazione degli ambienti politici non si è fatta attendere, ed era
quella immaginabile: per il governo lo sfogo era diretto al Parlamento, per il
Parlamento era chiaramente un invito al governo. Freddo il commento del premier
Renzi: «Possiamo andare avanti anche senza di lui, la spending review non
dipende dalle persone che la conducono, ma dalla volontà del governo». D’altro
canto che il rapporto con Renzi non fosse lo stesso che aveva con Letta era cosa
nota. Tanto che i dossier di Cottarelli sulla spesa pubblica sono rimasti sinora
nei cassetti, e i due capitoli di spesa più rilevanti, sanità e pensioni,
sembrano intoccabili, come dimostrano le continue deroghe alla riforma Fornero.
A far traboccare il vaso è stato il ripristino della tutela per gli insegnanti
di “quota 96”, emendamento approvato dal Parlamento ma non sembra proprio contro
la volontà del governo. Cottarelli si prepara dunque a tornare al Fondo
Monetario, negli Usa. Probabilmente accadrà in ottobre. Ha cercato di dare una
mano al suo paese di origine, nessuno ha mai eccepito sulla bontà del suo lavoro
e sull’indipendenza con cui l’ha condotto. Ha acceso i fari su situazioni che
imbrigliano la nostra economia, ma la politica preferisce che la luce rimanga
più tenue. Come se l’importanza di Cottarelli si misuri sulla sua presenza
(messaggio ai mercati?) più che sulla sua opera, che la politica nostrana
ritiene fastidiosa. Probabilmente anche a pelle il suo feeling con Letta,
certamente più anglosassone di Renzi nell’approccio, era altra cosa rispetto a
quello conl’attuale premier.Come ben dice Sergio Rizzo sul Corriere, “il
prossimo taglio alla spesa pubblica frutto del lavoro di Cottarelli sarà il suo
stipendio”.
Giuseppe Carletti: a Cottarelli fanno fare “el bàc del pulèer”

Perché la Spagna è in ripresa e noi no?
A volte, conservo delle pagine di quotidiani con articoli che mi hanno
colpito e che mi riprometto di rileggere con calma. Spesso, ovviamente, non ci
riesco e le pagine si accumulano, finché non decido di fare spazio. Ma, mentre i
titoli passano sotto gli occhi, capita di avere (amare) sorprese. Era l’aprile
2010 e un grande quotidiano nazionale riportava la notizia di un convegno di
grandi economisti, organizzato da Gorge Soros, dedicato ad un confronto sul
“dopocrisi”. Perché l’amarezza? Primo: nel 2010 si parlava di “dopo crisi”,
orizzonte di cui, oggi, nessuno si sente più di parlare, se non in termini
probabilistici e, al massimo, speranzosi. E poi, leggiamo queste parole: Gli
invitati concordano che i paradigmi economici dominanti negli ultimi decenni,
improntati alla ritirata dello Stato regolatore perché il mercato garantisce una
sua razionalità ed efficienza superiori, «devono cambiare». I venticinque di
Bedford affermano che la disciplina economica nelle università «è stata
manipolata dal mercato» e «si è distaccata dal pianeta Terra, quindi non
riflette più il mondo reale». Bene, sono pienamente d’accordo! E però dove
siamo, quattro anni e passa dopo, almeno qui da noi? Il capitalismo finanziario
detta ancora legge: il suo continua ad essere un vero e proprio strapotere. Le
banche continuano a rappresentare il fulcro di quell’emergenza-credito che
contribuisce a strozzare ogni possibilità di ripresa. Altri Paesi (la Spagna, la
stessa Grecia!) iniziano a ripartire: e noi? Cito alcuni titoli di un rapporto
del Centro Studi di Confindustria dello scorso giugno: “La partenza ritardata e
lenta. Investimenti penalizzati da incertezza e redditività ai minimi; le banche
hanno stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza
ravvicinata... Questo anello mancante nella catena di normale trasmissione dei
meccanismi del riavvio della produzione (che parte dal ritorno della fiducia e
dal miglioramento delle aspettative) fornisce una convincente spiegazione del
ritardo con cui la ripartenza dell’economia italiana sta avvenendo. E continuerà
a essere un ostacolo …”. Faccio una domanda al governo: non sarebbe meglio
lavorare su questi ambiti, piuttosto che incaponirsi nella riforma del Senato?
Buone vacanze.
sabato, luglio 26, 2014
Giovedì d’estate flop, commercianti: «Niente condanne, ma vanno rivisti»
I giovedì d'estate non hanno avuto il successo sperato: lo sostengono i
commercianti di Cremona, che non hanno visto quell'affluenza di clienti che
auspicavano, nonostante che il centro città in queste serate sia sempre stato
gremito. Tuttavia, secondo alcune associazioni di categoria, non è il caso «di
condannare una manifestazione ormai radicata e consolidata»: è l'opinione di
Antonio Pisacane, segretario di Asvicom Cremona. «La gente che viene in centro
non manca, è un dato di fatto. Il problema è che non entrano nei negozi. Da un
lato, come sappiamo, la crisi incide anche su quello. Dall'altro, forse bisogna
pensare a una rivisitazione dell'evento. Mandarlo a monte sarebbe assurdo.
Invece potrebbe essere sensato pensare a qualcosa di nuovo, magari iniziative
nuove, più adatte ad una situazione che è cambiata. Anche gli stessi eventi
organizzati nell'ambito dei Giovedì d'estate potrebbero essere legati a
iniziative commerciali più specifiche». Di questo è convinto anche Giorgio
Bonoli, direttore di Confesercenti: «I Giovedì d'estate sono un'ottima
iniziativa, ma forse vanno rivisti e dotati di una connotazione maggiormente
commerciale, con eventi finalizzati a far entrare la gente nei negozi. Eventi di
questo tipo sono già stati fatti in passato: ad esempio particolari sconti
legati alla partecipazione agli eventi. Insomma, se già i soldi sono pochi,
bisogna fare in modo che la gente vada a spenderli nei negozi della città
anziché nei centri commerciali».
Sport con cani e cavalli
L'associazione sportiva GiancaDog lancia uno sport innovativo, per la prima volta in Italia

La Pomì ora è forte anche in regia
Accanto alla confermata Beatrice Agrifoglio giostrerà la forte Katarzyna Skorupa, da anni nazionale polacca


Hayes e Clark alla corte di Pancotto
Sono giorni intensissimi per la Vanoli. Giovedì è stato ufficializzato
calendario della prossima stagione, mentre in settimana la società ha lanciato
la campagna abbonamenti che ci pare vada nel verso giusto, per favorire
l’incremento degli abbonati, anche i più “freddi”, comunque attenti alle mosse
societarie, molte negli ultimi frangenti. Sono stati, infatti, ufficializzati
due atleti di nascita e scuola Usa: la guardia Kenny Hayes, 27 anni, già con
esperienze europee e l’ala forte Cameron Clark, appena uscito dai college, ma di
cui si dice molto bene. Per quattro quinti lo “starting five” dovrebbe essere
completato con Vitali e Campani e con Mian pronto a dar cambi. Manca “l'omone”
da centro area, ma potrebbe anche non arrivare se, come è quasi normale di
questi tempi, non lo si ritiene indispensabile tecnicamente. Ma a decidere come
agire sarà giustamente coach Pancotto. Non possiamo che dirci soddisfatti del
lavoro della società, per puntualità e dinamismo nel costruire per tempo la
squadra. Sarà il campo, poi, a dire se le scelte saranno state felici. A noi
dispiace solo che non si sia potuto trattenere Zavackas, accasatosi in Lituania,
che ritenevamo atleta di grande sostanza ed estrema utilità tattica. Come detto,
la Lega ha diramato il calendario che prevede l’esordio della Vanoli contro
Milano, la seconda gara in trasferta a Reggio Emilia e la terza sempre in
trasferta a Pistoia. Ci sia consentito un commento breve ma significativo:
peggio di così forse non poteva capitare! Ma siamo abituati a vedere i giocatori
biancoblu soffrire e venire avanti con pazienza e voglia, senza scoramenti o
frustrazioni di sorta. Forza Vanoli!. LE SCHEDE Kenny Hayes, guardia di 188
centimetri, è nato a Dayton (Ohio) il 16 aprile del 1987 ed ha frequentato la
Nortmont High School a Dayton (Ohio). Dopo essersi iscritto alla Cincinnati
State Technical and Community College, nel 2006 si è trasferito alla Miami
University (Ohio). Al suo ultimo anno con i Red Hawks, giocando una media di 31
minuti, ha ottenuto una media di 13,9 punti tirando con il 41,9% da 2 e il 53,3%
da 3 con 3,8 assist. Nel 2010 è stato scelto dai Maine Red Claws della Nba
D-League dove alla sua seconda stagione ha ottenuto il premio come giocatore più
migliorato della lega di sviluppo nel 2012. Al suo ultimo anno con i Red Claws
in 33 minuti giocati, ha messo mise a segno 17,1 punti a partita con il 45,5% da
2 e il 40,2% da 3 e 5,2 assist. Nella passata stagione ha militato nel Maccabi
Ashdod: in 28 partite, ha giocato una media di 33 minuti, realizzando 14,8 punti
di media con il 45% da 2 e il 37% da 3 e 3,4 assist a partita. Cameron Clark,
invece, è nato il 16 settembre del 1991 a Sherman (Texas). Ala forte di 204 cm,
dopo aver frequentato la Sherman High School è entrato a far parte dei “Sooners”
della University of Oklahoma, con cui non ha saltato nemmeno una partita in
tutta la sua carriera universitaria. Nel suo anno da Senior ha totalizzato in 33
partite giocate (28 minuti di media in campo), ha realizzato 15,6 punti a
partita con il 46,9% da 2, il 43,5% da 3 e 5,5 rimbalzi. Ha partecipato alla
Summer League con i Los Angeles Clippers con una media di 7,5 punti, 1,5
rimbalzi in 17,3 minuti in 4 gare.
QUANDO POTREMO FARE SHOPPING DOPO CENA?
Orari dei negozi, è il momento di cambiare?
Cambiare gli orari di apertura dei negozi della città, spostandoli verso la
sera o comunque nelle fasce orarie in cui i cremonesi sono più propensi a
uscire, in particolare nei mesi estivi: questa la riflessione che stanno facendo
le categorie del commercio cremonese, cercando delle risposte concrete a una
crisi sempre più forte. In realtà da tempo se ne parla, ma si tratta di un tema
delicato che va portato avanti attraverso un confronto con tutte le parti in
causa, compresi i sindacati dei lavoratori, e che dovrebbe essere gestito
dall'amministrazione comunale. Quello degli orari è un tema che da tempo porta
avanti anche Antonio Pisacane, segretario di Asvicom Cremona: «Sono stato tra i
precursori, in questo tema, ancora dai tempi in cui era assessore Baldani. Credo
sia un'ipotesi su cui si dovrebbe riflettere seriamente. Ancora di più oggi, con
i tempi di crisi che stiamo vivendo». Di fatto, normalmente i cremonesi sono al
lavoro negli orari in cui sono aperti i negozi, oppure al pomeriggio vanno alle
società canottieri, in estate. E nel momento in cui escono e avrebbero tempo per
lo shopping, dalle 19 in poi, i negozi sono già chiusi, e l'unica alternativa
restano i centri commerciali. «Nel sud Italia al pomeriggio fa talmente caldo
che i negozi aprono intorno alle 18, e restano aperti fino alle 22 - continua
Pisacane -. Poiché anche da noi il clima pomeridiano, nelle giornate di sole,
non è dei migliori, perchè non provare a prendere esempio, almeno a livello
sperimentale, provando a modificare gli orari di apertura dei negozi?».
L'ipotesi di aperture che proseguano fino alla prima serata potrebbe essere
vincente, così come l'idea di tenere aperto nell'orario di pausa pranzo, quando
il centro storico si riempie di persone che spesso si riversano nei pochi negozi
aperti, quelli delle grandi catene, come Tezenis e Sephora. «Mi chiedo perché
non valutare seriamente di modificare gli orari, fermo restando che prima va
fatta una valutazione con i dipendenti, con le sigle sindacali, per individuare
una soluzione sperimentale che possa andare bene a tutti - continua Pisacane -.
Sono convinto che anche per chi lavora nei negozi potrebbe essere un vantaggio
avere delle ore libere al pomeriggio, in estate, tornando a lavorare poi nella
fascia oraria tra le 17 e le 22. Credo vi siano gli spazi per trovare una
sperimentazione di buon senso. Peccato che nessuno finora abbia mai trovato il
coraggio, a livello istituzionale, di approfondire l'argomento. Spero che questa
amministrazione possa prendere in considerazione l'idea e magari avviare una
riflessione ad ampio raggio. Del resto i giovedì d'estate sono la prova che la
gente ha voglia di uscire e di andare in centro. Basta dargliene le
motivazioni». Sulle aperture serali è possibilista anche Giorgio Bonoli
(direttore di Confesercenti Cremona), secondo cui «E' una logica di cui già
spesso si è discusso, soprattutto guardando alle esigenze di una città come
Cremona, dove in estate la gente preferisce passare il pomeriggio in piscina,
alle società canottieri». Tuttavia non mancano i dubbi: «Gli orari possono
essere un problema per i dipendenti, ma anche per gli stessi commercianti, che
non vogliono rinunciare alla propria vita - continua Bonoli -. E' senza dubbio
una cosa su cui riflettere, di cui già a Crema si sta parlando». Insomma, alla
luce delle recenti liberalizzazioni degli orari del commercio, che consentono ai
negozi di gestire in autonomia i propri orari di apertura e chiusura, forse è
davvero il momento di rivedere le vecchie abitudini, andando incontro alle ormai
mutate esigenze dei consumatori, come del resto già viene fatto in quasi tutta
Europa e anche in diverse cittadine italiane.
Parcheggi liberi, la legge è rispettata? Si saprà il 1º agosto
Costi troppo alti e pochi posteggi liberi. Secondo la nuova giunta: «In questi anni è mancata una visione complessiva del problema»

Da tempo la situazione dei
parcheggi a Cremona è criticata dalla cittadinanza e dal mondo del. commercio:
avete già fatto una prima valutazione della situazione?
«Nei giorni
immediatamente successivi all'insediamento della Giunta abbiamo iniziato ad
affrontare le principali criticità alle quali dobbiamo porre mano. Tra queste vi
è senza dubbio la mobilità. Per lavorare al meglio e in linea con l'innovativo
metodo che questa Amministrazione ha introdotto, abbiamo avviato la prima fase
per la riorganizzazione dell'assetto della struttura comunale: un passaggio
indubbiamente forte, coraggioso che si basa su semplificazione ed efficienza.
Non si possono infatti affrontare le varie tematiche senza prima porre mano
all'assetto organizzativo in modo tale che sia in grado di supportare la parte
politica nella realizzazione delle sue linee di azione. Per questo abbiamo
riunito la mobilità in capo ad un unico settore: la divisione tra mobilità
sostenibile e mobilità non ha prodotto, con la precedente amministrazione,
grandi risultati, anzi, la divergenza tra le visioni dei due assessori sono
state sotto gli occhi di tutti. Nel frattempo abbiamo già fatta una ricognizione
con Aem sulla situazione dei parcheggi e abbiamo in calendario un incontro con
Saba, gestore insieme ad Aem dei parcheggi cittadini».
Secondo alcuni, c'è un
numero eccessivo di parcheggi a pagamento, soprattutto nel centro città,
rispetto a quelli liberi: avete già fatto una verifica in questo senso?
«Lo
affronteremo nella prima riunione dello staff mobilità che prende avvio il 1°
agosto. Ci siamo infatti dati questa nuova modalità di lavoro: affrontare i temi
in riunione specifiche, dove partecipano gli assessori di riferimento, i
dirigenti, i dipendenti con esperienza e, in determinati casi, anche i
rappresentanti delle partecipate. Lo stato dell'arte viene affrontato
collegialmente, vengono passate in rassegne le varie criticità e proposte
soluzioni. In questo modo saremo più strutturati e con i gestori avremo un
rapporto più stretto».
Un altro problema è l'impossibilità di pagare solo per
frazioni orarie, soprattutto in piazza Marconi...
«Ne siamo a conoscenza, per
questo è necessario rafforzare il confronto con i gestori dei parcheggi. In tal
senso abbiamo già avuto un confronto con Aem per quanto riguarda la
rigenerazione di corso Garibaldi a proposito del parcheggio di via Villa Glori e
speriamo di avere quanto prima il via libera definitivo».
Parliamo infine dei
prezzi, che vengono definiti eccessivi per una città come Cremona: ci sono i
margini per abbassarli? Se si, come?
«La questione è nota e condivisibile, ma la
cornice deve essere il nuovo piano della sosta. Un piano strutturato e con una
visione a breve ma anche medio e lungo termine, uno strumento lasciato disatteso
per anni dalla precedente amministrazione. E su questo abbiamo le idee chiare.
E' necessario un progetto integrato: piano soste, piano carico e scarico merci,
pedonalizzazione, zone a traffico limitato, trasporto pubblico locale,
ciclabilità in un’unica visione. Un piano generale della sosta: per commercianti
e residenti occorre rendere standard i costi; occorre incentivare l’uso dei
parcheggi esistenti e implementare quello della stazione, serve applicare un
piano di carico e scarico merci.
In una visione complessiva del piano della
mobilità e della sosta, cosa si dovrebbe cambiare?
«E' giusto parlare di visione
complessiva, quella che è appunto mancata in questi anni. Come prima cosa
cercheremo, partendo dalle professionalità che ci sono in Comune, di ricostruire
il settore della mobilità, strutturando gli uffici su progetti mirati. A
settembre, con l'approvazione delle linee programmatiche di governo in Consiglio
comunale, alle quali stiamo appunto lavorando in queste settimane, avremo
l'indirizzo politico che si tradurrà in azioni e scelte da attuare
nell'immediato futuro per migliorare la mobilità e la sosta».
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