venerdì, ottobre 21, 2011

intervista al professor Alberto Vannucci: «Dobbiamo tornare ad essere una comunità»

di Daniele Tamburini
Prosegue il nostro “viaggio all’interno della crisi”, alle sue radici, alle ragioni ed alle strategie per contrastarla e per ricostruire un orizzonte economico e sociale sempre più in sofferenza. Si parla della necessità di una nuova, ennesima manovra; i mercati si muovono secondo logiche che la politica, in tutto il Vecchio continente ma soprattutto in Italia, non riesce a governare; da parte di alcuni si mette in discussione la stessa permanenza nell’Unione europea o, quantomeno, nell’area euro, per altri, fuoriuscirne sarebbe una sorta di suicidio. Intanto, cresce la protesta sociale: anche questo, un fenomeno globale, capace di riempire le piazze delle capitali d’Europa e la stessa Wall Street.
Abbiamo rivolto alcune domande ad Alberto Vannucci, docente di Scienza politica presso dell’Università degli studi di Pisa.
Professor Vannucci, partiamo da quanto ha recentemente sostenuto Giuliano Amato: c’è poca consapevolezza, ancora, di quanto la crisi cambierà in profondità il nostro modo di essere e di fare. Non la supereremo con i metodi tradizionali, ma solo avvalendosi al meglio delle specificità e delle vocazioni di ognuno. Lei cosa ne pensa? E quali sono le vocazioni e le specificità su cui può puntare il nostro Paese?
«Credo che Giuliano Amato abbia colto un punto importante. La crisi genera incertezza, ma trovarsi in condizioni difficili può servire a risvegliare energie nascoste, trasformarsi in opportunità, favorire il consenso intorno a riforme decisive per il paese, finora bloccate da piccoli egoismi e veti incrociati. Perché questo accada occorre maturare un modo nuovo di guardare a noi stessi, di leggere la nostra storia. In Italia da troppo tempo ci culliamo nell’idea che esista una dotazione praticamente infinita di genio - il “genio italico”, appunto - e che le nostre doti innate di creatività e fantasia, magari condite da un pizzico di sregolatezza, alla fin fine ci assicurino una capacità di rispondere alle difficoltà economiche o di riprenderci dalle avversità sconosciuta ad altri popoli più “ingessati”. E’ un’immagine consolatoria e autoassolutoria, che purtroppo fa a pugni con la realtà di questi ultimi decenni. Proviamo a guardare all’Italia con gli occhi di uno straniero: siamo governati da una pattuglia di politici che ogni giorno tocca un nuovo fondo nel discredito internazionale, conosciamo da oltre un decennio i più bassi livelli di crescita economica in occidente, viviamo in un territorio che - per quanto ancora meraviglioso - è sempre più segnato dall’incuria e dal degrado, siamo quotidianamente vessati da un’amministrazione pubblica inefficiente. In cosa ci avrebbe aiutato il nostro genio
negli anni in cui siamo sprofondati nelle classifiche della produttività, della competitività, della ricchezza pro-capite? Proviamo a porci una domanda: quali sono le vocazioni che in questo paese aiutano ad emergere? Le cronache degli ultimi anni purtroppo ci raccontano troppe storie di successo di imprenditori, faccendieri o di giovani donne che hanno “sfondato” nella carriera politica o nella loro carriera soltanto perché erano abili o spregiudicati nell’organizzare o animare festini e intrattenimenti privati col potente di turno, allacciare rapporti nell’ombra, blandire i potenti, raccogliere e gestire informazioni ricattatorie. Viene da pensare che questi siano i principali canali di ascesa sociale in questo paese: se in America la rivista Times celebra il ventenne miliardario Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, come uomo dell’anno, in Italia gli unici ventenni che rischiano di finire in copertina sono i partecipanti ai reality o alle feste private del Presidente del consiglio. C’è di che preoccuparsi del destino di un paese nel quale il talento, le aspirazioni, le vocazioni dei ventenni, quelle che segnano le speranze di successo individuale, sono plasmate nel migliore dei casi dal retaggio familiare, nel peggiore dall’abilità nell’inserirsi entro una rete di favori più o meno leciti da erogare o ricevere. Eppure le risorse che fanno del nostro paese una realtà unica al mondo sono ben note, spaziano dalla qualità e originalità della produzione manifatturiera alla fusione tra architettura e natura dei nostri paesaggi, e molto altro ancora. Da qui di dovrebbe ripartire, dalla capacità di dare valore a ciò che ci rende straordinari, riconosciuti ed ammirati ovunque. E’ giustificabile, tanto per fare un esempio, che l’Italia sia soltanto sesta per numero di turisti internazionali, nonostante abbia la più alta densità al mondo di beni culturali e di siti Unesco? L’immagine drammatica che è circolata negli ultimi anni sui media internazionali, “l’oro di Napoli” sepolto da cumuli di immondizia, rende meglio di mille discorsi il senso della ferita inferta dalla cattiva politica alla bellezza e alle potenzialità del nostro paese ».
Lo scorso sabato, molte piazze si sono riempite di gente che esprimeva rabbia e delusione per i modi con cui i Governi stanno rispondendo alla crisi. Lo stesso Mario Draghi ha detto che si possono capire le ragioni degli “indignados”. Il livello della disuguaglianza cresce; non solo i ceti popolari, ma anche il ceto medio si impoverisce progressivamente, e la ricchezza si concentra sempre di più in poche mani. Secondo lei, c’è il rischio che le tensioni sociali degenerino in violenza, al di là delle manifestazioni dei blackblocs?
«Manifestazioni episodiche di violenza organizzata, esplosioni di rabbia come quelle cui si è assistito alla manifestazione di sabato scorso sono sempre possibili, ma purtroppo diventano più probabili se si acuiscono le condizioni di disagio, proprio come è accaduto negli ultimi anni: l’aumento della disoccupazione giovanile, oggi a livelli record specie nelle regioni meridionali, la precarietà del lavoro, l’incertezza di un futuro al quale i giovani guardano con preoccupazione, non più con speranza, il dominio incontrastato delle multinazionali della finanza, il “99 per cento” del mondo che subisce inerme le scorribande dell’1 per cento più ricco. Del resto questi giovani appartengono alla prima generazione dal dopoguerra che è più povera di quella che l’ha preceduta, che consuma più di quanto non riesca a risparmiare, mantenendo un tenore di vita relativamente elevato grazie all’aiuto delle famiglie di provenienza. A mio avviso però siamo distanti anni luce da quel clima di esasperata contrapposizione ideologica che – assieme ad altri fattori – diede vita alla tragica stagione del terrorismo negli anni di piombo. Le rivendicazioni di chi protesta oggi sono segnate da un approccio molto più pragmatico e meno ideologico, nella stragrande maggioranza chi partecipa rifugge ogni forma di violenza, anzi tende a isolare i violenti».
Lei insegna all’Università. Cosa pensa della condizione dei nostri giovani?
«Non so quanto ne siano consapevoli, ma i ragazzi e i giovani di oggi sono fortunati. Hanno a loro disposizione strumenti di comunicazione, informazione e interazione universali potentissimi, inconcepibili soltanto pochi decenni fa. Possono intrecciare in tempo reale reti di rapporti con tutto il mondo, accedere liberamente e istantaneamente a una marea di dati, musica, notizie, filmati, e al tempo stesso contribuire a produrli, mettendo in gioco la propria creatività. Eppure sono gli stessi giovani che scontano il clima di recessione, la gerontocrazia immobile che blocca le possibilità di carriera, l’enorme debito pubblico che toccherà a loro pagare, ma di cui altri hanno beneficiato, la precarietà estenuante della condizione lavorativa. Di qui il ritardo nelle scelte cruciali, posticipate sempre di più: del resto come si può costruire un progetto di vita, magari sposarsi o fare figli, quando le prospettive sono così incerte? Ecco che nasce la tipologia dei “bamboccioni” per forza o per necessità, sulla quale è facile fare ironia. E così si spiega la “fuga dei cervelli”, triste primato italiano, che vede i migliori tra i nostri giovani talenti emigrare in paesi dove loro qualità sono valutate in base al merito e non al cognome o alle tessere. Ma vedo anche una grande energia in questa generazione che, se ben canalizzata, potrebbe trasformare la legittima frustrazione di una generazione penalizzata da scelte politiche scellerate in un vero cambiamento del nostro assetto politico ed economico ».
Quale ruolo ha avuto il sistema creditizio, nella crisi e nella risposta alla crisi stessa?
«Direi che è il responsabile principale, assieme a tutto il variegato mondo della finanza, coadiuvato in questo da un potere politico imbelle, colluso o - nella migliore delle ipotesi - del tutto inerme. La speculazione sui molti tavoli dei mercati globalizzati, i giochi di prestigio finanziari, hanno permesso di offuscare le responsabilità di chi prendeva decisioni azzardate e senza rinunciare ai propri bonus milionari scaricava su altri - risparmiatori o bilanci pubblici - il costo dei propri sbagli. Non solo: hanno contribuito ad allargare la forbice della disuguaglianza sociale, a polarizzare la distribuzione dei redditi, mai così sbilanciata a favore dell’1 per cento di privilegiati contro cui protestano gli indignati. Eppure il mondo della finanza è rimasto pressoché impermeabile di fronte alla crisi. Nessuna auto-riforma, nessuna seria assunzione di responsabilità, al contrario un tentativo – fin qui perfettamente riuscito – di far gravare sui bilanci pubblici o sui risparmiatori il costo degli investimenti fallimentari, neutralizzando qualsiasi tentativo di riforma.Tenendo i governi in scacco, visto che il loro fallimento avrebbe ricadute disastrose sui bilanci pubblici, le grandi banche e le multinazionali della finanza hanno evitato tanto la sanzione del mercato che la prospettiva di una regolazione più rigorosa dei loro strumenti finanziari e attività. Ancora oggi, nonostante ci si avviti nella crisi, continuano indisturbate a realizzare le loro scorribande in quella sorta di una terra di nessuno che sono i mercati finanziari globalizzati, nel vuoto di regole efficaci a tutela dei soggetti deboli, che una volta tanto non sono solo i risparmiatori, ma anche gli Stati».
Lei è uno studioso attento di un fenomeno che colpisce fortemente il nostro Paese: la corruzione. Ricordo un suo titolo di anni fa, “Il Belpaese dalle mani impunite”. Una stima della Procura generale quantifica in 50-60 miliardi all’anno la “tassa occulta” della corruzione. Ce ne vuole parlare?
«Si tratta di una stima ottimistica, temo, per un paese come l’Italia, che è crollata dal 41° posto del 2006 al 67° del 2010 nelle classifiche della corruzione, meglio di noi fanno persino Rwanda, Ghana, Macedonia, Tunisia, Namibia, Malesia, Giordania. Ai 50/60 miliardi di euro di costo annuo stimati nel 2009 dalla Corte dei Conti – una “tassa occulta e immorale” che grava per mille euro l’anno su ogni cittadino italiano – occorre aggiungere poi i costi economici indiretti, come quelli derivante da ritardi, cattive realizzazioni, inutilità, sovradimensionamento, scarsa qualità di opere e forniture pubbliche, oppure dal degrado nel governo del territorio (cementificazione, abusi edilizi, etc.). Del resto, quando i funzionari pubblici sono in vendita in cambio di una tangente, il malfunzionamento degli apparati pubblici e dei meccanismi di tutela degli interessi collettivi è assicurato: le ricadute visibili della corruzione sono le valvole cardiache difettose, i vermi nel cibo delle mense per bambini, le case e le opere pubbliche che si sgretolano per il cemento scadente, le morti bianche degli operai dovute al mancato rispetto delle norme sulla sicurezza. Dietro agli sprechi nella gestione della spesa pubblica quasi sempre si nasconde un giro di mazzette. Non bisogna poi dimenticare che un sistema politico dove la corruzione è prassi abituale intacca alla radice il vincolo di fiducia che lega i cittadini alle istituzioni rappresentative e le delegittima. La corruzione non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici, ma genera un deficit di democrazia. Va a falsare la competizione elettorale, visto che le tangenti assicurano risorse addizionali proprio ai corrotti che reinvestono il ricavato delle tangenti. La corruzione intacca poi i valori democratici fondamentali: come i principi di trasparenza e di uguaglianza. Non può esservi
uguaglianza nel diritto dei cittadini di accedere ai servizi dello stato, non occorrono i requisiti previsti dalle regole imparziali dello stato di diritto. In un sistema corrotto, al contrario, regnano l'arbitrio, l'imprevedibilità,
i contatti personali. Così, come dimostrano diverse ricerche, tra le ricadute della corruzione vi sono l’accrescersi delle disuguaglianze economiche e sociali e il ridursi delle opportunità legate al merito individuale, fenomeni purtroppo ben noti in Italia». 
Parlando di enormi risorse che vengono sottratte al circuito economico legale, il pensiero va all’evasione e all’elusione. La sua opinione in merito? 
«Proviamo a fare due calcoli: ai 60 miliardi di costo della corruzione di cui si parlava sopra aggiungiamo i 120 miliardi annui di evasione fiscale, secondo i prudenti calcoli del Ministero dell’economia. E magari pure i circa 150 miliardi di euro annui di fatturato delle organizzazioni criminali, stimati dalla Commissione antimafia. Così si ha un’idea dell’ordine di grandezza del fardello dell’illegalità: fanno 330 miliardi di euro, l’equivalente di una decina di manovre finanziarie, quanto basta e avanza per riportare in ordine i conti pubblici e sottrarci dal mirino della speculazione internazionale. Soltanto un paese presenta in Europa livelli simili di evasione, e stiamo parlando della Grecia in bancarotta. Guardando all’evasione, come può un paese tollerare che i commessi di gioielleria, in quanto lavoratori dipendenti, dichiarino in media un reddito superiore ai proprietari delle gioiellerie, i quali poi – a differenza dei primi – al pari di molti altri “nullatenenti” con imponenti patrimoni
immobiliari avranno la possibilità di ottenere esenzioni sui ticket o altri benefici? Livelli tanto patologici di evasione fiscale non sono soltanto un problema etico, che per giunta ha effetti disastrosi sulla nostra economia, ma anche un fenomeno che accentua le disuguaglianze nascoste, lacerante e pericoloso per la stessa pace sociale. La questione ha radici profonde, ma discende in definitiva da un patto implicito tra consenso e tolleranza fiscale. Un accordo tacito che sta affossando il paese, ma che ha assicurato per decenni la sopravvivenza di una classe politica irresponsabile, che tuttora continua a proporre e approvare in rapida successione misure dagli effetti devastanti come condoni, concordati, scudi fiscali. Ed è legittimata dalla diffusione di massa di una vera e propria “cultura dell’illecito”, grazie alla quale l’evasore di norma non viene mai denunciato né stigmatizzato dai cittadini o dai colleghi. Insomma, come in altri contesti, nel caso dell’evasione cattiva politica e “società incivile” si sostengono e si legittimano a vicenda». 
Per finire, una domanda difficile, ma obbligata: ce la farà l’Europa, ce la farà il nostro Paese, ce la faremo? 
«Visto che molte delle mie considerazioni hanno un tono poco incoraggiante, vorrei chiudere con una nota meno cupa. I popoli europei ha fatto progressi impensabili rispetto a pochi decenni fa, quando si massacravano nei campi di battaglia. Oggi il loro problema è quanto investire nei fondi di solidarietà, o come negoziare quelle rinunce di sovranità che permetterebbero di consolidare le fondamenta una vera casa comune europea. Ma gli interessi in gioco sono ormai in larga misura condivisi, sono convinto che un accordo è a portata di mano. Lo stesso vale per l’Italia. Abbiamo fatto progressi enormi, godiamo di una gamma di diritti civili e sociali che ancora ci colloca tra i paesi dove più alta è la qualità della vita. Nonostante la crisi, resistono aree di eccellenza assoluta, non a caso in quelle organizzazioni pubbliche e private dove valgono le regole virtuose del merito e dell’efficienza. Certo, bisogna far sì che questi esempi positivi crescano e si moltiplichino, occorre ricominciare - magari proprio grazie alla crisi - a pensarci come una comunità, anziché la somma di tante corporazioni, egoismi privati o “cricche” assortite. Promuovere un impegno condiviso per allargare gli spazi di solidarietà e di partecipazione. Svecchiare la classe dirigente. E’ una sfida per ciascuno di noi, quale che sia il nostro ruolo. Magari lavorando nel piccolo, ma senza rinunciare a pensare in grande».

lunedì, ottobre 17, 2011

Caro sindaco Perri, non mollare

Ricordo bene quando fu eletto il sindaco Oreste Perri. Fecero la differenza una manciata di voti ma, soprattutto, il modo con cui si era presentato il candidato, ex campione sportivo, uomo dai modi aperti e leali, che aveva deciso di lanciarsi in politica per spirito di servizio verso la sua città da uomo libero, dicendosi lontano dalle beghe di partito e da logiche di schieramento capziose ed incomprensibili ai più. Proprio quei partiti da cui non ha potuto e non può prescindere, ovviamente, nella quotidianità del mandato amministrativo, e che tendono a metterlo sotto scacco e a renderlo ostaggio. Così, il campione sorridente della gente comune è sempre più amareggiato, e in modo più o meno amichevole, gli viene suggerito di andarsene, di mollare, lui che, oltretutto, di politica non campa. Io non sono d'accordo, e vorrei dirgli: no Sindaco, non molli. Non sarebbe dignitoso, né per lei né nei confronti di coloro che l’hanno scelta per governare la città, né riguardo all’istituzione che presiede. Sarebbe una amara sconfitta, quando invece uno sportivo deve lottare fino in fondo. Prosegua nella sua strada, sindaco Perri, cercando di riconquistare la sua autonomia a dispetto delle liti dei partiti di maggioranza. Tutto è cominciato con la grana scoppiata in seguito alla conferma di Albertoni in Aem? Ma non si è trattato di una scelta nata appunto dal suo esplicito proposito di sentirsi svincolato dalle gabbie imposte dai partiti, scegliendo sulla base delle capacità? E quindi continui a lavorare, Sindaco, individuando e perseguendo le priorità che ritiene importanti per la città; si misuri con la realtà delle cose e non con gli impicci di questa politica fatta di chiacchiere e distintivo. Come dice Angelo Zanibelli, in questa pagina, siccome nessuno vuole abbandonare la poltrona, una sua minaccia in questo senso farebbe preoccupare molti. E allora si diverta, Sindaco. Poi arriverà, anche, il giorno in cui potrà dire: “Ma andate tutti…”.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 08, 2011

Ci meritiamo tutto questo?

Riflettiamo: la maggior parte delle persone che conosciamo lavora, o cerca di farlo, si dà da fare, campa la famiglia, cresce i figli. I ragazzi, quelli che vedo io, avranno anche qualche comportamento a rischio, ma insomma, nella maggior parte, studiano, fanno sport, spesso anche volontariato, insomma, si ingegnano a crescere. Siamo stati cresciuti, chi più chi meno, con una raccomandazione: studia, lavora, sii onesto, non sperperare, pensa al futuro. Mah… sembrerebbe che non sia più così. Viviamo uno stravolgimento dei mercati, ma anche dei modi di stare al mondo. Le agenzie di rating hanno declassato il nostro debito, eppure, diceva giorni fa Ferruccio De Bortoli, in un bellissimo editoriale sul Corrierone: eppure, l’Italia ha dopotutto la seconda industria manifatturiera d'Europa, la ricchezza netta privata è quattro volte il debito, la nostra ricchezza pro capite è quasi il triplo di quella iberica, per dire; il debito è il doppio, ma il deficit circa la metà. Perché i mercati infieriscono contro di noi, e non, appunto, contro la Spagna? Ci meritiamo tutto questo? Declassano il debito, e tutti ci sentiamo un po’ declassati: dicono che l’Italia è inaffidabile, incapace di onorare il debito. Vallo a spiegare, che da una parte c’è il corpo sano, il cuore pulsante del Paese, la voglia di fare e resistere di imprenditori, industriali, commercianti, artigiani, agricoltori e della gente comune… e dall’altra? Già, dall’altra cosa c’è? Cos’è che ingenera sfiducia, in noi e nei mercati? Risponde De Bortoli, senza lasciare spazio a “se” e “ma”: “Il fatto è che non siamo né credibili, né seri. Nessuno più investe in Italia e chi ci presta soldi vuole tassi da usurai. La nostra immagine è a pezzi. Chi lavora con l'estero prova una profonda umiliazione, cui si accompagna un sempre crescente moto d'ingiustizia, per come viene trattato il nostro Paese”. La maggioranza di Governo è sempre più in affanno nel trovare soluzioni per il Paese, salvo compattarsi a riccio quando si tratta di questioni che poco riguardano i cittadini, ivi comprese le intercettazioni: il decreto sviluppo può attendere, la legge contro le intercettazioni no. Spesso lo spettacolo è veramente indecoroso. E anche qui a Cremona, converrete con me, la rappresentazione che le forze che hanno ottenuto la maggioranza in Comune danno di se stesse non è delle migliori. Ci sarebbe di che indignarsi, o no? Ma forse aveva ragione mio nonno quando diceva: “Ognuno ha il capo che si merita”.

Daniele Tamburini

venerdì, settembre 30, 2011

Etica, morale, crisi di coscienza: ma che roba è?

Le cose non accadono mai per caso, verrebbe da dire. Intervistato la scorsa settimana dal nostro giornale, don Rini affermava alcuni concetti basilari, che ci piace riprendere: chi fa politica non dovrebbe tenere un comportamento autoreferenziale, riservato cioè alla propria conservazione e non al bene comune; formulare leggi che tutelino interessi personali o appartenenza politica o privilegio di casta è immorale; ciò che dovrebbe guidare l’azione politica è il bene comune. Richiami seri, forti, che proseguivano nella constatazione per cui chi non ama le regole etiche nella vita privata, difficilmente le può agire nella sfera pubblica. Sicuramente, queste parole portano allo sviluppo di tante ulteriori riflessioni. Che cos’è l’etica? Il relativista dirà che ognuno ne ha una: chi può giudicare la moralità o meno di un’azione? E altri aggiungono: quel che fa una persona nella sua sfera privata è altra questione, rispetto all’azione nella sfera pubblica. Questi ragionamenti, applicati alla vita politica e amministrativa, probabilmente hanno perso di vista proprio la mission profonda della politica stessa, e cioè – come dice don Rini – il bene comune. Che poi significa: valutare le scelte migliori da compiere per assicurare il bene di tutti o quantomeno di una quantità di persone che si avvicini il più possibile al “tutti”. Queste scelte sarebbero sempre opinabili, e tali da scontentare quando l’una, quando l’altra parte del corpo sociale, ma sicuramente vi si leggerebbe in prevalenza il desiderio del bene comune. Accade poi che, qualche giorno fa, un’alta autorità della Chiesa cattolica, il cardinale Bagnasco, presidente della Cei, abbia stigmatizzato, con grande severità, “stili di vita difficilmente compatibili con la dignità delle persone e il decoro delle istituzioni e della vita pubblica”. Con il “deterioramento del costume e del linguaggio pubblico, nonché la reciproca, sistematica denigrazione, è il senso civico a corrompersi, complicando ogni ipotesi di rinascimento anche politico”. Ha parlato chiaro il cardinale: il rischio è la corruzione, l’erosione del senso civico. Il senso civico va di pari passo con il rispetto delle istituzioni, in quanto biglietto da visita della credibilità di un Paese. E, venendo a noi, lo stesso sindaco Perri ha dovuto parlare di un risvolto etico nella vicenda dei matrimoni per burla celebrati da due consiglieri comunali: pur senza rilevanza penale, è un comportamento che mette a rischio il senso delle istituzioni. Siamo noi cittadini che eleggiamo persone in cui abbiamo riposto fiducia e dalle quali ci aspettiamo che sappiano rappresentarci degnamente, seriamente, civilmente. Hemingway diceva che “riguardo alla morale, so solo che è morale ciò che mi fa sentir bene e immorale ciò che mi fa sentir male dopo che l'ho fatto". Chissà come si sentono coloro di cui hanno parlato don Rini, il cardinale Bagnasco, il sindaco Perri. Avranno avuto crisi di coscienza? Forse, la chiave sta tutta qui.

Daniele Tamburini

intervista a Alessandro Volpi: "Se tornassimo alla Lira?"

Prima la lunga estate calda dei mercati finanziari e l'imposizione, di fatto, al nostro Paese di una manovra "lacrime e sangue"; poi le incertezze sulle misure da prendere, una situazione politica ingarbugliata, l'impazzare della speculazione, i crolli ripetuti delle Borse, in Usa e in Europa, la situazione greca e il rischio di default, fino al declassamento del debito italiano operato da Standard & Poor’s, una delle agenzie di rating più influenti. Abbiamo chiesto al professor Alessandro Volpi, docente di storia contemporanea e geografia politica ed economica presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Pisa, di farci un quadro della situazione. 
Come mai oggi, quando si parla di economia, c’è questa estrema attenzione allo stato dei mercati e delle borse? sta solamente qui la ricchezza dei Paesi? 
«E' chiaro che negli ultimi anni abbiamo assistito a una profonda trasformazione dell'economia mondiale, con una crescita notevole della dimensione finanziaria. Tanto che oggi il rapporto tra il valore del Pil e quello dei mercati finanziari è di dieci volte più alto di prima, a livello nominale. E' quindi incrementata la capacità di condizionamento del mercati finanziari, e insieme ad essa anche le tendenze speculative. Allo stesso modo, l'influenza dei mercati finanziari si avverte sull'andamento dei prezzi di mercato, cosicché il valore speculativo diventa superiore al valore reale del titolo. In sostanza accade che sempre più spesso si scommette sul rialzo dei titoli, e questo fa crescere anche i prezzi del bene in oggetto, anche se non vi è cambiamento nella domanda e nell'offerta. E' quello che, ad esempio, è accaduto per il petrolio. Così la differenza tra prezzo reale e finanziario è enorme, e il primo diventa sempre più condizionato dal secondo».
Quali sono le principali radici della crisi che qualcuno sta definendo “la peggiore degli ultimi cento anni”?
«La crisi nasce nel 2007 negli Usa, all'interno del mercato dei mutui. Una grande massa di soggetti si è indebitata, puntando sul fatto che il denaro costava poco. Il debito è però diventato talmente elevato che ha portato al fallimento del mercato immobiliare. Dopodiché si è generata una colossale distruzione di valore che poi ha contagiato le banche, le imprese e infine i debiti sovrani degli Stati, intervenuti nei salvataggi. Il mercato americano infatti, a salvaguardia del debito,ha immesso moltissimi titoli sul mercato. Essi sono diventati però una concorrenza pesante per quei paesi che già ricorrevano al mercato per finanziare il proprio debito. Così è accaduto per l'Italia, che già utilizzava il sistema di immettere titoli sul mercato per pagare il debito pubblico».
Qual è la situazione dell'Italia?
«Il nostro Paese si trova a pagare interessi altissimi a causa della presenza di molti altri paesi sul mercato. Questo porta a un indebitamento sempre maggiore, e a una crescita esponenziale degli interessi. Ora è intervenuta la Bce, ad acquistare una parte del debito italiano, in modo da far abbassare gli interessi, che sono ora intorno al 5,5%;. Si tratta comunque di valori molto alti, che quindi ci espongono a grandi rischi».
Si parla molto di "rischio default": ci vuole spiegare il significato di questo termine?
«In una situazione come la nostra significherebbe l'impossibilità di pagare il proprio debito o una parte di esso. Ogni anno l'Italia deve vendere 250 milioni di titoli di debito, ma se non riuscisse a venderli tutti il rischio è che non riesca a restituire per intero quelli in scadenza. I paesi che fanno i default rischiano quindi di bloccare la restituzione del debito, totalmente o anche parzialmente. Ciò ha ricadute pesanti su tutta l'economia del Paese, in quanto vengono penalizzate banche, risparmiatori, ecc. E se le banche sono danneggiate potrebbero congelare i depositi dei risparmiatori, per non perdere liquidità».
Alcuni economisti di gran fama (citiamo Loretta Napoleoni) stanno ipotizzando una fuori uscita temporanea dall’Euro, per la Grecia ma non solo. Quali scenari si aprirebbero? È una via perseguibile?
«Sono convinto che non sia la strada migliore. Anzi, sarebbe una via pesantissima, per diversi motivi: primo la difficoltà procedurale, in quanto i trattati europei non prevedono una fuoriuscita di un paese dall'Euro. In seconda istanza, se uscissimo dalla moneta unica il nostro debito resterebbe comunque conteggiato in euro, e quindi ci troveremmo con una moneta debole per pagare un debito forte. Infine si avrebbe una svalutazione della moneta, con impatto forte sulla capacità dei consumi, specialmente per chi ha redditi bassi. L'unico aspetto positivo sarebbe la possibilità di utilizzare tale svalutazione della moneta per rilanciare le esportazioni,
e movimentare un'economia stagnante. Tuttavia, a fronte di tanti aspetti negativi, non vale la pena di adottare una simile soluzione». 
Eppure se ne parla anche tra la gente e in alcuni ambienti politici. Quali sarebbero le conseguenze per il nostro paese e per la nostra economia?
«Come già detto, l'Italia sarebbe piegata dall'inflazione e dal debito. In quelle condizioni nessuno farebbe più prestiti al nostro paese, perché nessuno si fiderebbe più, e dunque si perderebbe sovranità. Per le famiglie comuni la svalutazione della moneta può significare non riuscire più a fronteggiare i pagamenti di debiti, mutui e altro. Si verificherebbe dunque un incremento della povertà nelle fasce medio-basse. Soprattutto le fasce a reddito fisso subirebbero una drastica diminuzione del potere di acquisto».
Secondo lei come finirà con la Grecia? E l’Italia?
«I sacrifici richiesti ai greci per riuscire ad avere un sostegno europeo sono eccessivi, e questo li porterà all'impossibilità a crescere. Forse, dunque, in quel caso sarà necessaria qualche misura di ristrutturazione del
debito. In Italia sarà diverso. La situazione è preoccupante, nonostante il sostegno europeo, e questo porta difficoltà anche all'Europa stessa. Non immagino comunque un default per il nostro paese, ma non escludo l'ipotesi di un congelamento dei titoli di Stato, se non entreranno in campo misure convincenti, sia italiane che europee. L'Italia ha dalla sua il fatto che i titoli abbiano scadenze lunghe ma se gli interessi aumentassero di nuovo, fino a superare il 6%, le difficoltà non mancherebbero ».
Possono ancora esserci speranze di risollevare le sorti del Paese? Se sì, quali sono le azioni che si dovrebbero intraprendere?
Innanzitutto si dovrebbe agire sul versante della leva fiscale: in Italia esiste molto risparmio privato, ma anche forte indebitamento pubblico. Dunque si dovrebbe trasferire la ricchezza patrimoniale a riduzione degli stock di debito. Si potrebbe quindi ipotizzare di intervenire sul patrimonio immobiliare, che in Italia è pari a 1.500 miliardi di euro, introducendo una tassa che consentirebbe un maggior respiro nel pagamento degli interessi. Allo stesso modo si potrebbe intervenire sui capitali, che sono pari a 900 miliardi. La tassazione di uno di questi due cespiti è auspicabile al fine di un sostegno vero al Paese. Bisogna, in sostanza, prelevare ricchezze
ove esse sono concentrate. Questo servirebbe almeno a tamponare l'emergenza. Altro intervento necessario sarebbe una riforma del sistema pensionistico. In sostanza è fondamentale lavorare perché si blocchi l'emorragia di spese che da troppo tempo caratterizza l'Italia. Allo stesso modo si dovrebbero ridurre drasticamente i costi amministrativi. La manovra del governo attuale, invece, è solo di facciata, ma non è minimamente incisiva, e non permette di dare fiducia agli investitori, né solidità al Paese».

venerdì, settembre 23, 2011

Siamo nella melma

Mi ero preparato, per me, per i miei cari, per miei figli, ad un futuro diverso, ad un’Italia diversa. A mia volta, sono figlio di una generazione che vide la seconda guerra mondiale, le sue macerie e la rinascita. Una rinascita conquistata con il lavoro, i sacrifici, l’impegno. Sono parole, queste, che sentiamo risuonare anche oggi. Ma qual è la differenza? La differenza è la palude etica e culturale in cui stiamo affondando. In una bella intervista che ospitiamo in questo numero, monsignor Vincenzo Rini dice “Viviamo un tempo di politica triste, nella quale chi governa diventa sempre più autoreferenziale: pensa alla propria conservazione e non al bene comune”. Forse è per questo che una classe politica divisa su tutto si è ricompattata nel salvare, per esempio, il deputato Marco Milanese, ex braccio destro del ministro Tremonti. Con un margine di sei voti, d’accordo. Con tanti mal di pancia nella Lega, d’accordo (a proposito, perché a Roma pare esaurirsi la baldanza guerriera che la Lega mostra altrove, anche qui a Cremona?). Ma questa classe politica si fa davvero casta nel tutelarsi e salvarsi. La prima Repubblica è caduta perché era diventato intollerabile il peso della corruzione e della concussione, in molta parte dedicate al finanziamento occulto dei partiti. Sembra che, nella Seconda, gli stessi meccanismi servano a finanziare i patrimoni personali: o sbaglio? Non ci serve certo un ritorno al passato, Dio ce ne scampi. Serve piuttosto un balzo etico e civile per costruire un futuro. Questo sì. Saremo capaci di tirarci fuori da questa melma? Saremo capaci di riappropriarci della dignità di popolo? Io ne sono certo.

Daniele Tamburini

Intervista a don Vincenzo Rini, direttore di Vita Cattolica e presidente Sir: «Stiamo vivendo un tempo di politica triste chi governa pensa a se, non al bene comune»

A monsignor Vincenzo Rini, direttore di "Vita Cattolica", presidente del SIR (Servizi informazione religiosa) di Roma e assistente U.C.I.D. (Unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti) per la diocesi di Cremona, abbiamo rivolto alcune domande.
Monsignor Rini, Sua Santità Papa Benedetto XVI ha detto, recentemente, che anche l’economia deve avere un’etica. In riferimento alla crisi che, ormai da tempo, colpisce le nostre società, portando a sempre maggiori disuguaglianze ed impoverimento, vuol commentare questa frase del Pontefice?
«Il Papa sottolinea un fatto che è sotto gli occhi di tutti. L'attuale crisi economica mondiale è nata proprio – a partire dagli Usa – dall'irresponsabilità di un mondo finanziario che ha pensato di potere agire senza regole, senza rispetto della verità "umana" dell'economia e del lavoro, creando quelle cosiddette "bolle" fatte di vuoto che hanno portato a mettere in crisi le economie del mondo intero. Senza etica, insomma, non c'è futuro per l'economia mondiale. E quando si dice etica, si intende anzitutto il mettere l'uomo, la persona, il bene comune al centro dell'economia, perché l'uomo viene prima del profitto».
Che ruolo svolge la Chiesa cattolica, in questa direzione?
«La Chiesa svolge il ruolo di sempre: quello, appunto, di difendere la dignità, la verità, la libertà dell'uomo, di ogni uomo, con particolare attenzione ai deboli, a coloro che non hanno potere né ricchezze. Un ruolo profetico, in difesa dei valori umani, che, concretamente, sono anche valori cristiani».
Venendo alla politica, il rapporto tra quest’ultima e la dimensione etica riveste caratteri spesso burrascosi. Non passa giorno che non si senta parlare di corruzione, di intrallazzi, di scarsa trasparenza nelle scelte e nelle decisioni. Lei ritiene che la vita politica possa esseremoralizzata?
«Viviamo un tempo di politica triste, nella quale chi governa diventa sempre più autoreferenziale: pensa alla propria conservazione e non al bene comune. Per questo tende a diventare una casta chiusa in se stessa, che perde il suo rapporto necessario con la società, con i problemi reali del Paese. Occorre sempre ricordare ai politici che è immorale fare le leggi pensando solo agli interessi elettorali del proprio partito, o agli interessi privati di qualcuno. Le leggi si devono fare unicamente per realizzare il bene del Paese. Leggevo in questi giorni una frase di De Gasperi: «Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alle prossime generazioni». Oggi abbiamo tanti politici (a volte più che politici, politicanti) ma siamo alla ricerca di statisti...».
Esiste un rapporto tra le scelte etiche, morali, comportamentali dell’individuo, ed il suo ruolo pubblico?
«Certamente. Chi è investito di unruolo pubblico deve essere persona che non ha niente da nascondere. Chi non ama le regole etiche nella vita privata, difficilmente le può testimoniare nella vita pubblica. L'esempio negativo di chi sta in alto, danneggia seriamente la convivenza perché diffonde una cultura relativistica che non favorisce il maturare delle coscienze e della responsabilità».
Quale dovrebbe essere il ruolo dei cattolici impegnati in politica,oggi?
«Anzitutto un ruolo di libertà: il cattolico non può vendere la coscienza a nessuno, deve essere sempre libero e critico, anche nei confronti del partito che ha votato o al quale aderisce. È il Vangelo che giudica le scelte politiche e partitiche, non viceversa. Per questo i cattolici oggi hanno il dovere di formarsi alla luce del Vangelo, che, concretamente, la Chiesa continua a presentare attraverso la sua Dottrina Sociale. I Cattolici devono quindi diffondere un modo nuovo di concepire la politica, sensibilizzando l'opinione pubblica con progetti che siano sempre finalizzati al servizio della comunità, guardando, in particolare non solo all'oggi, ma al domani: quale mondo vogliamo lasciare alle prossime generazioni?»
Come immagina il futuro prossimo del nostro Paese?
«Se non cambiano le cose, se non cambia il modo di fare politica, se non si torna a diffondere la consapevolezza di un'etica politica fondata sulla dignità della persona e sul bene comune come scopo dell'agire politico, lo vedo nero. Occorre ricostruire le coscienze. Solo su questa strada possiamo immaginare un ritorno alla vera Politica, quella con la P maiuscola».
Un'ultima domanda: il nostro vescovo ha parlato, in un'intervista sulla stampa nazionale, della ipotetica possibilità di ordinare sacerdoti persone sposate, pur dicendosi non concorde con tale possibilità. Lei cosa ne pensa?   L'idea di aprire il sacerdozio agli sposati non potrebbe risolvere la crisi delle vocazioni?
«Come sempre, la storia è maestra di vita: le chiese protestanti e quelle ortodosse, che hanno da sempre i preti sposati hanno la stessa grave carenza di vocazioni che ha la Chiesa cattolica. La carenza di vocazioni è legata a una cultura nella quale i giovani non sono educati allo spirito di sacrificio, al senso della donazione. In una società secolarizzata diminuisce la fede e diminuisce anche ciò che si nutre di fede, quindi anche la vocazione al sacerdozio e alla vita consacrata. Senza dimenticare che la crisi di vocazioni è frutto anche del diminuire delle nascite. Con tutto ciò, comunque, nulla vieta che – essendo il celibato una legge della Chiesa e non una legge divina – il Papa possa, in situazione di emergenza, ammettere delle eccezioni».

sabato, settembre 17, 2011

LA POLITICA RIMANE UNA COSA SERIA, DOVE NON È DATO IMPROVVISARE.

La politica è in grande difficoltà: difficile negarlo. E lo è a livello centrale, nel governo del Paese, nel Parlamento, ma non solo. Ovunque nascono crisi, si frantumano alleanze e certezze, si rimescolano le carte. Succede anche a Cremona, sono settimane che se ne parla. Le forze politiche di maggioranza sono litigiose e compongono e scompongono scacchieri di alleanze e di scontri, senza che se ne percepiscano motivi reali che non siano gli assetti di potere. E i problemi del territorio? Lo dice anche Ugo Carminati, nell’intervista qui accanto. E la crisi che rischia di portare tutto e tutti a fondo? Dove sono la novità, la progettualità, la volontà di scompaginare vecchi assetti, vecchie incrostature di potere e poteri, a suo tempo promesse dalla attuale amministrazione? Dov’è l’altra storia che era stata garantita in campagna elettorale? La verità è che la politica ha i suoi tempi, le sue contraddizioni, e una grande, enorme complessità. Non la si fa con il taglione, né con i proclami. E soprattutto, quando la politica (intesa come governo, gestione, risposta ai bisogni della gente, capacità di costruire, mediare, mettere in relazione) viene a mancare, come a mio parere sta avvenendo a Cremona, poiché il vuoto in natura non esiste, arrivano altre realtà a cercare di riempire questo vuoto. Forse per questo assistiamo al proliferare di associazioni ? Ad oggi ne contiamo già quattro. Eccole In ordine di apparizione: Progetto Cremona, associazione che, secondo fonti non so quanto attendibili, intenderebbe sostenere la candidatura, alle prossime amministrative, dell’ex vice sindaco Luigi Baldani. L’Associazione Popolari delle Libertà di Marco Lodigiani, coordinatore cittadino di Futuro e Libertà ed ex presidente del Comitato dei commercianti di Corso Garibaldi. La “minacciosa” Cremona verso il Partito Popolare, dell’ambizioso assessore Roberto Nolli, che avrebbe trovato già potenti sponsors . E, da ultimo, il Movimento per Cremona a cui fa riferimento Carmine Scotti, conosciuto e stimato poliziotto a capo della Digos, oggi in pensione, negli ultimi anni particolarmente attivo nel sindacato di polizia. Nell’intento sono tutte associazioni trasversali, tutte improntate al bisogno di esprimere opinioni e fare proposte in un modo che, evidentemente, nella politica non è possibile fare. Non dico che sia la via giusta. Non dico che la ragione stia qui. Ma è un dato. E’ un segnale, o ancor di più: un monito per i partiti.
Meditate gente, meditate…

Daniele Tamburini

sabato, settembre 10, 2011

Inutilità e miserie

Una forza politica, in Consiglio comunale, ha più assessori che consiglieri: situazione assai singolare e inedita. Che ne diranno gli elettori leghisti del comportamento degli eletti? Anche il Giro della Padania non è stato un gran successo: che succede alla Lega? E il clima interno al Comune? Ha avuto ragione la tattica manzoniana del troncare e sopire, oppure il fuoco cova sotto la cenere, prossimo a divampare? Quali le mire dell’assessore Nolli, cardinal Richelieu in salsa cremonese? Intanto, un disegno di legge costituzionale prevede la soppressione delle Province. Forse nessuno sa bene a che cosa servano questi Enti: e pensare che dovrebbero occuparsi di scuola superiore, di lavoro e formazione professionale, di ambiente. Già, l’ambiente. Pare che proprio i ritardi sul pronunciamento della Provincia di Cremona (sic) abbiano creato una situazione assai difficile per il contesto territoriale, rispetto alla questione della discarica di amianto di Cappella Cantone. E quindi: enti che forse non sarebbero inutili, ma che provocanodanni, con lentezze, indecisioni e soggezioni. Un ente esponenziale come il Comune, bloccato, per settimane, se non mesi, da questioni di incarichi e poltrone. Intanto, si prevede per legge costituzionale, oltre alla soppressione delle Province, l’obbligo di pareggio di bilancio. A noi pare che si parli dell’Araba Fenice. Invece per i parlamentari al momento rimane quasi tutto invariato: loro sì che sono come la Fenice, risorgono sempre dalle proprie (virtuali) ceneri. Confidiamo in tempi migliori. Mio nonno, però, mi diceva: “Chi vive sperando…”

Daniele Tamburini

venerdì, settembre 02, 2011

Oramai somigliano ai capponi di Renzo


Neppure il caldo torrido a cavallo del Ferragosto ha risparmiato al Paese incertezza e preoccupazioni pesanti, dovute alla crisi ed alle risposte che l’Europa ci chiede. Risposte che hanno visto una ridda incredibile di provvedimenti annunciati, sostenuti, poi ritirati, poi riproposti. Un tratto di penna o una telefonata o un incontro di tre, quattro persone provocavano scenari di enti che sparivano, anni di contributi azzerati, voci stipendiali congelate, tasse e tagli, e così via. Forse in Europa non sono molto contenti. Certamente lo sono poco gli amministratori locali, i cittadini, le imprese. Ma, tanto per non farci mancare niente, gli amministratori del nostro Comune, in primis il sindaco Perri, sono alle prese con una crisi politica assai grave. Le radici sono lunghe, ma la situazione è precipitata a seguito dei rinnovi contestati di alcuni consigli di amministrazione di società partecipate. Da settimane si parla di rimpasto nella giunta, e l’assessore al bilancio Nolli, personaggio di peso, ha ripescato l’espressione “nani e ballerine”, riferita ad esponenti del proprio partito. Ora, noi assistiamo a questo scenario, perché lo abbiamo in casa nostra. Ma chissà quante altre situazioni simili ci saranno, in giro per il Paese. Voglio dare voce al cittadino medio che dice, rivolto alla politica, sia locale che nazionale: ma come, ci parlate di responsabilità, ci dite che il momento è gravissimo e che dobbiamo tutti farcene carico, e voi, che esempio date? Ci dite che viviamo in un’emergenza, che i problemi sono tanti, e dunque non sapete fare di meglio che litigare, piuttosto che governare la città? Ci ricordate i manzoniani capponi di Renzo. Davvero, se deve continuare così, meglio tutti a casa.
Ore 19,41 di giovedì 1. Apprendiamo che, come spesso accade in questi casi, tutto finisce a tarallucci e vino, almeno questo fanno intendere. Bene, se così è, allora avanti e lavorare sodo. 

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 26, 2011

Non si possono risolvere i problemi con la stessa mentalità di chi li ha generati


Da tempo non assistevamo ad un agosto così pesante, con la politica, l’economia, la finanza protagoniste e la gente a vivere con grande preoccupazione fenomeni poco comprensibili e, però, direttamente in rapporto con le tasche ed il futuro di ognuno. Ma riassumiamo brevemente i fatti: le agenzie di rating tolgono l’indice massimo di affidabilità agli USA, con conseguente crisi di fiducia a livello mondiale e il terremoto dei mercati. L’Italia, più di altri, paga la sfiducia nei propri confronti, sicuramente accompagnata da manovre speculative rispetto alle quali nessuno sembra capace di opporsi: cresce la forbice con i Bond tedeschi, l'Europa compra i nostri titoli di Stato, ma, con una lettera assai fantomatica (tutti giurano che c’è, ma nessuno ne mostra il contenuto), la Banca centrale europea intima al governo italiano di accelerare con fermezza la riduzione del debito pubblico. Viene così partorito “il decreto d’agosto”, tra polemiche infinite, strattoni da tutte le parti, smentite e contro smentite, una crisi nei rapporti politici all’interno del Governo, già assai labili, una grande confusione e la certezza che, quando si arriverà al voto in aula, il decreto non sarà più quello, e nessuno, al momento, pare sapere che cosa sarà. Ma se il cittadino passa dalla farmacia, intanto vede che qualcosa è già cambiato, sicuramente per lui. La maggior parte dei commentatori appunta qui le critiche alla manovra: tagli, e niente sviluppo. Tagli, e niente investimenti. Tagli e tagli ma non agli sprechi, ma non ai privilegi delle caste. Einstein diceva che non si possono risolvere i problemi con la stessa mentalità di chi li ha generati.

Daniele Tamburini

giovedì, agosto 25, 2011

Intervista al professor Angelo Baglioni, docente di economia politica alla Cattolica di Milano: Ma cos’è questa crisi? Cosa stiamo rischiando?

 Un agosto che ha portato uno scenario economico e finanziario davvero preoccupante. Una situazione di forte crisi dei mercati e delle economie, che ha obbligato il Governo italiano a mettere mano all’ennesima manovra “lacrime e sangue”. Ma questa crisi, in che cosa si differenzia dalle precedenti? Perché provoca questi sconquassi nei mercati e negli Stati? E’ legittima la grande preoccupazione che si percepisce ovunque? Ce lo spiega Angelo Baglioni, docente in economia politica presso l'Università Cattolica di Milano, facoltà di Scienze bancarie, finanziarie e assicurative. «Ci sono vari focolai di crisi da prendere in considerazione. In Europa il maggiore è quello che deriva dai debiti sovrani, a partire da quello della Grecia, che è esploso un anno e mezzo fa, seguito da Spagna, Italia, Irlanda e Portogallo. Una crisi, quella greca, che non è mai stata affrontata attuando un piano di salvataggio con respiro di lungo periodo. Si sono fatti due piani di aiuti, il cui ultimo risale a un mese fa, ma entrambi parziali e non definitivi. Dunque la crisi greca è stata gestita con incertezza. Ad essa si è poi aggiunta quella italiana».
Ci potrebbe spiegare con chiarezza quali sono le caratteristiche “particolari” della situazione italiana?
«Da un lato, una manovra economica giudicata insufficiente e che ha portato a forti contrasti all'interno della maggioranza, con forti difficoltà per il Governo nell'impostazione di una politica fiscale che porti alla diminuzione del debito. Dall'altro lato, ha inciso anche l'indebolimento del Governo stesso, troppo spesso interessato da liti e contrasti interni alla maggioranza stessa. Tutto questo ha portato al crollo del mercato, e all'attacco speculativo al debito pubblico italiano»
E questo significa…
«Che le banche e gli istituti finanziari hanno iniziato a vendere i titoli del debito italiano perché c'è stata una crisi della fiducia nel Paese e nella sua capacità di far fronte ai suoi debiti. Tutto ciò ha portato a un calo dei prezzi dei titoli sul mercato, con aumenti del tasso di rendimento di un punto e mezzo percentuale (dal 4 al 6,5%). 
Al centro del dibattito, però, c’è anche la bassa crescita dell'economia...
«Questo è un'altro grande focolaio di crisi, che riguarda sia l'Europa che gli Stati Uniti. Osserviamo infatti, in questo senso, dei dati molto negativi in tutta l'area euro. Anche la Germania, che è sempre stato un paese trainante, nel secondo trimestre del 2011 ha segnato un tasso di crescita vicino allo zero. Questo ha portato ad una situazione di difficoltà nelle borse europee. Tra l'altro, l'Ocse ha fatto delle previsioni di crescita in ribasso, un po' per tutta l'Europa. La fragilità delle crescita si nota anche negli Usa, che però, pur avendo un problema di debito troppo elevato, possono ancora contare nella fiducia degli investitori nel tesoro americano. Il crollo delle borse di tutto il mondo, a cui abbiamo recentemente assistito, è legato a questa situazione. La cosa vale anche per le borse asiatiche, che dall'altro lato hanno a loro volta i propri problemi. In Cina ed India si osserva un'inflazione piuttosto alta, alla quale le banche rispondono innalzando gli interessi. In Giappone invece, come da noi, esiste un problema di debito pubblico elevato».
Si parla del rischio di una nuova recessione. E' un'ipotesi veritiera?
«Anche se basarsi solo sugli ultimi dati è rischioso, perché bisogna osservare le cose sul lungo periodo, non nascondo che questi dati preoccupano e non vanno ignorati. I dati di crescita così bassa per l'Europa e per gli Stati Uniti lanciano un campanello di allarme, e non si può escludere il rischio di una crescita negativa, o comunque molto vicina allo zero. Questo si traduce nell'impossibilità di creare nuovi posti di lavoro, il che porterebbe a nuovi problemi sociali, ma anche economici, perché si renderebbe difficile una ripresa della finanza».
Quali sono gli indicatori che devono essere monitorati?
«Il Pil prima di tutto. Accanto ad esso vi sono poi degli indicatori di fiducia dei produttori, degli indici del settore manifatturiero, la richiesta di sussidi di disoccupazione, le casse integrazioni, ecc».
Esistono analogie tra la situazione attuale e la crisi americana del '29?
«L'analogia principale è appunto la crescita bassa, che potrebbe trasformarsi, come accadde allora, in una decrescita. Per il momento non siamo a quel livello, perché allora vi fu una forte recessione e deflazione, e mi auguro che ci terremo fuori dal rischio di arrivare a una situazione simile».
Ci sono pesanti critiche nei confronti dell'operato dei governi.
«Il governo italiano ha avuto grandi carenze nella manovra di finanza pubblica recentemente approvata. Si è concentrato sull'incremento delle entrate, e soprattutto sull'aumento delle imposte. I tagli agli enti locali, infatti, si tradurranno inevitabilmente in nuove tasse sulla cittadinanza, perché è l'unico strumento che hanno per reperire nuove risorse. Dunque abbiamo una manovra fortemente sbilanciata sul lato delle entrate. Ma non è questo il modo per risolvere i problemi di finanza pubblica nel lungo periodo, in quanto è dimostrato che più un governo incassa, più spende. Si dovrebbe invece mettere sotto controllo la spesa, ma in questo senso il Governo italiano ha fatto molto poco. Ad esempio un intervento sulle pensioni di anzianità sarebbe stato auspicabile, invece è stato bloccato da una parte della stessa maggioranza. Allo stesso modo è stata piuttosto debole la decisione sul taglio delle Province: avrebbero dovuto eliminarle tutte, come si era ipotizzato all'inizio, e non solo alcune. Ma la cosa più grave è che questa manovra è decisamente negativa dal punto di vista della crescita, perché se si continua a colpire il reddito dei lavoratori e delle aziende con imposte, si ottiene un forte disincentivo a lavorare e a investire. Al contrario, la pressione fiscale andrebbe alleggerita, in modo che vi sia una maggiore disponibilità di reddito. Infine questa manovra ha parecchie lacune anche dal punto di vista dei processi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi pubblici. Si è scaricata tale responsabilità agli enti locali, ma a livello nazionale non viene fatto nulla».
Qualcuno ha criticato anche le scelte degli Stati Uniti.
«I l Governo americano ha la colpa di aver gestito male il problema dell'aumento del tetto del debito. Come è noto, la legge americana prevede che perché il debito possa aumentare oltre un certo tetto, è necessaria un'autorizzazione del Parlamento. La situazione è però stata gestita male e in modo complesso, con una trattativa estenuante, che si è chiusa all'ultimo momento con parecchie perplessità, e ciò ha creato preoccupazione negli investitori. La critica è quindi di aver gestito la cosa in modo pasticciato, mentre si sarebbe potuto fare tutto molto più rapidamente e senza intoppi».
Cosa ci dobbiamo aspettare nel futuro?
«Difficile fare previsioni, allo stato dell'arte. Sono infatti tanti gli scenari aperti. L'unica certezza è la preoccupazione. Il rischio più estremo, quello che speriamo di non dover mai affrontare, è che si arrivi a un dissolvimento dell'area Euro, qualora gli Stati sovrani non fossero più in grado di risollevarsi. Tuttavia, per il momento, la cosa più probabile è che ancora a lungo si vada avanti come stiamo facendo ora, con i governi che trovano soluzioni in extremis per tirare avanti, senza però arrivare a soluzioni definitive. Manca una leadership forte che sappia prendere in mano la situazione ed evitare che le cose precipitino. L'Europa in questi giorni ha ipotizzato l'emissione di Eurobond e quella sarebbe una proposta interessante, perché vedrebbe sostituire parte dei titoli di debito statali con quelli europei. Essi dovrebbero essere gestiti da un'agenzia europea, che si finanzierebbe sul mercato, e a sua volta finanzierebbe gli stati membri a tassi più bassi di quelli che pagano attualmente per i propri titoli di debito. Questo consentirebbe agli Stati di ridurre il costo del debito: non sarebbe la soluzione a tutti i problemi, ma senza dubbio rappresenterebbe un grosso aiuto. Per il momento però questa resta solo un'ipotesi, vista l'opposizione della Germania, la quale teme che una manovra di questo tipo si tradurrebbe in maggiori costi per lei, cosa peraltro non vera».

venerdì, agosto 05, 2011

Stare sul Titanic: quali le reazioni

Gli italiani hanno paura della crisi economica. E’ un sentimento diffuso e palpabile. Lo conferma il sondaggio di Ipsos-Sole 24 Ore: il 78% degli italiani ha paura della crisi e il 54% considera inadeguato il governo a farvi fronte. A temere di più oggi sono le classi medie, con la certezza che il peggio debba ancora venire. E lo scenario della Spagna e della Grecia non sembra più così lontano. Anche perché se addirittura negli Stati Uniti si è rischiato il default, nessun Paese può sentirsi al riparo della bufera. E non certo l’Italia, da tempo annoverata tra i Paesi a maggior rischio, detti spregiativamente Pigs. Il crollo delle Borse, anche se in parte legato ad attacchi speculativi, alimenta un effetto di panico che porta molti a vendere per il timore che il denaro finisca per essere travolto dal ciclone finanziario. Il panico per il default Italia è alimentato anche dalla percezione di una classe politica inerme di fronte alla bufera e per di più lontana e distante, arroccata nei Palazzi. La notizia della chiusura per ferie della Camera per 40 giorni, pur con tardiva parziale retromarcia, è la prova provata dell’incapacità della classe politica di cogliere l’attuale «umore della piazza». L’interventodel presidente del Consiglio non è stato all’altezza del momento, limitato a generiche rassicurazioni che nonhanno rassicurato nessuno, a partire da piazza Affari che è scesa ancora in picchiata. Trovarsi, come ha detto Tremonti, sul Titanic che affonda, può scatenare reazioni anche forti di contestazione alla classe politica, considerata responsabile e per di più gravata da forti sospetti di diffusa corruzione che ci ricordano l’era Tangentopoli. L’indignazione ora veleggia online, ma il passo alla Piazza può essere breve. E’ successo in Grecia, è successo in Spagna dove Zapatero ha dovuto dimettersi. E’ giunto il momento degli indignati italiani? 

di Roberto Poli
erre.poli@yahoo.it

venerdì, luglio 29, 2011

La Lega fa il regalo di compleanno al sindaco

Il fatto è inedito, per certi versi sorprendente, e lascia capire fino in fondo quanta preoccupazione stia creando la situazione economica e finanziaria del nostro Paese. In una nota congiunta, imprese, banche, cooperative, artigiani, commercianti, agricoltori e alcune organizzazioni sindacali sottolineano la loro "forte preoccupazione", lanciando un ultimo appello per chiedere al governo misure per la crescita: “serve una grande assunzione di responsabilità da parte di tutti” e soprattutto“ discontinuità”. Spaventa Giuliano Amato che, richiamando il 1992, rilancia la proposta di misure eccezionali, lacrime e sangue, per ridare equilibrio alla finanza pubblica: "Mi colpisce che forse non c'è nel Paese una sufficiente consapevolezza sulle dimensioni del rischio che stiamo correndo". E la Marcegaglia rincara la dose: “Dobbiamo cambiare o affonderemo tutti insieme". La situazione appare molto seria, ma le risposte del governo non sembrano dare sufficienti garanzie di credibilità. C’è un clima da “il nemico è alle porte”, eppure l’esecutivo è particolarmente concentrato sui temi della giustizia e sul decentramento di alcuni ministeri. E nel giorno in cui il ministro Fitto, a nome del Governo, chiede la fiducia sul cosiddetto “processo lungo”, il tasso dei BTP sale al 5,7%. Tradotto in parole povere significa tanti miliardi di interessi in più da pagare. E arrivando dalle nostre parti, anche qui in un clima pesante dal punto di vista economico, si assiste ad un durissimo scontro sugli incarichi e le poltrone delle partecipate, con la Lega che fa il regalo di compleanno al sindaco:” Perri non è autonomo dai poteri forti”. Ma se il sindaco “non va bene, perché ha tradito il mandato, ed è una marionetta manovrata dai poteri forti” allora, cara Lega, coraggio uscite dalla maggioranza e vediamo quel che succede. Che ognuno si assuma le proprie responsabilità.

Daniele Tamburini

venerdì, luglio 22, 2011

L’amara medicina per il Paese, non per il Palazzo

Ai cittadini si chiede di pagare salato, da subito, e la politica taglierà (alcuni) suoi costi, ma solo poi. È l’impressione più evidente che sta percorrendo il Paese. Un’impressione che ha solide radici reali, se si analizza la manovra, divenuta legge n. 111 lo scorso 15 luglio. Ho letto, tra le prime righe del testo: “Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni... ” per stabilizzare la finanza, contenere la spesa pubblica eccetera. Gli obiettivi, quindi, sono questi. Peccato che anche le tasche da cui si pesca siano sempre le stesse, e che non ci siano segnali apprezzabili di riforma del Paese, magari abolendo davvero privilegi e sinecure. Sarà per questo che i mercati hanno reagito in modo molto confuso? E la classe politica? Si passa dal solito ottimismo (divenuto quasi fastidioso) alle visoni apocalittiche, passando per quella che forse è la vera questione: la scarsa credibilità. Una credibilità che si gioca, appunto, anche sul piano della condivisione dei sacrifici. Se non si recupera la fiducia dei cittadini nella cosa pubblica e in chi riveste le più alte cariche, il rischio è l’antipolitica peggiore, quella che finisce col rifiutare i meccanismi stessi della democrazia. Non si tratta di rifiutare la politica, che è un atteggiamento molto pericoloso, si tratta di abolire i privilegi di casta: proprio come nella Rivoluzione francese, se vogliamo. È uno schiaffo leggere che “l'amara medicina è solo per il Paese, non per il Palazzo": lo scrive Famiglia Cristiana. Ci chiedono sacrifici e senso di responsabilità e per questo, approvano la manovra in un batter d’occhio. Io, però, sacrifici da parte di deputati e senatori non ne ho visti. Voi?

Daniele Tamburini

giovedì, luglio 14, 2011

La guerra di Segrate

La cosiddetta “guerra di Segrate”, lo scontro tra l’Ingegnere e il Cavaliere, tra Carlo De Benedetti e Silvio Berlusconi per il controllo della Mondadori, sembrerebbe giunta, dopo 23 anni, ad una conclusione. Ammonta a ben 560 milioni di euro la somma che la sentenza di secondo grado definisce come congruo risarcimento dovuto dalla Fininvest alla Cir di De Benedetti. Somma che molto probabilmente, salvo clamorosi accadimenti, la Cassazione confermerà. Alcune persone bene informate sostengono che, con questi soldi, l’Ingegnere intende comprare La7, la televisione che il telegiornale di Chicco Mentana sta contribuendo a far crescere velocemente in qualità e numeri. La mia memoria torna a quegli anni. Io c’ero, infatti, e ricordo gli uomini, le facce, i discorsi, le animosità, le sensazioni, le emozioni. Nel 1988 ero alla pubblicità del quotidiano La Nuova Sardegna (socio di maggioranza il Gruppo Editoriale Espresso). Era il mio primo incarico di una certa importanza, dopo una breve ma straordinaria esperienza a Pavia. Fu un periodo intenso, complicato, travagliato; mi ritrovai nel bel mezzo di una lotta intestina tra chi non voleva assolutamente perdere poteri e privilegi e chi intendeva dare vita ad un nuovo corso, cercando di fare piazza pulita del “vecchio”. Accade spesso. L’inizio fu veramente difficile. Alfonso Puviani, il mio capo di allora, resosi conto della situazione mi disse: “Sai che ti dico? Adesso sono cavoli tuoi”. E se ne tornò a Milano. Tutto sommato,queste sue parole, furono per me di grande stimolo. Nel frattempo scoppia la guerra di Segrate: nel 1989 dipendo da Berlusconi, poi sono di nuovo con De Benedetti, fino al 1991, quando l’attuale premier divenne presidente della Mondadori. Lo ricordo bene: già allora, alcuni sostenevano che, al processo per dirimere il lodo tra i due contendenti, la sentenza fosse stata comprata (si parlava di dieci miliardi di lire). Cominciò la ribellione di giornalisti e maestranze. Intervenne Giulio Andreotti che, preoccupato dello strapotere mediatico (tv e giornali) tutto a favore di Bettino Craxi, riuscì ad imporre una mediazione, che di fatto era una spartizione: a Berlusconi libri e periodici, al gruppo Espresso “Repubblica” e i quotidiani locali. Fortuna volle che, in quel periodo burrascoso, ebbi modo di conoscere persone straordinarie per carisma e per capacità. Il principe Caracciolo, gran classe, del quale si diceva camminasse sospeso venti centimetri dal suolo. Lio Rubini, Mario Lenzi, Marco Benedetto, Carlo Cravero, Lorenzo Pellicioli. E poi Corrado Passera, Sergio Carlesi, Odoardo Rizzotti, Valter Santangelo. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa, gliene sono grato.
A Sassari ho ancora molti amici, vorrà dire qualcosa?

Daniele Tamburini
daniele.tamburini@fastpiu.it

venerdì, luglio 08, 2011

Forse manca una gamba

Il decreto manovra del Governo è stato, alla fine, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Finalmente una certezza, dopo i contrasti, le liti, i pronunciamenti, il toglimetti che hanno contraddistinto gli ultimi giorni(con il clamore destato dalla “norma sul Lodo Mondatori”). Tutti i commenti, anche quelli più favorevoli al Governo, si chiedono dove sia l’altra gamba di un tronco costituito dalla necessità estrema di ripresa che ha il nostro Paese: la prima, l’obiettivo del pareggio di bilancio, va senz’altro bene, ma le politiche per lo sviluppo? È arduo vederle, nella manovra. Abbondano i tagli agli enti locali, e molti amministratori, anche di centro-destra, si chiedono che ne sarà dei servizi sui territori, non solo dei livelli di assistenza sociale – in questo numero, si può leggere quanto sia preoccupato il Terzo settore – ma anche del trasporto pubblico,delle politiche di sostegno alle imprese e degli investimenti. “Ci usano come un bancomat”, dicono i Comuni, e Alemanno incalza: “Con i tagli i Comuni sono ridotti a nulla”. Ma non era, questo, il livello di governo più vicino al cittadino, casomai da valorizzare, anche per dare fiato al federalismo fiscale, che così sembra diventato davvero solo una formula vuota? Nella nostra intervista al deputato della Lega Silvana Comaroli appare chiaro che, per il partito di Bossi, la manovra è più accettata che condivisa. E le imprese? Non si aspettavano la semplificazione normativa e amministrativa, l’adeguamento delle infrastrutture territoriali e tecnologiche, una maggiore efficienza, una spinta all’innovazione? E i cittadini, cosa si aspettano? Che le cose si rimettano in moto, che i giovani possano studiare con soddisfazione, che gli stessi giovani, e non solo, possano trovare un lavoro dignitoso, che tornino a circolare denaro, produzione, investimenti. E che torni a circolare speranza. Forza e coraggio.

Daniele Tamburini

venerdì, luglio 01, 2011

STRADA SUD

-Se ne parla fin da...-. Se ci pensate, questa frase ricorre spesso quando, nel nostro Paese, si parla di grandi opere pubbliche: che sia la TAV, o il ponte sullo Stretto, oppure le centrali nucleari, o la Strada sud della nostra Cremona. È del tutto evidente che l’Italia soffra di una cronica carenza di politiche programmatorie. Non siamo certo fautori dei piani quinquennali di sovietica memoria, ma è un fatto che, attraverso la programmazione degli investimenti, delle linee di sviluppo dei territori, e anche, perché no, delle scelte in materia di formazione, istruzione, ricerca, un Paese possa creare e condividere un’idea di futuro. Altrimenti, accade che le grandi opere siano come le sirene che ammaliano con il loro richiamo e poi portano, metaforicamente, a scontrarsi con la realtà. Accade allora che alla TAV non sia contraria solamente la posizione: purché non nel mio giardino! ((si chiama posizione NIMBY, acronimo inglese per Not In My Back Yard: “Non nel mio cortile”, appunto) ma anche alcuni studiosi che la ritengono ormai obsoleta, in quanto i flussi e la tipologia di traffico ferroviario sono oramai cambiati. Sono i numeri che parlano... per non dire delle centrali nucleari, che il referendum ha comunque cancellato, ma la cui realizzazione avrebbe comportato tempi non solo lunghi, ma in completo scostamento dalle scelte fatte da altri Paesi e dallo sviluppo tecnologico. È cresciuta la coscienza ecologica dei cittadini, che vedono grandi pericoli ambientali nella realizzazione di opere di forte impatto. Lo leggiamo anche nella nostra inchiesta: si considera l’impatto troppo oneroso, rispetto agli ipotetici vantaggi. La Giunta di piazza del Comune si è sempre vantata di saper ascoltare la gente, lo faccia anche questa volta. Insomma, occorre stare in contesto, stare nel presente con lo sguardo volto al futuro. La politica italiana, a tutti i livelli, spesso si affanna sui veti reciproci, o sugli interventi spot, o sui cosiddetti tagli lineari, quelli indifferenziati, appunto senza programmazione alle spalle (aspettiamo comunque di vedere la manovra finanziaria di queste ore). Ma il bene comune richiede altro. Io la penso così.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 24, 2011

Gli esami di maturità

I temi dati agli esami di maturità sono sempre stati un buon indicatore dello “stato dell’arte” del Paese. A saperli leggere, anche quest’anno è così. Ci sono state le polemiche, inevitabili e scontate, sulla fuga di notizie, ma sembra che si tratti di un  fenomeno circoscritto e contenuto (pare che su Twitter, prima delle nove, si sapesse tutto). Ce ne sono state altre, forse più fondate, sul merito. Prendo per esempio il tema su Ungaretti. Grande poeta, ma mi pongo alcune domande. A parte che ignoravo la poesia su Lucca, e che mi ha fatto piacere leggerla (però questa è una mia mancanza), siamo sicuri che, in tutte le scuole superiori, Ungaretti si faccia? Intendo, in modo approfondito, riuscendo a inserire la sua poetica non solo nella storia del Novecento letterario, ma nella corrente dell’ermetismo europeo, e così via? Senza contare l’aspetto dell’analisi linguistica. A giudicare dai commenti che si leggono, direi di no. E allora, è un po’ la solita storia: un libro dei sogni su come dovrebbe essere l’Italia e il sistema Paese, declinato, in questo caso, nell’istruzione e nella cultura, e una realtà che invece è ben diversa. Con la scuola e l’Università che arrancano: il ministro Gelmini ha detto che si tratta di portare a fine la riforma. L’ennesima. Più che riformare, non sarebbe il caso di far funzionare quel che c’è? Ne abbiamo tutti un gran bisogno. Non vorrei che un verso della poesia, bellissimo (“Non mi rimane più nulla da profanare, nulla da sognare") diventi la riflessione amara di tanta gioventù. Se pensiamo alle condizioni di instabilità e di incertezza, che in questo periodo storico, i nostri giovani soffrono ecco che tutto torna: gli esami di maturità specchio del Paese. Propongo un referendum legislativo: una legge che obblighi i ministri a sostenere periodici esami di maturità.

venerdì, giugno 17, 2011

Libertà è partecipazione

Questa volta, l'appello a non votare, per i quesiti referendari, non ha funzionato: il 54,8% degli aventi diritto si è recato alle urne. Si calcola, inoltre, che il 28% dei votanti si sia comportato in modo difforme da quanto indicato dai partiti di riferimento. Sarà perché le decisioni da prendere erano comunque concrete, sostanziali, e non consistevano in fumosi programmi elettorali o in logiche di schieramento "a prescindere". Poi, la sorpresa: l'atteggiamento dei giovani, la loro partecipazione. Noi lo avevamo detto, già nei mesi scorsi. Avevamo parlato dell'emergere di un nuovo protagonismo giovanile, basato su parole d'ordine amare, ma di chiarezza adamantina: siamo la generazione senza futuro, vogliamo parola, diritti, opportunità. In una nostra inchiesta, fatta lo scorso anno, avevamo registrato come i giovani fossero tornati ad interessarsi alla politica, a cominciare dai problemi della scuola. Lo si è visto nelle recenti consultazioni amministrative: Milano, Napoli, Cagliari e non solo, dove il voto giovanile è stato determinante. Hanno usato i mezzi a loro più congeniali, il web, facebook, i blog. Mentre le Tv davano pochissimo risalto all’appuntamento referendario, nella rete si è sviluppato un grande dibattito, ampio e coinvolgente, promosso anche da comitati spontanei. Hanno convinto, hanno vinto. I risultati dei referendum, come ogni fatto politico, non stanno solo qui, è evidente: è anche la protesta contro la politica del governo, è il malessere, sempre più palpabile, della Lega, è la stanchezza verso risse, grida e tensioni continue che la gente trova ormai inconcludenti e irritanti. Ma attenzione: la voglia di partecipazione che si è espressa e' un fenomeno nuovo, da non sottovalutare, e sbaglierebbe quella forza politica che volesse semplicemente appropriarsene, senza comprenderla e farsene interprete. D’altro canto, quel partito che riuscisse ad intercettare questo vento che sale, acquisirebbe un capitale enorme. Quanto a noi, siamo contenti quando la gente si esprime liberamente con il voto perché: libertà è partecipazione, come cantava Gaber.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 10, 2011

Aria Pulita

Che cosa vuol dire innovare? Sostanzialmente, accettare le sfide. Le sfide che pongono il mondo globalizzato, le nuove frontiere dell’energia, la tentazione crescente a delocalizzare le produzioni, i nuovi desideri ed i nuovi gusti, insomma: la realtà che cambia. Anche per questo parliamo spesso dei giovani: sono i più propensi, per natura, a sperimentare, a spostarsi, a mutare abitudini e mentalità. Anche per questo, insistiamo sulla necessità di una istruzione di qualità, che fornisca sapere ma che, soprattutto, formi uomini e donne orientati in questo senso. Innovare vuol dire anche rischiare, non pensare che tutto sia garantito. Ma per far questo, occorrono comunque delle reti di salvataggio. È come l’acrobata, che si lancia, ma sa che, se il suo volo dovesse fallire l’obiettivo, troverebbe sotto di sé una rete robusta in grado di attutire la caduta. Prima considerazione: un dibattito politico serio dovrebbe porsi il problema dell’adeguatezza delle reti. Invece, si passa dalla difesa di garanzie granitiche, a volte di privilegi – pensiamo a certi incarichi “a vita” - fino alla cancellazione delle garanzie pensiamo a tutto quello che è “precariato”. Seconda considerazione,non possiamo farne a meno, prendiamo fiato, e parliamo dello scandalo legato al calcio. Ovviamente, è compito della magistratura stabilire, qualora esistano, le responsabilità. Una domanda sorge però spontanea: ma che gioco è questo? Che sport è mai? A quali partite abbiamo assistito? E’ vero che, probabilmente, stiamo parlando di poche “mele marce” ma, perché chi aveva fondati sospetti rispetto a ciò che stava accadendo, ha girato la testa dall'altra parte? Non siamo nati ieri, sappiamo che per denaro c'è gente che farebbe di tutto. Eppure, in Gran Bretagna le scommesse sul calcio avvengono forse da sempre. Probabilmente, c’è un sistema di regole e controlli più strutturato. E allora anche qui si impone con urgenza un intervento drastico. Ma, ed è la terza considerazione, il problema sta secondo me anche in due parole: cultura sportiva. Cultura della competizione sana, del “mettersi in gioco” senza trucchi. Pare che, negli USA, alla fine dei campionati di basket e football dei licei, proprio le squadre professioniste ultime in classifica siano le prime a poter scegliere i giovani talenti. I club più forti lo faranno nella stagione successiva. La morale è: una cultura sportiva corretta non accetta che vinca sempre il più potente, piuttosto che il migliore. E soprattutto, non trucca le carte. Proprio come dovrebbe accadere sempre nella vita. A proposito di Sport, la prossima settimana vado a vedere i campionati italiani giovanili di canottaggio: lì si respira aria pulita, almeno credo.

Daniele Tamburini

sabato, giugno 04, 2011

Referendum: si vota anche sul nucleare

L'ufficio elettorale della Corte di Cassazione ha stabilito che le modifiche apportate dal governo alle norme sul nucleare non sono tali da precludere il referendum. Voteremo, quindi, il 12 e 13 giugno su quattro quesiti: due sull’acqua pubblica, uno sul nucleare, uno sul legittimo impedimento. Ci pare una buona notizia, perdiverse ragioni. La prima è che votare è comunque un diritto. Anzi, un diritto-dovere. L’articolo 48 della Costituzione è chiaro: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Si pensi all’importanza e, direi, alla bellezza di questa espressione: il suo esercizio è un dovere civico. Tutti i cittadini sono elettori: il voto, quindi, è parte fondamentale del concetto di cittadinanza. Penso a tutto questo mentre, io che ho una certa età, ricordo il famigerato: “andate al mare e non votate”, autore Bettino Craxi, a proposito del referendum di Mario Segni sulla preferenza unica. Correva l’anno 1991: tempi di Prima Repubblica, anche se ormai in declino. Non gli portò bene. Molti anni dopo, siamo a deplorare la disaffezione verso la partecipazione politica, il fenomeno dell’astensionismo, l’opinione comune che la politica sia diventata un “mestiere” e non un servizio alla collettività. Quindi, andiamo a votare, secondo coscienza e convinzione. Lo strumento referendum ci dà la possibilità di dire la nostra su alcune scelte che, in un modo o nell’altro, incideranno sulle nostre vite: penso soprattutto al nucleare. Raccogliamo il più possibile notizie ed opinioni, valutiamo bene, e poi, andiamo a votare. Personalmente sono, da sempre,contro il nucleare; voi votate come ritenete più opportuno, ma andate a votare.

Daniele Tamburini

Lo stile gentile

Che qualcosa stesse mutando, nel Paese, era chiaro: anche L’esito della tornata elettor l’atteggiamento dello stesso premier, pur nel suo leggendario ottimismo, mostrava qualche ombra. Come sempre, luoghi comuni e pregiudizi vengono spazzati via, prima o poi, dalla realtà. Si sono spese troppe parole, per esempio, sul disimpegno dei giovani: il voto amministrativo, nelle due tornate, lo ha smentito. Si è parlato a lungo di disaffezione alla politica, senza considerare che, probabilmente, si trattava di disaffezione verso un certo modo di fare politica, lontano dalle cose e dalle situazioni concrete. Comunque la si pensi, il Paese ha visto svilupparsi un nuovo protagonismo, a partire dalle proteste studentesche, passando per il 13 febbraio, con tantissime donne, e anche uomini, in piazza. La sensazione è che il centrodestra, forza di maggioranza al governo del Paese, abbia un po’ smarrito il polso della situazione. Vanno in questa direzione le prime dichiarazioni della Lega sul voto di Milano: ci sono la disoccupazione, la crisi economica, il precariato, di questo si doveva parlare, altro che di ideologismi passati o di auto rubate chissà quando! Il Palazzo è sembrato sempre più chiuso, impegnato a difendere privilegi castali, piuttosto che a risolvere i problemidelle persone in carne, ossa e mutui in corso, lavoro incerto o perduto, potere d’acquisto in forte calo, eccetera. Il terremoto, però, è stato davvero forte. Tale da far sorgere mille domande. Per esempio, lo stile gentile di Giuliano Pisapia. Vorrà dire qualcosa, la fiducia ottenuta da una persona che ha improntato il suo discorso ai toni della gentilezza e della mitezza: tutt’altra storia, rispetto alle grida, ai volti arrabbiati e al dito medio alzato della Santanché. Parole come dialogo, incontro, confronto, e non la retorica della paura: ce n’è già tanta paura, in giro, perché alimentarla? Viviamo un’epoca di transizione che pare infinita: questo risultato, comunque la si pensi, chiude una fase e ne apre un’altra. Comunque la si pensi, in questi anni il carisma di Silvio Berlusconi ha dettato le regole ed ha stabilito anche il campo di gioco. Se questo carismaappare in declino, il passaggio dal carisma all’istituzione, dall’eccezionalità alla normalità, come ha scritto Michele Salvati, è sempre difficile. Si aprono scenari nuovi un po’ dappertutto. Qui a Cremona, il risultato delle amministrative si innesta in una situazione interna alla maggioranza, già complicata di suo. Quali scompigli porterà il vento del voto nelle questioni locali e nel difficile giuoco di equilibri dell’Amministrazione Perri? Adesso cosa accadrà? Secondo me, per il momento niente. Il Sindaco, intervistato a pagina 4, dice che bisogna vedere cosa succederà a livello nazionale, ma lui per adesso non si muove: niente rimpasto. Mi fa venire in mente, non so se qualcuno si ricorda, quella parodia che Corrado Guzzanti faceva di RomanoProdi davanti alla stazione: "Io sto qui fermo, non mi muovo, fermo immobile, dietro la linea gialla...". E l’ipotesi della “minacciata” lista civica? Lui fa intendere che non è interessato.Ma che peccato... erano già in molti pronti a saltarci su.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 27, 2011

Ma le studiano la notte?

Ho letto nei giorni scorsi, con grande interesse, l’intervento di un importante economista, per lungo tempo figura di spicco della Banca d’Italia, Pier Luigi Ciocca. La sua diagnosi sullo stato dell’economia italiana è impietosa, ma contiene alcuni dati molto interessanti. Il più rilevante, a mio parere, è che, a partire dagli anni 2000, non solo si è verificato un rallentamento della crescita, ma un calo dei livelli di produttività. Dice Ciocca: per fare un’automobile ci vogliono più persone, più tempo, più capitale, quindi, è andato particolarmente male il cuore della produttività, cioè il progresso tecnico e l’innovazione. Ancora una volta, si individua nella scarsità di innovazione il punto centrale dello stato di crisi del nostro Paese: uno “stato dell’arte” che coinvolge imprese e istituzioni, insomma la nostra ossatura. Innovazione e ricerca, ne abbiamo parlato molte volte. E infatti … e infatti, si parla di spostare alcuni Ministeri a nord. Parte il totoMinisteri: la salute? L’economia? Ma anzi, no: tutto bloccato, non è vero, non si fa. Invece sì, si fa, va fatto! Mi chiedo: sono questi, gli interventi, le soluzioni innovative, la ripresa di cui la gente e tutto il Paese ha bisogno, più che del pane? È questa la risposta da dare ai nostri giovani, quelli che pongono domande precise e dure, come fa Valentina, in questo stesso numero? Ma non disperiamo mai. Ciocca conclude dicendo che la società italiana ha il lavoro, il risparmio, la tecnologia, l’imprenditorialità per tornare a crescere. Coraggio.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 20, 2011

Milano: Moratti o Pisapia?

Fare una previsione su come andrà il ballottaggio alle elezioni amministrative di Milano equivale a indovinare un terno al lotto, e neppure mi interessa farlo. Dalla vicenda, però, sono emersi alcuni punti interessanti. È davvero strano, il nostro Paese: sicuramente non si può mai dare niente per scontato. Erano elezioni, queste a Milano, su cui il capo del governo aveva davvero puntato molto. Berlusconi raramente sbaglia cavalli e strategie di corsa: eppure, questa volta l’elettorato non l’ha premiato, come non ha premiato la Lega, della quale molti attendevano lo “sfondamento”. Forse, il partito di Bossi ha scontato i malumori della base che mal sopporta gli Scilipoti e i Romano, oltre ad un gregariato “a prescindere”. Pare, ora, che la Moratti abbia puntato il dito contro il livello eccessivo di scontro che ha permeato la battaglia elettorale, soprattutto negli ultimi tempi. Forse non è stato opportuno insistere sui giudici “metastasi cancerose”, in una Milano che non ama gli eccessi. Sì, il nostro è un Paese strano. Una forza, il PdL, che intende parlare al cuore moderato della società, eppure adotta certi toni e amplifica le dichiarazioni denigratorie di chi vuol essere più berlusconiano di Berlusconi; e, al contrario, la Lega, da sempre battagliera, magari “sopra le righe”, che cerca di rimettere al loro posto le parole e usa toni davvero “di governo”: abbiamo ascoltato la ferma e convinta dichiarazione di solidarietà con i giudici del presidente del Piemonte Cota. E’ un segno dei tempi? Forse, la gente si è stancata di proclami, furori e promesse roboanti e chiede concretezza, scelte, ascolto dei problemi veri? Ripeto, non è possibile fare previsioni. Ma, come ha esortato più volte il presidente Napolitano, forse è più produttivo abbassare i toni, non cercare il conflitto da stadio, cercare invece proposte e soluzioni: la locomotiva tedesca si è rimessa in moto, viaggia ad un ritmo di crescita del 4,8% su base annua. Se Milano fosse laboratorio per questo ritorno alla concretezza, comunque vada, sarebbe senz’altro un bel risultato. Per tutti.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 13, 2011

La minaccia del futuro

Desidero tornare, a costo di ripetermi, sulla situazione del mondo giovanile nel nostro Paese. Ne scriviamo all’interno del giornale. L’Istat ci dà, purtroppo, ancora brutte notizie dal fronte lavoro: il tasso di disoccupazione è cresciuto a marzo, e il 26% dei nostri giovani è senza lavoro. Stiamo parlando di giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni: l’età in cui ci si affaccia alla vita. Il dato è estremamente preoccupante anche perché l’Italia ha bisogno di crescere e può crescere, come dicono gli economisti e gli addetti ai lavori, solo recuperando una produttività totale dei fattori. Per non parlare dei cosiddetti Neet (Non in Education, Employment or Training), ossia i giovani che non sono più inseriti in un percorso scolastico-formativo, ma neppure impegnati in attività lavorativa: si tratta di due milioni di soggetti. Dobbiamo avere il coraggio di dirci che, in questo modo, non si va da nessuna parte. È importante, certo, che si salvaguardi il patto di stabilità o che diminuisca il debito pubblico, ma è più importante dare una speranza per il futuro. Dai debiti ci si può liberare, dalla crisi si può uscire, anche se la cinghia, ormai, è forse giunta all’ultimo buco: ma una generazione consegnata all’assenza di futuro, quella si rischia di non poterla recuperare. Ha detto un filosofo che, per questi giovani, il futuro non si presenta più come una promessa ma come una minaccia. E’ ora di fare, seriamente, qualcosa di concreto. Mi viene in mente una frase di Pier Paolo Pasolini: “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.
Sto forse perdendo il mio ottimismo?

Daniele Tamburini

martedì, maggio 10, 2011

Un’altra musica

Non c’è ancora certezza sui modi e sui tempi – e le immagini, quelle che abbiamo visto, non aiutano a far chiarezza – ma l’uccisione di Bin Laden è uno di quegli eventi destinati a far rumore immediato e a mettere radici nel futuro. Perché una cosa è certa: morto lo è sicuramente. Parlando degli effetti immediati, che ricaduta si avrà sulla situazione di un’area del mondo cruciale per l’approvvigionamento ed il mercato del petrolio e del gas? È quanto si chiede, tra gli altri, il professor Francesco Timpano, di cui ospitiamo un intervento in questo numero del giornale. Ma non solo. Nel momento in cui sembravano indeboliti sul piano della coesione interna, vulnerabili su quello economico, esposti al sorpasso cinese in economia, gli Stati Uniti alzano la testa, compiono un’operazione di forte impatto, anche mediatico, e il discorso di Obama fornisce nuova linfa alla speranza ed alla fiducia. Abbiamo letto di manifestazioni di grande ottimismo, anche da parte della gente comune. E Obama, nel suo discorso, senza trionfalismi, ha richiamato le parole care a tutto il suo mandato: la capacità di orgoglio, di reazione, di tenacia e, soprattutto, di unità. Obama sa che dovrà chiedere ancora molto al suo popolo, e che la sua agenda è in ritardo sui programmi elettorali. Ma non sollecita divisioni, anzi richiama l’unità. L’unità, la coesione, la coerenza di intenti, pur nelle diversità, con l’obiettivo di fare il bene del proprio Paese. Uniti si vince. È perlomeno evidente che la musica, qui da noi, è ben altra.

Daniele Tamburini
Venerdi 6 maggio 2011