sabato, maggio 10, 2014

Intervista a Nichi Vendola. «Tsipras si pone il tema di una nuova Europa»


di Daniele Tamburini

Presidente di Sinistra Ecologia Libertà e governatore della Puglia dal 2005, Nichi Vendola è un uomo politico di lunga esperienza, ma all’ascoltatore non dà l’impressione del politico “navigato”, di chi della politica ha fatto un mestiere asettico. A prescindere dai contenuti dei suoi interventi, con cui si può, ovviamente, concordare o dissentire, Vendola è ancora un oratore “all’antica”, capace di catturare l’uditorio con un argomentare, comunque, fitto e approfondito. Niente slogan, ma il ragionamento insieme all’uditorio . Nichi Vendola terrà un comizio a Cremona domenica 11, alle 11, ai giardini pubblici di Piazza Roma, per la campagna elettorale, per il rinnovo del parlamento europeo, a favore della lista Tsipras. Lo abbiamo intervistato. 
Presidente Vendola, il prossimo 25 maggio si svolgerà nel nostro Paese un’importante tornata elettorale amministrativa, ma voteremo anche per il Parlamento Europeo. Perché è importante stare in Europa? Per molta parte dell’opinione pubblica i nostri guai derivano in parte dall’Europa… 
«E’ importante stare in un’Europa che sia, come indicava il più lungimirante dei suoi padri fondatori a cui noi ci ispiriamo, Altiero Spinelli, giusta e libera. L’Europa di questi anni di crisi ha segnato il fallimento delle sue classi dirigenti, politiche ed economiche. Le conseguenze di questo fallimento sono sopportate dal peso delle condizioni di vita quotidiana di gran parte della popolazione europea, nel lavoro come nella sanità, nel degrado dell’ambiente come nella cancellazione di diritti e di libertà fondamentali. E’ importante stare in un’Europa giusta nelle politiche sociali che pratica e libera dalle oligarchie finanziarie e monetarie. La vera questione da risolvere non è se stare o meno in Europa, ma quale Europa siamo capaci di costruire al posto di quella attuale». 
Lei sostiene la lista Tsipras. Ci dica chi è Tsipras e perché un cittadino italiano dovrebbe votare per una lista col nome di un politico greco… 
«Alexis Tsipras è un giovane politico greco che partendo dal disastro sociale ed umano praticato dalle classi dirigenti europee con le politiche di austerità si è messo in testa di tramutare la giusta protesta di un popolo nella proposta di una nuova idea di Europa. In questo e nel programma che propone c’è una piena sintonia con la nostra azione in Italia. In questi anni la Grecia è stata usata come il laboratorio di una sperimentazione sociale che ha prodotto povertà, diseguaglianze, vite sradicate. Lì come altrove si sono levati i venti di ritorni nazionalisti, di populismi dal segno autoritario, di rigurgiti xenofobi. Tsipras con le sue idee di sinistra si pone il tema di una nuova Europa e del suo governo, non di uscirne per disintegrarla. Lui, come noi, è un cittadino di questa nuova Europa da costruire, uscendo ognuno dai propri ristretti confini e realizzando finalmente quel programma che è la vera, unica risposta alla crisi: politiche comuni dell’occupazione e del lavoro, del welfare e del fisco, grandi investimenti pubblici comunitari per l’economia verde, leggi che smontino il potere ormai assoluto della finanza speculativa, non il fiscal compact imposto dalle banche ma il social compact che guarda ai diversi cittadini europei in una reale unità di condizioni nuove di vita». 
Il suo partito, Sel, si colloca all’opposizione in Parlamento e “a macchia di leopardo” nelle amministrazioni locali: un po’ all’opposizione di giunte PD, un po’ alleato del PD, e allo stesso modo si presenta alle amministrative. Non è un atteggiamento contraddittorio? 
«Nel Parlamento siamo all’opposizione perché, in coerenza con il programma con cui ci siamo presentati al voto lo scorso anno, siamo una forza politica che si pone l’obiettivo di governare questo paese non insieme alla destra, ma in alternativa ad essa. Non potevamo certo tradire un impegno preso nelle piazze di tutta Italia con centinaia di migliaia di persone. Nelle amministrazioni locali deve valere una sola logica, quella di rispondere ai bisogni di cambiamento e di governo di quel determinato territorio, rispondendo direttamente ai cittadini. Le nostre scelte, nelle alleanze, dipendono prima di tutto da questo. Qui sta la nostra coerenza. Non abbiamo ordini di scuderia da calare dall’alto, imponendo alleanze contro l’espressione di questo o quel territorio. Nella gran parte delle città in cui si vota siamo alleati con il Partito Democratico sulla base di un programma comune di governo locale. E’ evidente che là dove vi sono divergenze di merito sull’idea di città, di sviluppo del territorio, di qualità urbana, la nostra scelta può essere diversa e i cittadini liberamente potranno valutarla attraverso il voto». 
Facciamo una simulazione, presidente: lei è premier, con una salda maggioranza parlamentare. Le poniamo tre temi: riforme istituzionali, lavoro, debito pubblico. Come li affronterebbe? 
«Affronterei le riforme istituzionali mettendo il paese sulla strada maestra da cui in questi anni la politica italiana, con i diversi governi, si è sempre più allontanata: la Costituzione. Anziché smontarla pezzo dopo pezzo come si sta facendo, proporrei riforme nella direzione di applicarla, dato che nei suoi principi fondamentali, penso al lavoro, alla cultura, allo stesso ruolo dell’impresa, ai diritti collettivi e soggettivi, essa è spesso disattesa. Affronterei il tema del lavoro abrogando quelle norme che in questi anni hanno fatto dell’Italia il paese con il record europeo di precarietà e flessibilità e metterei in atto, soprattutto attraverso forti investimenti pubblici, un piano per l’occupazione a partire dai quei settori della società oggi più esposti: i giovani, le donne, i lavoratori over cinquanta. Affronterei infine il tema del debito pubblico uscendo dalla spirale delle politiche fin qui praticate e rivelatesi inefficaci, dato che non sono mai andate al cuore del vero problema italiano. Che è quello di praticare, come nel resto dell’Europa, una politica contributiva capace di contrare alla radice evasione ed elusione fiscale, con una reale lotta alla corruzione economica, con il recupero degli ingenti patrimoni che un certo tipo di capitalismo italiano ha collocato al riparo di paradisi fiscali anziché investire parte di quei profitti derivati dal lavoro nel lavoro stesso. Risorse ingenti sottratte ad una azione sociale del paese che in tal modo non redistribuisce la ricchezza che produce. Queste risorse vanno messe a disposizione di una crescita nuova per qualità e consumo, di una domanda di nuovi beni sociali, comuni, materiali ed immateriali. Il debito pubblico, con queste politiche attive che nessun governo fin qui ha praticato, scenderà fino al punto che potremmo lasciare in eredità, ai cittadini di domani, non un cappio economico al loro collo, ma un lavoro di risanamento e di cambiamento del paese da proseguire». Grazie, Presidente

Tutto cambia perché niente cambi

Brutta storia, quella degli arresti legati all’Expo 2015. Anche questo giornale ha più volte ospitato interventi del mondo politico, economico, imprenditoriale in cui ci si augurava che l’Expo potesse essere una grande occasione per il territorio e per il sistema Italia: una vetrina, un esempio, un traino. Invece di “magnifiche sorti e progressive”, si sono intanto aperte le porte del carcere. La corruzione, per il nostro Paese, è una specie di condanna biblica? Oggi,la massa di informazioni al pubblico, rese disponibili sui siti web dalle amministrazioni pubbliche, è enorme: la normativa anticorruzione impone di pubblicare ogni erogazione, a qualsiasi titolo, sopra i mille euro. Tutti gli incarichi, tutti gli appalti devono essere visibili, consultabili, leggibili. Eppure, gli arresti, in quello che doveva essere il fiore all’occhiello italiano, ci sono stati. Cosa deve accadere, perché il malcostume cessi? Se non bastano le leggi, se non bastano gli arresti, se non bastano le varie Tangentopoli scoperte? Poi ci si stupisce della fiacchezza con cui la gente segue il percorso delle elezioni, poi ci si lamenta dell’assenza di partecipazione. E che cosa accadrà, se, come pare, man mano che si va avanti voteremo sempre meno e ci saranno sempre più nominati? Il voto dovrebbe essere l’arma più potente in mano al popolo: ti scelgo, ti do la mia fiducia, e, se mi deludi, non ti voto più. Ma non è così: la legge elettorale non mi consente chi scegliere, e, comunque la si metta, voteremo meno: non più per le Province, forse, non più per il Senato. Io cerco di riconoscere le posizioni giuste dove credo che siano, e in questo caso mi dico d’accordo con Matteo Salvini, il segretario della Lega Nord, quando afferma: “Se un’istituzione è necessaria, bisogna mandarci persone elette; altrimenti, la si toglie. Se il Senato è necessario, lo si elegga; altrimenti, lo si abolisca”. Se qualcuno deve decidere per me, io preferisco poterlo scegliere. Magari mi illuderò, ma avrò sbagliato, caso mai, con la mia testa.

sabato, maggio 03, 2014

Cremona, città da amare

Non mi piace molto l’espressione “giacimento culturale”, ma certo è significativa per segnalare subito l’importanza della cultura nella economia moderna: al pari, e forse in misura maggiore, di un giacimento di combustibili fossili. La cultura e le opere d’arte sono un tesoro da valorizzare: me ne sono reso conto in maniera lampante durante un recente viaggio a Firenze. Lì respiri cultura e arte a ogni angolo di strada; la Firenze dei Medici, dei Dante, dei Michelangelo è il loro petrolio, è il nostro petrolio. Salvatore Settis parla di cultura come bene comune, e non a caso, dice, la nostra Costituzione è così saldamente ancorata al tema del diritto alla cultura. Si dirà: va bene, ma Firenze è Firenze, Pompei è Pompei … Cremona, per dire, potrebbe vivere di cultura? Beh, solo di cultura forse no, ma tanto si potrebbe fare. E farebbe bene colui che sarà eletto sindaco di Cremona a adoperarsi per valorizzare le nostre bellezze, diffonderne la conoscenza, per richiamare turismo e risorse... sarebbe di grande aiuto all'economia cittadina. Oreste Perri ha dichiarato, durante la presentazione della sua lista, che ha intenzione di puntare molto, in caso di rielezione, sulla cultura: sul “marketing culturale” come dice lui: “Certo, per portare i turisti a Cremona, ma anche per la gioia di condividere le bellezze della città, perché Cremona è una città da amare”. È un bel concetto. Vorrei ribadirlo: la cultura non è soltanto marketing culturale, ma amore e rispetto per il bello, per la storia, per i monumenti e le rive del fiume, per la storia delle generazioni che si sono succedute, per la cucina e per la musica, e ancora e ancora. Tutti i territori hanno i loro tesori da valorizzare. Cremona non sarà Firenze, ma ha i suoi. Perché “Cremona è una città da amare”.

sabato, aprile 26, 2014

Per favore niente retorica

Non c’è che dire: per fare politica bisogna esserci portati. Lo affermo senza alcun sarcasmo, anzi, con una certa ammirazione. Bisogna avere una grande capacità adattativa (che, se ci pensiamo bene, è una delle caratteristiche dell’essere umano, ciò che ci ha fatto scendere dagli alberi … e guai a chi dice che, in certi casi sarebbe stato meglio rimanerci). Bisogna avere un grande spirito di appartenenza, così grande che fa passar sopra anche alla logica. A cosa mi riferisco? Vediamo: a Cremona, il centro sinistra attacca la giunta Perri: "Sono stati capaci solo di aumentare le tasse". A Crema, il centrodestra attacca la giunta di centrosinistra della sindaca Bonaldi:"Sono stati capaci soltanto di aumentare le tasse" . Delle due,l’una: o aumentare le tasse comunali diventa un bisogno irresistibile per chi giunge al governo della città, una vocazione irrinunciabile, oppure è una necessità dalla quale non si può prescindere, dal momento in cui si mette mano alle cose e ci si accorge delle condizioni drammatiche in cui versano le finanze degli enti locali. Non ho notizie precise su quanto abbia fatto il sindaco 5 stelle Pizzarotti a Parma, ma non credo che si sia potuto esimere dal pagare pedaggio” sotto forma di imposizione fiscale maggiorata. Quindi le tasse non hanno colore politico, esattamente come il denaro non ha odore? Dopo questo, mi aspetto la reazione del vicesindaco Roberto Nolli che ha più volte dichiarato, anche su queste pagine, che la pressione fiscale sui cittadini, in realtà, a Cremona è calata. Attendiamo lo scintillio di sciabole, della campagna elettorale, dei prossimi giorni. Mi domando come debba essere, cosa debba fare un uomo politico, o una donna, per incontrare il favore della gente. Mi domando come possa essere possibile governare facendo gli interessi di tutti, senza scontentare nessuno. E capisco il sindaco Perri: un giorno mi disse che la sua massima aspirazione era l’essere riconosciuto come il sindaco di tutti i cremonesi. Sono certo che, per come lui è, non ci fosse retorica nelle sue parole.

sabato, aprile 19, 2014

Per fare certe cose ci vuole... orecchio


Nessuno me lo ha mai chiesto, e nessuno, ovviamente, me lo chiederà mai, e del resto non ho alcuna competenza per farlo, ma credo che non affronterei a cuor leggero il compito di sindaco. Soprattutto oggi. Sono tempi in cui, a prescindere dai problemi di bilancio, spesso asfissianti, dai tagli di risorse, quasi sempre sanguinosi, dalle crescenti necessità della cittadinanza in materia di servizi e di assistenza (pensiamo agli effetti della crisi, pensiamo all’invecchiamento della popolazione), è molto difficile governare anche nel senso di mediare, di trovare accordi, di mantenere le alleanze. Sarà stata la fine delle ideologie, del senso di appartenenza, delle grandi aggregazioni di masse, ma è indubbio che è sempre più difficile trovare un collante che tenga insieme le alleanze e, addirittura, i singoli elementi dentro le alleanze stesse. La giunta Perri ha sofferto di molti di questi mali, da quando si è insediata: ricordiamo il rapporto tormentato con l'Udc e la rottura, insanabile, con la Lega. Chissà quante volte il sindaco avrà detto: “Ma chi me l’ha fatto fare?”. Sicuramente, lo avrà pensato lo scorso mercoledì, quando, in occasione dell’approvazione del bilancio del Comune, un atto fondamentale, tra i più importanti per una amministrazione, al momento della discussione la maggioranza era minoranza. Pare che il sindaco, imbufalito, abbia sudato le proverbiali sette camicie per far giungere in aula alcuni dei consiglieri assenti ai quali, in separata sede, ne avrà dette di tutti i colori, immagino. Davvero, non invidio chiunque dovesse essere eletto, anche perché il compito è arduo. Pensavo a quali elementi abbiano caratterizzato il quinquennio Perri. Mi vengono a mente la caparbietà con cui ha difeso la sua scelta di mantenere come amministratori di aziende partecipate, manager nominati dalla precedente amministrazione, come Albertoni, Galli e Bodini. Un altro segnale del superamento degli schieramenti, degli steccati? Sicuramente, la decisione fece infuriare parecchi dei suoi, ma Perri tirò dritto: “Privilegio la competenza”. Lo rifarebbe ancora? Penso di si. Poi, la vicenda spinosa di Palazzo Fodri, su cui stendiamo un velo pietoso, e poi, sicuramente, le opere pubbliche, in primis piazza Marconi e il Museo del Violino. Qualcuno dirà: “Bella forza, ha fatto tutto Giovanni Arvedi”. Sarà senz’altro così, sarà stato grazie all'Ingegnere,ma tant’è, l’opera è compiuta. L’adeguamento del palazzetto dello sport, il cavalcavia del cimitero, la rotonda di via Mantova, la sistemazione di via Dante e, in corso d’opera, l’eliminazione del passaggio a livello di via Persico. Ricordo che subito dopo il suo insediamento mi confessò il desiderio di recuperare alla città il vecchio ospedale al Foppone. In questo non è riuscito. Quando lo incontreremo (cominciamo da questo numero il giro di interviste ai candidati a sindaco), sentiremo se ci spera ancora. Da parte mia, faccio gli auguri alla città, a tutti noi, al Paese, ai candidati: auguri di Buona Pasqua, auguri di futuro.

sabato, aprile 12, 2014

Il Campione e il Professore

Tra poco più di un mese i cittadini cremonesi saranno chiamati ad eleggere il sindaco. Ad onor del vero in città non si respira quell’aria di effettiva contesa tipica degli anni scorsi: c’è poco entusiasmo, poca attenzione, apparentemente poco interesse. E’ vero che gli stessi candidati stanno scaldando i motori, ma è anche vero che stiamo attraversando un periodo di disaffezione nei confronti della politica dei partiti e delle istituzioni. Lo sa bene il sindaco Perri che, tenendo fede al suo profilo, cerca di mantenere le sue più volte rivendicate caratteristiche di uomo della società civile, uomo della porta accanto, che deve fare i conti con i partiti ma che cerca di mantenervisi ad una certa distanza. Non gli farà gioco l'atteggiamento, per ora intransigente, della Lega... o forse si? E il candidato del centrosinistra, Galimberti, saprà approfittare del traino fornito dal "rullo compressore" Renzi? Galimberti sembra riscuotere buoni consensi, ma per adesso non emoziona; mentre Perri è uno sportivo, il campione, uno che sa quando accelerare. Inoltre, il governo della propria città risponde spesso a logiche completamente diverse da quelle romane, e anche il voto. Non me ne vogliano gli altri candidati a sindaci, ma lo scontro è tra Galimberti e Perri, con Zagni terzo incomodo, accreditato di un risultato che può oscillare tra un 5 e un 8 per cento dei voti. L’Oreste, come in molti continuano a chiamarlo, viene comunque dato in vantaggio, nonostante la sua campagna elettorale non sia ancora iniziata; assorbito dagli impegni istituzionali e dagli obblighi di governo della città. Mentre Galimberti si sta dando un gran daffare, alla ricerca di consenso, in questo certamente non aiutato da una alleanza di centro sinistra poco compatta e coesa. Ma c’è tempo: tutto può essere, tutto può cambiare. Quanto incideranno il non voto, l'astensione? Le prossime settimane ci daranno indizi più concreti.

sabato, marzo 29, 2014

Piace a tutti...


Piace a tutti, o almeno pare. Ha colpito mr. Obama e Frau Merkel. Gode di stampa ottima, come da tanto non accadeva ad un premier: anche più di Monti, che fu trattato per lunghi mesi come il salvatore della patria. Esplosivo, veloce, irridente: una girandola di fiorentinita'. Amico fraterno di imprenditori, frequenta parrocchia e mercati. Plaude al fatto che, con il cambio di stato delle Province, ci siano tremila politici che non saranno più a carico dei cittadini. Singolare, da parte di un politico "doc". Irride, quasi, alla rappresentanza: quella delle organizzazioni datoriali e sindacali. Lui stesso, in verita', non sarebbe rappresentativo: non e' eletto, non e' deputato ne' senatore. Parla di velocita' necessaria nelle leggi, intende svuotare la rappresentanza del Senato, accenna al premierato forte. Si potrebbe dire: perche', invece di correggere il bicameralismo, non si interviene sul numero globale di eletti alle Camere, se e' un problema di costi, o sulla capacita' di direzione politica, se si parla di lungaggini? Lui va avanti, per ora, a testa bassa. Con alcune contraddizioni, man mano procedono le cose. Alcune non banali: la questione dei cacciabombardieri F35, per esempio. Tutti eravamo colpiti dal fatto che l'Italia potesse sganciarsi da un impegno assurdamente oneroso; ma ora la ministra della Difesa rassicura i militari. Mah, vedremo. Molti italiani lo vivono come una ultima spiaggia. Forse verra' aiutato dal miglioramento della congiuntura economica. Magari riuscira' a mettere gli 80 euro in più nelle buste paga. Una preghiera, presidente Renzi: non si lasci tentare dal mito dell'"uomo solo al comando". Non ha portato bene a nessuno. Tantomeno al Paese.

sabato, marzo 15, 2014

Siamo tutti in attesa...

Che strana sensazione. Una sensazione di.. come dire? Di precaria attesa. In realtà, stiamo tutti aspettando. Il che non vuol dire che siamo inattivi, anzi, al contrario. Lo sapevate che In Grecia e in Italia si lavorano 300 ore in più della Germania? Pero', si guadagna la metà. Quindi, il problema non sono i "pigroni" dei Paesi del sud Europa, ma l'organizzazione del lavoro, gli investimenti in tecnologie e innovazione eccetera. Oltre, naturalmente, ad una tassazione diversa. Quindi, torniamo al punto: stiamo aspettando. Per esempio, che Renzi abbia ragione e che faccia ripartire l'economia e che ci abbassi le tasse e che dia nuova linfa al lavoro, alle imprese. Gli stessi sindacati sono sconcertati: anch'essi attendono la prova dei fatti. L'altro ieri il premier ha detto: ''L'Italia ha bisogno dell'Europa e l'Europa ha bisogno dell'Italia. Anzi, vorrei dire che è l'Europa che ha più bisogno dell'Italia''. Benissimo, è probabilmente vero. Ma, mi chiedo, ci chiediamo: e i vincoli europei? E i richiami? E il pareggio di bilancio inserito in Costituzione? Dov'è finito tutto questo? Ci hanno preso in giro prima? C'è troppa allegria ora? La soluzione era li', a portata di mano, e fior di cervelloni non l'hanno vista? Era l'uovo di Colombo? La sensazione che proviamo è un misto di speranzosa e al tempo stesso dubbiosa attesa. Noi aspettiamo. Anche le stelle stanno a guardare.

sabato, marzo 08, 2014

Elezioni comunali, faremo la nostra parte...

E' un fatto, purtroppo: una grande quantità degli italiani non apprezza più il proprio sistema-paese. Il processo è iniziato da molti anni, e lo scontento è salito inesorabilmente: prova ne sia il successo di formazioni politiche e leaders che inneggiano allo “sfascismo”. Ma il dato più allarmante è costituito da coloro che si astengono dal voto, perché non ci credono più. Anche le piazze sono praticamente vuote: qualcuno si ostina a dire che “ci vorrebbe la rivoluzione”, ma non pare di vedere in giro molto fervore rivoluzionario. Diceva uno che se ne intendeva, tal Mao Ze Dong, che la rivoluzione non è un pranzo di gala. Il prezzo è, comunque, esorbitante. La fa chi proprio non ne può più. Significa, allora, che esistono ancora margini, in questo Paese? evidentemente sì, e questo è senz’altro un dato positivo, che diamine. Solo che stanno crescendo, e molto, le disparità sociali. Questo Paese non riesce ad assicurare pari opportunità a tutti per studiare, per lavorare, per curarsi eccetera. Nel corso del vituperato Novecento, soprattutto nel secondo dopoguerra, erano stati compiuti passi molto importanti in questa direzione. Abbiamo assistito, nei confronti di alcuni diritti costituzionali, ad una progressiva opera di erosione. Certo, sono cresciuti alcuni diritti civili. Ma la giustizia sociale è fondamentale. Il desiderio di migliorare la propria posizione è una grande spinta: andrebbe nutrita, incoraggiando, soprattutto i giovani, a darsi da fare, per sé e per la collettività. Oggi stanno male in molti: chi è anziano per un verso, chi ha la mia età per un altro, ma chi vedo amareggiati e disillusi sono i giovani. Parlavo qualche giorno fa con un ragazzo di circa trent’anni: un curriculum non di eccellenza (ma dobbiamo essere tutti eccellenti? In un Paese ci sarà pur bisogno di chi tira decentemente la carretta, no?), comunque diplomato, comunque mittente di plichi di domande di assunzione a pacchi. Gli chiedo come va, e lui: beh, non trovo nulla, d’altronde non conosco nessuno … insomma, credo che chiunque aspiri ad un posto di governo, locale o nazionale, debba porsi l’obiettivo di una società meno ingiusta di quella attuale. Come? Lo chiederemo, insieme ai loro programmi per la città e per il territorio, ai candidati a sindaco.

sabato, febbraio 22, 2014

Renzi, rischia molto, ha bisogno di auguri

Il logorio di anni di crisi incide negativamente anche sulla stessa capacità di reagire, per cui, vista dal basso, anche una discesa somiglia a una salita. Qualcuno commenta che, pur di uscire dai nostri guai, gli italiani si affiderebbero anche a Belzebù (senza nessuna voglia di resuscitare Andreotti, sia chiaro … o, magari, sì). Chissà che, oggi che leggete queste parole, Renzi non sia davvero riuscito a formare il suo governo. Ovviamente gli facciamo gli auguri: questo Paese ha bisogno di governo. Forse ha anche bisogno di stabilità, perché devo confessare una cosa: ci sarà stata una sostanziale palude nelle scelte, nei tempi di attuazione di ciò che viene detto, ma non è che il mare politico di questi ultimi anni sia stato contrassegnato dalla calma piatta, anzi. Premier su premier: Berlusconi, Monti, Letta, ora Renzi. A parte Berlusconi, gli altri sono stati premier annuali o meno. È successo per molti motivi che qui non sto a spiegare, perché sarebbe troppo lungo e io troppo inadeguato, ma come si fa a pensare di tirar fuori questa povera nave Italia dal mare procelloso in cui è, avendo a disposizione poco, pochissimo tempo? Il sindaco di Firenze e premier incaricato dice di essere in grado di distruggere le palle al piede che ci impediscono di riprendere il cammino. Glielo auguriamo, ripeto, per il bene di tutti noi. E lui ha puntato tutto per sbancare, o la va o la spacca. Non so che dire. La fretta, a volte, è cattiva consigliera. Il Paese è allo stremo, ma sono ancora tanti i privilegi. Abbiamo ascoltato tanti di quegli obiettivi da perseguire, che ormai li sappiamo a memoria, ma, sempre, molta nebulosità su come perseguirli. Ricordate il discorso di insediamento di Letta? Un libro dei sogni, così ci era sembrato. Ci si scontra soprattutto con un problema: dove trovare i fondi necessari. Vanno tolti a qualcuno, su questo non c'è dubbio. A chi? Riuscirà a mettere d'accordo su un programma preciso la maggioranza ex Letta? Di nuovo c'è la “profonda intesa” con Berlusconi, che ride sotto i baffi. Davvero, auguri.

sabato, febbraio 15, 2014

Perri non lascia… ma raddoppia

Nello stesso giorno della scalata di Renzi a palazzo Chigi, il sindaco Oreste Perri scioglie le riserve e i dubbi, di carattere anche personale e familiare, e annuncia di volersi ricandidare a sindaco di Cremona. Non che ci siano molti punti in comune tra i due personaggi, tranne forse l'accentuazione della dimensione operativa, del “fare”. Perri - lo dice nell'intervista che pubblichiamo - non è più solo “il gigante buono”, lo sportivo senza esperienza, ma con tanta voglia, di cinque anni fa. E' cresciuto politicamente e amministrativamente, sa come aggirarsi tra le trappole, gli ostacoli della politica e le richieste pressanti e ingorde di alcuni. “La mia squadra la deciderò, questa volta, da solo”. Però non si sbilancia più di tanto, ovvio. Saranno più preoccupati i suoi avversari, che hanno di fronte una strada in salita (Perri piace, e il suo essere uomo non di apparato piace ancora di più), o i suoi attuali compagni di strada? Perri non si sbottona sulla nuova squadra, nemmeno sul suo sostenitore di sempre: il vicesindaco Roberto Nolli. Vedremo. Certamente il sindaco è più sicuro e più smaliziato di cinque anni fa: «Ascolterò tutti, ma decido io. Il problema non sono i partiti ma gli uomini… » E come dargli torto? E' stato invece molto chiaro su un fatto: correre per un mandato solo vuol dire fermarsi a metà dell'opera. Non è ancora tempo di fare il Cincinnato, per lui.

sabato, febbraio 08, 2014

Se le istituzioni non funzionano, di chi la colpa?

Credo di conoscere la Costituzione come un qualunque cittadino medio: non approfonditamente. Leggo spesso, però, autorevoli studiosi di diritto (vedi anche l’intervista all’avvocato Besostri nelle pagine interne) che lanciano allarmi: la Costituzione sfregiata, la Costituzione ignorata. A volte, per noi cittadini non è semplice giudicare, ma è lecito porsi alcune domande. La prima: l’organismo che deve decidere se una legge rispetti la Costituzione ha detto che no, l’attuale legge elettorale non la rispetta. Uno potrebbe pensare: benissimo, cambiamo modello. E invece, due tra i protagonisti politici più importanti del Paese si accordano per riproporne una sostanzialmente uguale a quella vigente e “condannata”. Solo che cambierebbe nome, da “porcellum” a “Italicum”, sicuramente più elegante. Andiamo avanti: si parla di riformare il Senato. Poiché sta male che in democrazia ci sia una Camera sola a fare le leggi, ma si dice che il doppio passaggio da Camera al Senato allunga troppo i tempi, bene, si prende quest’ultimo e lo si trasforma in un’assemblea che anche quelle di condominio sono molto più incisive. Sindaci, Presidenti di Regione, esponenti della società civile che affiancherebbero la Camera senza sovrapporvisi. A fare che? Non si sa bene. Però, senza stipendio. Ma, se è un problema di costi, l’alternativa ci sarebbe subito: ridurre considerevolmente gli emolumenti di deputati e senatori da ora, da subito. E poi i costi ci sarebbero comunque: le spese di viaggio, per dire, e di soggiorno; il tempo distolto dalle funzioni specifiche dei componenti. E poi, forse una seconda lettura delle leggi è utile. Dice: ma le istituzioni non funzionano. Io credo che se il Senato non funziona, se la Camera non funziona, se la Regione non funziona etc… non sia colpa della Costituzione. È colpa di chi ne fa parte. Quindi, è colpa nostra che ce li mandiamo. Eppure no, non è nemmeno così, almeno da un po’, perché cosa scegliamo, con le liste bloccate? Siamo in un ginepraio, in un continuo paradosso.

sabato, febbraio 01, 2014

Questa nuova legge elettorale non mi piace

Non ho mai preteso di essere un esperto di politica, un addetto ai lavori. Sinceramente, però, sono sconcertato e perplesso riguardo la proposta di nuova legge elettorale, frutto dell'accordo Renzi-Berlusconi. Mi pare un topolino - o un brutto ratto, secondo molti - partorito da una montagna. Se la ride sicuramente il Cavaliere (lo è ancora?), rientrato in gioco, lui che è nella posizione di decaduto da senatore perché condannato in via definitiva, e accreditato come un “padre nobile” delle riforme che tanto servono al Paese. Mi domando: ma la Consulta non ha bocciato il Porcellum? E questa proposta di nuova legge elettorale, non è su quella falsariga? Non avevano detto in molti che, tanto per dirne una, le liste di "nominati" dai partiti non andavano bene? Dice: ma ci sono le primarie. Quanto a questo, mi pare che le primarie ognuno le faccia o no come gli pare. E poi le primarie non sono legge, mentre le liste bloccate sì. Sono perplesso e deluso. Ora, la riforma elettorale è sicuramente un tema importante, ma tutto il resto? Il lavoro, l’occupazione, gli aiuti alle imprese, la fiscalità… e inoltre (ne parliamo anche su questo numero del giornale): buona parte d'Italia è a rischio allagamenti, frane, smottamenti. Rischi per cose e persone, il patrimonio artistico che è il nostro vero petrolio che si sgretola: ieri Pompei, oggi le mura di Volterra. Finirà che dovremo trasformarci in anfibi, però, certamente, con una “nuova” legge elettorale.

domenica, dicembre 08, 2013

La crisi? Era stata prevista e si poteva evitare. Intervista a Giuseppe De Luca, docente di storia economica

«Per ripartire serve una rigenerazione morale della classe dirigente e politica. Dobbiamo vivere con i piedi nel borgo e la testa nel mondo»

Si poteva prevedere, e forse anche prevenire, l’attuale crisi economica? Forse sì, se gli economisti avessero avuto maggiore contezza della storia che ci siamo lasciati alle spalle. E’ l’interessante tesi su cui si è sviluppato un recente convegno all’Università Statale di Milano, dal titolo “La storia economica. Discorsi sul metodo”, organizzata dalla Sise, l’associazione di riferimento nazionale. Ne parliamo con uno degli organizzatori, il professor Giuseppe De Luca, docente si Storia economica all’Università Statale di Milano. Professor De Luca, quindi “historia magistra vitae” anche per quanto riguarda l’economia? 
«La storia economica può dare importanti lezioni, ma se tali lezioni non vengono poi assimilate, le situazioni negative si ripeteranno all'infinito: la crescita straordinaria di determinati settori finisce sempre in una bolla. Questa crisi economica si poteva evitare e molti lo avevano visto e denunciato, nel corso degli anni, ma chi aveva interessi crescenti ha voluto ignorare la situazione. Abbiamo perso gradualmente il senso del valore sociale condiviso, scivolando sempre più in una visione individualistica della società. Finché alcuni settori economici hanno finito per distaccarsi dalla realtà. Una situazione che nella storia avevamo già visto: nel '500 si era sviluppato un mercato di cambio, attraverso le lettere di cambio gestite dai genovesi e utilizzate per finanziare l'impero spagnolo. Esse arrivarono ad essere cinque volte le entrate dei principali imperi europei. Ciò dimostra che, nella storia, la finanza e' stata spesso utilizzata in maniera sbagliata, in modi che l'hanno portata ad essere completamente scollegata dall'economia reale. Situazione che spesso è andata di pari passo con la circolazione di informazioni non corrette: vere e proprie frodi, oggi come allora». 
Dove pensa che possa essere individuato il punto di origine dell’attuale crisi? 
«La crisi che stiamo attraversando affonda le proprie radici nel boom economico degli anni '70. Gli strumenti finanziari non sono positivi o negativi in se': nascono con determinate funzioni, poi possono prendere diverse direzioni, in base a come vengono utilizzati. Quando venne meno il sistema di Bretton Woods, che stabiliva le regole delle relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo, contemporaneamente alla fine del sistema dei cambi fissi che poggiavano sulla forza del dollaro, iniziarono ad essere introdotti nuovi strumenti derivati (come i "future") che permettevano ai produttori di petrolio di stabilizzare i prezzi. Di lì partì anche il ritiro dei mercati dalla regolazione economica: erano gli anni della deregulation, del divorzio tra Banca d'Italia e Tesoro. Ne derivò un mercato libero in cui chi aveva i soldi investiva sull'industria della finanza, che non aveva grandi regole. Si proseguì lungo la strada delle deregolazione della finanza, che raggiunse l'apice nell'epoca di Clinton, poco prima della crisi economica. In quegli anni ci fu chi cercò di fermare questo fenomeno, ma le lobbies della finanza, dotate di grande potere, si opposero alla regolamentazione del processo di finanziarizzazione. In sostanza, si è perso il controllo sulla finanza privata, e questo ha inciso anche su quella pubblica. Accanto a questo abbiamo visto anche un mutamento antropologico per cui, rispetto a una morale basata su impegno e sacrificio, la logica della stabilità è stata sostituita dall'instabilità, dal "mordi e fuggi". Non si investe più nelle piccole cose certe, ma su un mercato sempre più incerto. Per questo ora si dovrebbe restituire una regolamentazione ai mercati e alla finanza, recuperando quella fiducia nei mercati che è venuta meno». 
Lo si sta facendo? 
«Si è iniziato a fare qualche passo, ma non è semplice, anche perché in uno Stato in cui il ceto medio è continuamente tassato i piccoli risparmiatori non hanno soldi da investire. La tassazione in Italia non è proporzionata rispetto al reddito e alla condizione delle famiglie». 
La sua opinione sulla gestione del debito pubblico nel nostro Paese? 
«Il debito pubblico nacque nella seconda metà degli anni '70 come grande catalizzatore di tutte le tensioni sociali che c'erano in quell'epoca, in quanto lo Stato non voleva essere costretto ne' a disciplinare le richieste delle classi operaie nè a tassare l'imprenditoria. La spesa pubblica ebbe quindi la funzione di costruire il sistema di welfare, che però non veniva adeguatamente finanziato, in quanto l'evasione fiscale era ai massimi livelli. Fu l'ingresso nel sistema europeo a costringere il Paese a fare finalmente un'analisi della finanza pubblica. Nel 1990 il debito era arrivato ad essere il 100% del Pil, una situazione figlia di quel liberismo craxiano in cui era abitudine fare quello che si voleva. Il problema del debito pubblico non ha tante soluzioni. Una soluzione potrebbe consistere nel puntare su un periodo di inflazione, che però, essendo nell'area euro, non possiamo avere. La seconda soluzione sarebbe fare in modo che il tasso di crescita sia superiore al tasso di interesse con cui viene remunerato il debito pubblico; tuttavia, anche in un momento in cui quest'ultimo si trova ai minimi storici, come accade oggi, ci troviamo di fronte ad un tasso di crescita che è il peggiore al mondo, dopo Haiti. Si è parlato di fare spending review ma si sono andati a tagliare settori essenziali, come la cultura o l'istruzione, mentre invece non si sono toccati i veri sprechi: quelli della politica e delle pubbliche amministrazioni, che sono decisamente troppe». 
Un altro tema: la cosiddetta “finanziarizzazione” dell’economia. Lei cosa ne pensa? 
«Si sono fornite sempre più occasioni di speculazione, andando a rubare risorse all'economia reale. Il nostro Paese ha visto venire meno gli investimenti sulla tecnologia e sull'innovazione, oltre a ridurre il costo del lavoro: ciò porta ad una dequalificazione dell'impresa italiana, che fa venir meno anche la crescita. Negli anni del miracolo economico si è continuato ad accumulare profitto senza che i capitali venissero reinvestiti per la crescita. Al punto in cui siamo, la finanza deve ritrovare la propria identità nel servizio dell'economia reale». Con uno sguardo a quanto accaduto nella nostra storia, ci sono esempi dai quali poter attingere per rimettere in marcia l’economia e creare occupazione, uno dei punti centrali per ridare un po’ di fiato al Paese? 
«Le modalità per ripartire sono le stesse di sempre: bisogna restituire liquidità al sistema abbassando il costo del denaro, diminuire il cuneo fiscale, recuperare equità per arrivare ad un equilibrio fiscale. Tutto questo avrebbe conseguenze positive sul nostro sistema economico, come è sempre accaduto in tutti i Paesi in cui tutte le componenti della società pagavano in modo equilibrato. Il sistema di solidarietà, il cooperativismo, sono economicamente efficienti, in quanto garantiscono un equilibrio, ed è a quello che dobbiamo tornare. C'è poi da recuperare una situazione culturale che in questi anni abbiamo perso completamente. E' necessaria una rigenerazione morale dei dirigenti e della classe politica, che da tempo è degenerata. Ognuno di noi deve ripartire da una propria micro-rivoluzione interiore: bisogna pensare al prossimo, al territorio in cui si è inseriti, e non lavorare badando solo al proprio interesse. Le soluzioni devono quindi partire anche dal basso, dalla dimensione locale, accettando la sfida di rifiutare la tendenza al lamento che abbiamo sviluppato ultimamente, per recuperare il senso del servizio individuale a favore della società, pur mantenendo una visione globale. Dobbiamo vivere, in conclusione, con i piedi nel borgo e la testa nel mondo». 

sabato, agosto 31, 2013

Ripresa in arrivo? Si, ma...


Intervista a Paolo Manasse
di Daniele Tamburini

Bankitalia, questa volta, si sbilancia: in Italia si percepiscono i primi segnali di ripresa. Lo ha detto pochi giorni fa, durante il Meeting di Comunione e Liberazione a Rimini, il direttore generale della Banca d'Italia, Salvatore Rossi: "in diversi indicatori" per il nostro Paese si trova conferma di "una lenta ripresa economica, o almeno di un arresto della caduta". Del resto, "i danni della crisi sono stati da noi maggiori che in altri Paesi". La notizia non può che rallegrare, anche perché al Paese sarebbe tanto necessaria una robusta dose di ottimismo, da accompagnare certo ad indicatori macro e microeconomici attendibili, ma capace di ricreare quella spinta a credere nel futuro che è fondamentale. L’Eurostat ha segnalato, peraltro, una crescita complessiva dell’Eurozona e della intera Unione Europea pari allo 0,3%, nel secondo semestre dell’anno, rispetto al trimestre precedente. La Germania pare molto bene avviata su questo percorso: e l’Italia? Ha ragione Bankitalia? Lo chiediamo a Paolo Manasse, docente di Professore di Macroeconomia e di Politica Economica all’Università di Bologna e Ph.D alla London School of Economics.


Professor Manasse, si può parlare di inizio di ripresa, o magari anche solo di “ripresina”? 
«I dati che abbiamo a disposizione grazie agli enti preposti alla ricerca in ambito economico sono concordi sul fatto che l'ultimo trimestre di quest'anno sarà caratterizzato, per la prima volta dopo cinque anni, dal segno più. Questa è senza dubbio una buona notizia, che però va inserita in uno sfondo denso di incognite: da un lato le questioni della politica interna, dall'altro uno scenario internazionale piuttosto complicato. Ci troviamo quindi di fronte a questioni di importanza decisiva, che potrebbero soffocare sul nascere la ripresa».
Ha parlato di uno scenario internazionale complicato: a cosa si riferisce? 
«Ci troviamo di fronte a fattori positivi, come la ripresa dell'economia americana e di quella tedesca, ma ci sono anche situazioni che destano incognite, come il rallentamento dell'economia dei paesi emergenti - Cina e Brasile sopra a tutti - che rappresentano i principali sbocchi per i nostri mercati. Anche l'attuale crisi siriana potrebbe penalizzarci: se Stati Uniti, Inghilterra e Francia decidessero di attaccare, la finanza europea subirebbe pesanti ripercussioni». 
Il commissario europeo agli affari economici Olli Rehn mette però in guardia da troppo facili entusiasmi: resta l’enorme problema della disoccupazione... 
«Ci sono sostanzialmente due questioni: da un lato il mercato del lavoro in genere reagisce in ritardo e le imprese ricominciano ad assumere solo quando la ripresa si dimostra consolidata; dall'altro lato normalmente occorre una crescita sostenuta affinché il trend della disoccupazione si arresti e inverta la tendenza. Vi sono poi dei problemi più strutturali legati al mercato del lavoro in Italia, che è soggetto a nodi non ancora sciolti, come ad esempio la questione della flessibilità, su cui tra l'altro il governo pare stia facendo marcia indietro, e che non permette alle aziende di assumere. Accanto a questo, non dimentichiamoci la zavorra di un eccessivo costo del lavoro, che il nostro Paese si porta dietro da tempo e che non permette alle nostre imprese di salire sulla carrozza della ripresa internazionale». 
Tutti i Paesi europei saranno coinvolti nel processo di ripresa? O avremo un’Europa a due o più velocità, con il rischio concreto di implodere? 
«Temo che ci troveremo con un'Europa divisa in due. Ci sono Paesi come la Germania, che hanno fatto riforme importanti, a volte anche dolorose, che sapranno trasformare la ripresa in nuova occupazione; ci sono altri Paesi che hanno fatto importanti investimenti dal punto di vista dell'innovazione e della tecnologia, che ora potranno essere più competitivi. Infine ci sono i Paesi come l'Italia, che non hanno fatto riforme nè investito sull'innovazione, e che quindi dovranno arrancare». 
Si nota che lo stile di vita delle persone ha assunto, giocoforza o meno, caratteri più parchi: meno faciloneria, meno sprechi. La ripresa è conciliabile con il mantenimento di queste “nuove” abitudini, che, almeno per alcuni aspetti, non sono di segno completamente negativo? 
«Ritengo che certi comportamenti siano da considerarsi ormai "acquisiti", e dubito che cambieranno con la ripresa, specialmente per quanto riguarda gli sprechi. In fase di rilancio economico la gente tornerà a spendere di più, come è giusto che sia, in quanto l'economia si basa anche sui consumi interni, ma molto probabilmente si continuerà a prestare maggiore attenzione agli acquisti, evitando quelli inutili». 
Vorrei farle una domanda sull’influenza che i fatti politici del nostro Paese in queste settimane possano avere sull’economia, e in particolare su Berlusconi che intende far saltare il banco, ma passo oltre e le chiedo, come ho già fatto altre volte: ce la faremo? Ma mi accorgo che l’interrogativo è strettamente intrecciato alla prima parte della domanda... 
«La questione italiana è senza dubbio complicata, in quanto c'è una stretta correlazione tra il futuro del governo e l'eventuale allontanamento di Berlusconi. Il centrodestra non è ancora in grado di sostituire il proprio leader, essendo un partito ancora molto personalistico; dunque il venir meno di Berlusconi dalla scena politica potrebbe compromettere l'esistenza del partito stesso, e di qui il tentativo di rovesciare il governo, legittimando Berlusconi attraverso una sorta di "voto popolare". Un'azione del genere, tuttavia, costituirebbe un pericoloso precedente, in quanto si andrebbero a scavalcare le decisioni della giustizia, e questo farebbe venir meno la divisione dei poteri. Senza contare il fatto che la caduta del governo provocherebbe il venir meno della fiducia da parte dei mercati finanziari internazionali. Possiamo comunque sperare nel fatto che, se si andasse a nuove elezioni, i centrodestra potrebbe uscirne abbastanza malconcio, e questa consapevolezza potrebbe ridurre la spinta a far cadere il governo. Così come dovrebbe bloccare tale spinta anche il fatto che in un momento in cui già i nostri mercati non godono di particolare fiducia, il Paese non trarrebbe certo vantaggi da una crisi di governo; chiunque abbia a cuore il destino del nostro Paese non metterà in campo azioni che potrebbero affossarlo. Mi chiede se ce la faremo? Mi auguro di sì, ma la realtà non è certo rosea. Nel migliore degli scenari possibili, ammettendo quindi che il governo possa continuare a lavorare e che la situazione internazionale non abbia impatti gravi sui nostri mercati, la nostra ripresa sarà molto lenta, anche in virtù del fatto che il nostro attuale governo non è in grado di fare riforme importanti, e che quindi i problemi che da sempre ci portiamo dietro resteranno tali».

venerdì, marzo 29, 2013

Pausa di riflessione, buona Pasqua


Un passo avanti, due passi indietro. Un minuetto? No, troppo grazioso. Un sabba? Rispetto ad alcuni insulti che volano, potrebbe essere. Dribbling, finte: anche le metafore calcistiche tornano utili. Scarti laterali, il salto del cavallo. Di cosa stiamo parlando, se non dello stato dell'arte della politica italiana, oggi? Dopo le consultazioni, ora pausa di riflessione: ci vuole. Ognuno parla il suo linguaggio. Offerte, controfferte, negazione delle offerte, un governo ad ogni costo… no tutti a casa, si torni a votare. Cresce una enorme preoccupazione. Il presidente Napolitano parla di una fase cruciale di ricambio democratico, al suo posto avrei mandato Bersani difronte al parlamento. Siamo proprio sicuri che non avrebbe ottenuto i voti sufficienti? Magari di straforo: Berlusconi teme Grillo. L’ex comico ieri ha detto: “Dicono di noi cose per cui ci vuole un neurologo. Vadano a farsi curare”. Ho pescato, tra le mille, due frasi che sembrano disegnare mondi incomunicabili. Comunque la si pensi, è una situazione da far paura. Il maggior quotidiano economico italiano ieri ha "sparato" in prima pagina un titolo a caratteri cubitali: "basta giochi" ed elenca otto tra le emergenze più emergenti (mi si passi l'espressione). In queste condizioni, possiamo augurare buona Pasqua? Sì, possiamo. Perché la Pasqua, per i cristiani e non solo, è simbolo di rinascita, di risveglio, di luce dopo il buio del sepolcro. Allora buona Pasqua a tutti.
Daniele Tamburini 

sabato, marzo 23, 2013

«Quando usciremo a riveder le stelle?»


Intervista a Giacomo Vaciago docente di economia: «La mancata crescita è diventata declino e poi decadenza» 


di Daniele Tamburini

Ma cos’è questa crisi? Il motivetto era celebre già nel 1933, e, si direbbe, sempre attuale. Pare di vivere, in questi giorni, in un tempo sospeso: da una parte, lo stato del Paese, sempre più in affanno, quando non drammatico, sempre più alla ricerca di soluzioni che permettano, altro che lo sviluppo, ma la stessa sopravvivenza. Dall’altro, i tempi della politica: l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, volti e stili nuovi; l’incognita Movimento 5 Stelle, l’inizio delle consultazioni di Napolitano, il quale è entrato nel semestre bianco e quindi non potrebbe, in nessun caso, sciogliere le Camere; la stessa elezione del nuovo presidente della Repubblica, vicenda intorno alla quale si stanno preparando mediazioni, alleanze, veti incrociati. E intanto, in pieno Mediterraneo, la “soluzione cipriota”: un prelievo forzoso sui depositi di denaro, richiesto a garanzia del prestito Bce-Ue-Fmi per evitare il default a cui il Parlamento di quel paese ha detto no, ma intanto l’idea è stata lanciata. Una prospettiva vissuta con timore da tutti i Paesi a rischio, il nostro compreso. Ne parliamo con Giacomo Vaciago, docente di economia all’Università Cattolica di Milano e studioso attento della realtà politico-economica del nostro tempo. 

Professor Vaciago, come definirebbe, con una metafora, la nostra situazione? “E la nave va”, “Sull’orlo del precipizio”, “Domani è un altro giorno …”? 

«Ho in mente Dante che “esce a riveder le stelle”. Ma noi quando lo faremo? Ricordiamo che il Paese non cresce da 15 anni e da 5 anni va indietro. Non solo le nuove generazioni – per la prima volta da quando c’è l’Italia - non stanno più, in media, meglio dei loro genitori, ma addirittura il loro benessere dipende da quello dei loro genitori. La mancata crescita è diventata declino e poi decadenza. C’è quindi la necessità di tornare a crescere, ma prima occorre una diagnosi realistica – occorre il coraggio di dire la verità - e soprattutto occorre spiegare che per ricostruire un Paese servono valori: la legalità (il rispetto della legge); l’equità (in un Paese moderno garantita dalla qualità dei beni pubblici, oltre che dal pagare tutti le tasse, come dovuto). E così via». 

La sua opinione sulla possibilità di formare un governo che possa governare?

«Le elezioni del mese scorso hanno fatto emergere un votocontro che ha penalizzato tutti i partiti-vecchi e fatto emergere nuovi eletti-contro. E’ stato come il referendum del 2011: abrogativo! Non è ciò che di solito si fa nei Paesi normali, ma noi non lo siamo più, un Paese normale, da anni. Da anni dico che, essendo in un mondo globale e con sovranità condivisa con gli altri Paesi Euro, la sovranità rimasta a Roma è poco più di quella che ha, dopo la riforma del 1993, un sindaco. Adeguiamo la Costituzione e quindi la legge elettorale, e decidiamo che i cittadini eleggono il Governo e un Parlamento (una sola Camera basta e avanza) che lo controlla. Esattamente come avviene in una città. Non sono sicuro che ciò avvenga presto, ma sono sicuro che continueremo a perdere tempo - cioè a fare tanti discorsi inutili - finché non ci adegueremo al nuovo mondo». 

Posto che venga formato un governo, quali sarebbero le urgenze che, tra le altre, dovrebbe fronteggiare immediatamente? 

«Il Programma economico c h e d o v re b b e avere il nostro prossimo Governo è stato chiaramente spiegato a Bruxelles al Consiglio Europeo di primavera. E’ ben spiegato nel commento che si può leggere sul sito del nuovo Circolo da me diretto (vedi www.circolorefricerche. it: è per ora aperto a tutti e non riservato ai soli soci). Le conclusioni del Consiglio del 14-15 marzo vanno lette alla luce di quanto sta scritto nel Bollettino della Bce ( non a caso pubblicato il 14 marzo) e della presentazione che Draghi ha fatto al Consiglio Ue (scaricabile anche questo dal sito della Bce). In poche parole, dobbiamo avere come priorità la crescita, soprattutto dell’occupazione giovanile, e per farlo bisogna che il risanamento del bilancio pubblico sia “growthfriendly”, cioè favorisca gli investimenti e non i consumi (il contrario di ciò che facciamo da molti anni!), e che le riforme dei mercati (dei beni e del lavoro) favoriscano competizione e quindi innovazione (altra cosa di cui ci siamo dimenticati da anni). E’ quanto Draghi ha detto nei suoi 6 anni in Via Nazionale (dal 2006 al 2011) e tutti, ripeto tutti, i politici italiani hanno finora ignorato». 

Tra gli altri temi “caldi”, qual è la sua opinione sulla questione del finanziamento pubblico ai partiti? 

La sua abolizione avrebbe sostanziali effetti sull’economia o possiede, sostanzialmente, un valore simbolico? «Il costo dei partiti, quello vero, è dovuto agli interessi che essi servono interferendo nelle decisioni degli eletti, tutte le volte in cui essi decidono cose che interessano ai partiti (cioè agli interessi rappresentati). Ai miei studenti spiego ciò con riferimento alle varianti urbanistiche, ma gli esempi sono infiniti. Agli attuali partiti non dovrebbe andare neanche un euro del contribuente. Ai partiti di cui parla la Costituzione è bene rimborsare quanto spendono per le necessarie campagne elettorali». 

Cosa ne pensa della “soluzione cipriota”, con l’ipotesi inizialmente avanzata del prelievo forzoso sui depositi bancari? E’ vero che non impatterebbe più di tanto sulla vita della gente “reale”, in quanto Cipro è una sorta di “paradiso fiscale”

«Ancora mi domando perché Cipro sia stato accolto nell’ Eurozona, non rispettandone nessuno degli obiettivi. E’ un centro finanziario offshore della finanza globale meno utile alle persone oneste. Abbiamo perso l’occasione per lasciarlo fallire, ma anche qui ci voleva il coraggio di “dire la verità”». Sono fondati i timori che possa trattarsi di una prova generale, magari esportabile? 
«L’Italia-senza-Governo è a rischio di subire (e lo sappiamo da anni) ogni tipo di contagio, qualcosa che per definizione va al di là delle nostre colpe. Mi spiego meglio: è ovvio che siamo meglio della Grecia (come dicevamo tre anni fa), siamo meglio della Spagna (come dicevamo l’anno scorso), siamo meglio di Cipro (come diciamo adesso). Ma i mercati giudicano i fatti e non le chiacchere, e per ora non hanno visto quella determinazione politica che serve per tornare a crescere, che è l’unica ricetta che rende sostenibili i debiti fatti. Quando dimostreremo, con i fatti, che abbiamo capito i nostri errori degli ultimi 15 anni, e vogliamo iniziare a correggerli, saremo trattati meglio. Dopotutto, far sì che torni vero che i figli vivono meglio dei genitori dovrebbe essere una priorità che in tanti capiscono». 


Elogio del garbo

Di Monti, si è detto che è un uomo garbato: magari molte delle sue riforme no, ma il suo stile lo è sicuramente. Il Papa si pone con molto garbo. Con affetto, con tenerezza, senza paura di mostrare un’umanità complessa e delicata, ma il tutto in modo, appunto, garbato. Il che significa senza ostentazioni, senza fanfare e mortaretti, senza urla né dichiarazioni roboanti. Una donna garbata, pur con l’esperienza in mezzo a drammi e pericoli che ha fatto, è la neo Presidente della Camera, Laura Boldrini. E pure Pietro Grasso lo è, con quel particolare stile da gentiluomo siciliano. Si badi bene: essere garbati non significa avere opinioni imprecise o deboli. Anzi, il più delle volte la persona garbata nasconde una tempra d’acciaio, una determinazione forte. Ma sa, però, che il discorso piano, attento alle opinioni altrui, non gridato, capace di aprirsi all’ascolto e alla mediazione è quello che ha consentito lo sviluppo della civiltà. Una persona garbata non è una persona ossequiosa, tutt’altro. Afferma con fermezza le proprie idee, in modo dialogante. Certo, le rivoluzioni non sono garbate, in genere: ma una rivoluzione continua è impossibile da sostenere. Il garbo non è materia per salotti, dove, anzi, è facile trovare comportamenti scomposti. Il garbo consente la convivenza, tende a far riflettere, a mettere in moto l’apertura altrui, piuttosto che chiusure e rifiuto. Era poco garbata la bandana, ma lo è ancor di più il cappuccio calato su volto e occhi per sottrarsi alle domande dei giornalisti. Non è garbato chi urla in TV e nelle piazze, a sovrastare e ammutolire gli altri. Dicono di me che scrivo con garbo: mi fa piacere. Oggi non è più tempo di garbo? Può darsi. Ma io so che aver davanti una persona garbata fa respirare, ispira fiducia, fa pensare alla possibilità, come dice il professor Vaciago nell’intervista che proponiamo su questo numero, di “uscire a riveder le stelle”.

Daniele Tamburini

sabato, marzo 16, 2013

Governo, quali scenari sono possibili?



Intervista alla costituzionalista Marilisa D’Amico, professoressa alla Statale di Milano: «Governo, la realtà potrebbe superare la fantasia»
di Daniele Tamburini 

C'è sicuramente una grande confusione sotto il cielo: non solo politica, ma anche rispetto ai comportamenti istituzionali. Tutto questo, in un momento in cui servirebbero certezze e percorsi lineari; ma, oltre ai gravissimi problemi strutturali e congiunturali dell’economia, del lavoro, del sistema del credito, siamo di fronte anche a un bell’”inghippo” formale, e mai, come in questo caso, la forma è sostanza. Come funziona un governo di minoranza? È questa l’unica strada perseguibile, con questi numeri, e soprattutto con le porte che vengono vicendevolmente e alternativamente “sbattute” tra Pd, Pdl, Movimento 5 Stelle?. Ma la sostanziale impossibilità a formare una maggioranza non è il solo nodo assai problematico in ballo: il presidente della Repubblica è nel semestre bianco e, secondo la Costituzione, non può sciogliere le Camere. E non dimentichiamo che, appunto, dovrà essere eletto anche il nuovo Presidente della Repubblica. Parliamo dei vari scenari e delle varie ipotesi con la professoressa Marilisa D’Amico, docente di Diritto Costituzionale all’Università Statale di Milano. 
Professoressa D’Amico, come funziona un governo di minoranza? 
«Il Governo di minoranza o, più correttamente, di maggioranza relativa è quello che non ha avuto la fiducia dalla maggioranza dei componenti delle Camere, ma solo dalla maggioranza dei presenti. Lo consente l’art. 94 della Costituzione che non prescrive, per la concessione della fiducia, maggioranze qualificate. Non sarebbe la prima volta che accade, ma è evidente che si tratterebbe di un Governo “debole” che dovrebbe ogni volta assicurarsi i voti necessari a far approvare i propri provvedimenti». 
Facciamo delle ipotesi di possibili governi… Pd con l’astensione del Movimento Stelle? Con l’appoggio esterno sulla base dei punti programmatici? 
«Sarebbe possibile, anche se la regola prevista dal regolamento del Senato per il computo degli astenuti complica le cose. L’art. 107 del regolamento del Senato prevede che le deliberazioni siano prese a maggioranza dei senatori che partecipano al voto, ivi compresi gli astenuti. Il voto di astensione rende dunque più difficile il raggiungimento della maggioranza, perché l’astensione finisce per valere come un voto contrario. Stando così le cose, la procedura perché un Governo targato PD ottenga la fiducia con l’astensione del M5S al Senato è piuttosto complicata. I senatori del M5S potrebbero uscire dall’Aula, ma, a quel punto, i parlamentari del Pdl potrebbero fare lo stesso e far così mancare il numero legale. In alternativa – ma il meccanismo è piuttosto bizantino – il PD dovrebbe assicurarsi i voti dei senatori della Lista Monti e chiedere ad una rappresentanza di grillini (una quindicina circa) di restare nell’aula, astenendosi, ma assicurando il numero legale». 
Napolitano potrebbe incaricare un esponente 5 Stelle? 
«In linea teorica, sì, ma solo se il Presidente della Repubblica capisse, dalle consultazioni, che un esponente 5 stelle ha la possibilità di trovare una maggioranza parlamentare. Politicamente mi sentirei però di escludere questa circostanza ». 
E l’ipotesi di “governissimo” Pd- Pdl, che, comunque, la direzione Pd ha escluso? 
«Da un punto di vista costituzionale, non è una strada impraticabile, dal punto di vista politico, invece, non mi sembra proprio che vi siano le condizioni. 
Qualcuno parla di una prosecuzione “tecnica” del governo Monti, che, però, tecnico non è più… 
Qui bisogna fare un po’ di chiarezza. Oggi il Governo Monti è dimissionario, ma resterà in carica fino a quando non si formerà un nuovo Governo. In questo senso - se vogliamo - possiamo parlare di prosecuzione “tecnica”. Il Presidente della Repubblica ha, però, il dovere di aprire le consultazioni per formare un nuovo Governo. Diverso è il caso in cui il Presidente della Repubblica decida, all’esito di queste consultazioni, di conferire un “nuovo” incarico a Monti. Questa ipotesi, però, non sarebbe più una prosecuzione tecnica, bensì l’inizio di un nuovo Governo “politico”, tanto più che Monti ha partecipato alla competizione elettorale. Ultima questione: come si mettono insieme due fatti, l’uno possibile (nessuno riesce a formare un governo e si deve tornare al voto), l’altro reale (il presidente della Repubblica, nel “semestre bianco”, non può sciogliere le Camere)? 
«Il presidente della Repubblica, fino alla scadenza del suo mandato, non può sciogliere anticipatamente le Camere. Questo lo dice l’art. 88, comma 2, della Costituzione. Pertanto, se non si riesce a formare un nuovo Governo e l’unica strada percorribile è quella di tornare al voto, bisognerà necessariamente attendere l’elezione del nuovo Capo dello Stato che, come primo atto, scioglierà le Camere. Nel frattempo, il Governo Monti, dimissionario, proseguirà “tecnicamente” il suo lavoro. Questo, però, solo se davvero nessuno riesce a formare un Governo. Se, invece, viene nominato un nuovo Governo, che giura nelle mani del Presidente della Repubblica, e questo Governo non ottiene la fiducia iniziale, sarà comunque quest’ultimo a dover gestire il periodo elettorale e firmare il decreto di scioglimento delle Camere. 
Se la sente di formulare una previsione? 
«Non me la sento di formulare una previsione relativamente ai prossimi sviluppi. In questo caso, mi sembra proprio che la realtà potrebbe superare la fantasia». 

Papa Francesco, un buon inizio

E' tempo di grandi cambiamenti: lo si è visto anche per l'elezione del Papa. C’è stata solo una fumata nera, dopo l''extra omnes", e la Chiesa cattolica, tuttora una grande, complessa, fondamentale realtà, ha eletto pontefice, l'argentino Jorge Bergoglio, adesso papa Francesco, anche se lui ha sottolineato molto l'essere "vescovo di Roma". Quasi una sottolineatura del legame con una comunità: un gesto ecumenico, e forse in polemica con certa Curia. Ma interpretare i misteri vaticani non è così semplice. Si tratta deI primo pontefice di nome Francesco nella storia bimillenaria della Chiesa: e chissà che il nome del santo di Assisi non sia stato scelto per dare un segnale forte della necessità di tempi e stili nuovi anche sul soglio di Pietro. Papa Francesco, che dicono di abitudini spartane, ha rifiutato la croce d'oro, ha scelto di non sedersi sul trono e ha pagato il conto della camera in cui aveva soggiornato. Sono un segno della complessità dei tempi e degli eventi anche i timori di un suo coinvolgimento, seppure indiretto, nei fatti terribili della dittatura argentina che insanguinò quel Paese negli anni '70. Sta di fatto che un grande teologo della liberazione come Leonardo Boff ha dichiarato la sua felicità per l'elezione di Jorge Bergoglio: sarà la primavera dopo il duro inverno. Insomma, un nuovo stile, nuovi comportamenti: non saranno sufficienti, da soli, per contrastare gli scandali, finanziari, gestionali, sessuali, ma pare un buon inizio. Forse dovrebbe farne tesoro anche l'altro lato del Tevere, che ha chiesto a tutti di fare sacrifici, e che solo ora pare iniziare a guardare dalle proprie parti. Staremo a vedere.
Daniele Tamburini

domenica, marzo 10, 2013

Ma quale web, la gente ha voglia di parlare




Mi ritengo una persona semplice, e come tutti, penso, mi aspettavo semplicemente che dalle elezioni uscisse una solida maggioranza, qual che fosse, in grado di agire per il bene del Paese, nella convinzione che il bene del Paese sia anche il mio e quello della gente che conosco, con cui lavoro, quella che vedo tutti i giorni, che incontro, che ascolto. Il bene comune, perché siamo e facciamo parte di una comunità, non siamo una semplice sommatoria di individui. Così non è stato, lo sappiamo bene, e c’è una grande incertezza. E anche qualcosa che capisco poco. Si dice da più parti che sulla scena politica sono emersi molti fattori nuovi. Il primo e il più grande è certamente l’affermazione del Movimento 5 Stelle, e poi i molti volti nuovi in Parlamento, tra cui più donne, la fine della carriera di personaggi inossidabili come Gianfranco Fini, eccetera. Intanto, emerge poco il dato della crescita continua dell’astensione, che ha toccato il 25%, un quarto del corpo elettorale. Poi, sarà che ci sono grandi novità, ma, in questi giorni, mi sembra che si stia svolgendo, con protagonisti nuovi, una ennesima edizione della “melina” delle coalizioni post-elettorali. Bersani offre, Grillo grida, però poi parla di Crocetta e della Sicilia, poi dice che, in realtà, il modello Sicilia non esiste. La direzione Pd ragiona sulla batosta dei 3 milioni di voti in meno, pensa a come uscirne e dice: mai più con il Pdl, però Renzi se ne va, e, anche se la posizione del segretario è stata votata all’unanimità, c’è un grosso tintinnar di sciabole, da quelle parti. Il Pdl, dopo l’euforia del primo momento, ha fatto bene i conti, ha capito di aver perso 6 milioni e 600mila voti e sta cercando una strada; Berlusconi freme come se sentisse franare il terreno sotto i piedi. E il Paese? La battuta che circola di più è: senza governo, senza Papa, tra poco senza presidente della repubblica, ma che sta succedendo? Tanto smarrimento, tanta confusione, tanta preoccupazione, solida, fondata, ma ho notato una cosa: se prima tutti andavamo di corsa, non c’era tempo neppure quasi per salutare, nella frenesia di muoversi, concludere, serrare i tempi, ora la gente ha tanta, tanta voglia di parlare. Quasi che la paura che viviamo sia troppo forte per essere sostenuta in solitudine. In questi giorni incontro molta gente, imprenditori, commercianti, artigiani… tutti hanno una gran voglia di parlare, principalmente della crisi è ovvio. Ma questo è positivo, è un modo di stare nella comunità che dovremmo mantenere e valorizzare: è bello parlare guardando negli occhi l’interlocutore, ti dà un senso di condivisione che il web non potrà mai dare. Si parla molto di più, della difficoltà dei tempi, dei timori, ma anche delle speranze, che sono deboli, ma ci sono, ci devono essere. Ci devono essere. Altrimenti, senza speranza, che vita sarebbe?
Daniele Tamburini

sabato, gennaio 26, 2013

AAA, buoni marinai cercasi


Il prossimo lunedì si svolgerà, in tutto il Paese, la Giornata di Mobilitazione Nazionale indetta da Rete Imprese Italia, a favore della crescita. Le ragioni di artigiani, commercianti e piccoli imprenditori, che da troppo tempo subiscono la recessione, e che hanno bisogno di futuro, di speranze vere, di prospettive, di crescita. Nel nostro territorio, nel 2012, 500 imprese hanno chiuso i battenti. La crisi colpisce tutti, e in special modo quelle realtà produttive dell’economia che vivono prevalentemente di domanda interna. Monti - dicono - ha messo in sicurezza i conti, ma ora serve altro. Hai voglia di dire: innovazione, ci vuole innovazione. Serve tempo, e serve denaro. E cosa abbiamo, invece? Una pressione fiscale di oltre il 56% per i contribuenti in regola, una burocrazia che richiede ad ogni impresa 120 adempimenti fiscali e amministrativi all’anno, uno ogni 3 giorni, e un sistema del credito che nell’ultimo anno ha ridotto di 32 miliardi l’erogazione di finanziamenti alle aziende, preferendo acquistare titoli di Stato: evitando rischi ma venendo meno a quella che un tempo era la prerogativa degli istituti di credito. Cresce la convinzione che occorra davvero una grande banca pubblica che torni a sostenere imprese e famiglie, contrastando quella situazione anomala che ha consentito ad alcune banche di fare “cartello” facendo lievitare oneri e costi, in alcuni casi al limite dell’usura. E qui, si inserisce, notizia degli ultimi giorni, il caso Monte dei Paschi. Quanto si è esposta, questa banca, in operazioni avventate e in linee di credito aperte ai "soliti noti"?. Possibile che questo sia potuto accadere, e che, al contrario, ci siano imprenditori che devono penare per avere poche migliaia di euro? Sono storture, disequilibri intollerabili. In Islanda hanno lasciato che alcune banche fallissero… adesso, da quelle parti, il Pil viaggia al +3%. Tra poco voteremo. Abbiamo bisogno di una classe dirigente in grado di riportare la situazione nell’area del buonsenso e della concretezza contrastando quella finanza speculativa che ci ha trascinato in questa situazione drammatica. Chi vorrà e potrà rimettere la barra del timone dritta?

Daniele Tamburini

sabato, dicembre 01, 2012

Non scherziamo con la salute


Che cosa dovrebbe assicurare lo Stato? Essenzialmente, tre cose: il diritto al lavoro, il diritto all'istruzione, il diritto alla salute. Ora, il lavoro, nel nostro Paese, è allo stremo. Un'emorragia continua di posti, uno stillicidio di licenziamenti, di imprese che chiudono. Il premier insiste: ci sono segni di ripresa, anzi la vedremo nel 2013. Speriamo e lavoriamo perché questo possa accadere. Intanto, sarà un Natale durissimo per molti. E la scuola? Disastrata, senza fondi, ridotta all'osso. Gli studenti e i docenti vanno in piazza, e protestano. Nei convegni e negli incontri i politici dicono loro: siete il futuro del Paese, contiamo su di voi. Sì, ma con quale futuro? Con quali prospettive? Ma veniamo alla sanità, la sanità pubblica, punto molto dolente. Il premier Monti, giorni fa, ha lanciato un allarme: “ La sostenibilità futura del Servizio Sanitario nazionale potrebbe non essere garantita". Ho pensato al fatto che una delle poche certezze della nostra esistenza era il servizio sanitario nazionale. Ho pensato alla paura ed all'incertezza di chi si ammala e dei parenti, a cui forse dovrà aggiungersi la paura e l'incertezza sulla possibilità' di curarsi. Però, poi, Monti ha detto di essere stato male interpretato e che nessuno vuole privatizzare la sanità. Una marcia indietro? Un vezzo ereditato dal suo predecessore? Il metodo del bastone e della carota? Non è che si vuol fare come quel famoso re dell’antichità, Mitridate, che si immunizzava dal veleno assumendone piccole dosi quotidiane? Non è che, con questi annunci, ci vogliono assuefare al timore, all'incertezza, alla rassegnazione? Caro premier, non si scherza col fuoco. Non si scherza con la salute. Non si scherza con la vita. 

Daniele Tamburini

sabato, novembre 24, 2012

Monti non è candidabile … Per fortuna!


Sei o sette mesi fa, il banchiere dei banchieri, Mario Draghi, dichiarava: “Occorre un patto per la crescita, risanare i conti con il fisco può aggravare la recessione”. Era stato chiaro, anzi chiarissimo. E che cosa è stato fatto nel nostro Paese? Si è tentato di sanare i conti con il fisco. Il risultato? Vediamo un po’. Chi sostiene il governo Monti dice: non si poteva fare altrimenti, Berlusconi aveva lasciato il Paese sull’orlo del precipizio, anzi già con un piede dentro, la credibilità internazionale dell’Italia era sottozero, in inversa proporzione allo spread, che toccò quota 574, una follia. Questi elementi sono tutti veri, ma c’è un grande “ma”, e sta in quelle parole di Draghi. Il concetto, tra l’altro, è semplice. Se non c’è crescita, non aumentano le risorse di imprese e famiglie. Se si agisce solo sulla leva del fisco, quando le tasche dei più saranno proprio vuote – e ci siamo pericolosamente vicini – non ci sarà più niente da spremere. Occhio che il rigore non diventi rigor mortis. Dice: non ci sono risorse. È il mantra del governo: non ci sono risorse per detassare le tredicesime, non ci sono risorse per evitare l’aumento dell’IVA, non ci sono risorse per il fondo per le politiche sociali (ha detto la Fornero: “Sono disperata”. Si figuri noi, cara ministra), non ci sono risorse per risanare Pompei, non ci sono risorse per tutti gli esodati. Però ci sono per acquistare gli F35 (l’acquisto ci impegna da qui al 2017, con un costo per aereo che va da 99 a 107 milioni di euro). E lo spread è comunque alto, e il debito pubblico alimenta se stesso. Caro premier Monti, così non va. Ci aspettavamo una vera rottura con il passato che non è avvenuta. Francamente ci ha deluso. Sicuramente il suo governo ha restituito credito al nostro Paese, garantito nei confronti dell’Europa, dei mercati eccetera, ma a quale prezzo? Sono state tutelate le banche, gli interessi forti, i veri gangli del potere. Le famiglie e le imprese sono allo stremo. Il ceto medio non esiste praticamente più, si sta proletarizzando. Senza ceto medio non c’è possibilità di un Paese “normale”, efficiente, produttivo. Egregio Dottore, le siamo riconoscenti per averci restituito credibilità, ma ora lasci il campo, ora c'è bisogno di altro, ora c’è bisogno di scelte forti, coraggiose, politiche che diano impulso, che diano speranza, che alimentino la crescita, perché di inflazione non si muore, ma di disoccupazione, sì. Per fortuna che lei non è candidabile…

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 27, 2012

Non si ricandida


Fu vera gloria? Si chiedeva Alessandro Manzoni, commemorando Napoleone Bonaparte, nell’ode che tutti noi abbiamo imparato a memoria: Il cinque maggio. Un salto spericolato, il nostro, che però, siamo certi, piacerebbe al personaggio... Rammentate quando indulgeva a paragoni di stampo divino? L’unto del Signore. Possiamo chiederci, riguardo a Silvio Berlusconi: fu vero abbandono? Lui giura di sì. La condanna a quattro anni, forse attesa, avrà condizionato la decisione? Comunque ha detto che non si ricandida: Intende fiancheggiare, consigliare, forse proporre un suo candidato a leader del Pdl. Più che un passo indietro, un passo di lato: beh, sempre meglio che trovarselo alle spalle. Battute a parte, certo è che sembrano passati secoli: il presidente imprenditore, il presidente operaio, il presidente cantante, il presidente tifoso, il presidente campione di virilità, e via e via. I motivi? La fascinazione che ha esercitato, nel bene e nel male, sugli italiani si è edulcorata? A sentire in giro sembra proprio di sì, anche tra chi, per anni, lo ha osannato. Il clima è del tutto diverso: anche a livello di immagine, è senz'altro più indicato il volto austero di Monti. Potrebbe ancora infondere le speranze del passato, l'illusione di un mondo in cui, se non proprio tutti, molti possono farcela, fatto di denaro che corre, alleanze, a volte, sui generis, e lustrini e paillettes? Difficile dirlo, ma gli ultimi sondaggi sono spietati. Di certo, è un uomo anziano, e i TG lo mostrano quasi semiaddormentato in auto. Guardandolo nell’ultimo messaggio video mia moglie ha detto, impietosamente: ”Sembra finto, di plastica”. Comunque, vedremo. Il personaggio, si sa, è capace di riservare molte sorprese. Al momento, nel centrodestra manca un Matteo Renzi (anche se alcuni dicono che potrebbe andare bene per entrambi gli schieramenti ... Ma forse, sono malignità). E adesso? Alfano, Santanchè, Galan? Mah… Fu vero abbandono? Non ne sono del tutto convinto.

martedì, ottobre 02, 2012

«Purtroppo l’individualismo ha seppellito l’etica» Intervista a don Vincenzo Rini


di Daniele Tamburini


Indigna che la politica sottovaluti il malaffare": è uno dei passaggi più decisi della prolusione tenuta, pochi giorni fa, dal cardinale Angelo Bagnasco, presidente della CEI, nella prolusione al Consiglio Episcopale Permanente. Il riferimento più ovvio e più vicino è lo scandalo che ha travolto la Regione Lazio: "Dispiace molto - ha detto il cardinale – che anche dalle Regioni stia emergendo un reticolo di corruttele e di scandali, inducendo a pensare che il sospirato decentramento dello Stato in non pochi casi coincide con una zavorra inaccettabile". Secondo Bagnasco, il fatto "che l’immoralità e il malaffare siano al centro come in periferia non è una consolazione, ma un motivo di rafforzata indignazione, che la classe politica continua a sottovalutare. Ed è motivo di disagio e di rabbia per gli onesti ... possibile che l'arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?". Parole di grande durezza. Le commentiamo con don Vicenzo Rini, direttore de La Vita Cattolica e presidente Sir - Agenzia di informazione della Conferenza Episcopale Italiana". 
Don Rini , cosa pensa delle parole del cardinale Bagnasco? Occorrerebbero, ha detto il cardinale, "competenza e autorevolezza riconosciuti". Qual è, secondo lei, la strada per una "buona" politica, per una corretta amministrazione? 
Condivido in pieno quanto affermato dal presidente della Conferenza Episcopale Italiana, come appare anche dall'editoriale di”Vita Cattolica” di questa settimana. La politica buona ha bisogno di persone, non di "magatelli" o di truffaldini, come oggi vediamo emergere sempre più nelle varie istituzioni giorno dopo giorno. Credo che la politica non buona nasca anzitutto da un humus culturale nel quale l'individualismo ha seppellito l'etica. Ognuno è legge a se stesso. Tutto ciò che interessa a me o mi è utile, mi è anche lecito. In questo fango culturale diffuso, è chiaro che anche chi giunge nelle istituzioni, se non si è formato a una visione etica sana, sarà tentato di approfittarne per fare soldi, visto che nella concezione corrente i soldi danno la felicità. Quindi la prima strada per una buona politica è quella di rifondare decisamente nel Paese un forte impegno per ritornare a un'etica della responsabilità, dell'onestà, del servizio. Connessa con questa è l'altra strada: quella della riforma dei partiti e del loro "personale". È ora di smetterla di candidare persone arriviste, disponibili a tutto pur di fare carriera; come è ora di smetterla di candidare uomini e donne che hanno come unica qualità quella di essere fedeli, se non addirittura servi, dei capi; la candidatura non può essere concepita come premio dato dai capi partito a chi gli ha fatto dei piaceri, o gli ha dato grandi regali, se non peggio ancora... Di cortigiani in politica ne abbiamo troppi. I partiti devono candidare persone che hanno dimostrato, a partire dal basso, di cercare il bene comune senza interessi personali, persone che si sono preparate al servizio politico studiando, servendo, pensando; insomma formandosi a un impegno da vedere come vocazione. Non per nulla la Chiesa, a partire dal grande papa Paolo VI, insegna che la politica è un'altissima forma di carità. Carità verso il Paese, non carità del Paese verso se stessi. Donare e donarsi, non prendere. Servire il Paese, non servirsene. 
Non vogliamo entrare più di tanto nella questione dei rapporti tra potere temporale e potere spirituale, ma, secondo lei, che ruolo ha la Chiesa, oggi, nel nostro Paese, per contrastare un certo degrado della politica e la situazione di crisi gravissima? 
I rapporti tra potere temporale e potere spirituale sono ben chiari da tempo, definitivamente illuminati dall'insegnamento del Concilio Ecumenico Vaticano II (di cui quest'anno ricorre il mezzo secolo dall'inaugurazione). Il ruolo della Chiesa oggi è duplice. Anzitutto quello della formazione delle persone a un'etica del servire, della responsabilità personale e sociale. E su questo oggi davvero credo che già faccia molto, anche se il suo impegno va contro corrente per cui non sempre è compreso e apprezzato dalla cultura dominante. In secondo luogo, il ruolo di una libertà critica verso la politica, i politici e i governi. La Chiesa non si può e non si deve alleare con nessun partito, con nessun politico, con nessun governo. Perché la Chiesa non è né di destra, né di sinistra, né di centro. È invece di sopra: guarda, osserva e dice il suo parere. Se un governo fa leggi che la Chiesa ritiene a servizio del Paese, certamente lo loda. Ma se il giorno dopo, lo stesso governo fa leggi che la Chiesa, per i principi non solo religiosi, ma anzitutto antropologici, ritiene negative, deve in piena libertà dire il suo dissenso. La sua libertà critica interessa anche il giudizio sul comportamento dei politici, che devono essere esempio per i cittadini. Insomma, la Chiesa – e per Chiesa non intendo solo il Magistero, Papa e vescovi, ma tutti i cristiani – deve conservare sempre la sua libertà di giudizio e di azione: collabora volentieri con tutte le istituzioni dello Stato, senza rinunciare mai alla sua libertà che le viene dall'essere fondata sul Vangelo. La libertà della Chiesa non è in vendita. 
Un commento su questa frase del cardinale: "I giovani sono il nostro maggiore assillo, i giovani e il loro magro presente"...
Commento brevissimo: ai giovani oggi chi pensa? Conosco ragazzi anche più che trentenni che hanno studiato realizzando successi di alto livello e che poi si ritrovano disoccupati. Conosco altri giovani che trovano sì il lavoro, ma in condizioni che non rispettano la loro dignità, quasi ricattati: se vuoi c'è questo, a queste condizioni, con una miseria di stipendio: se non ti va, arrangiati. Senza dimenticare il dramma delle assunzioni sempre temporanee, che sembrano una grazia inizialmente, ma a lungo andare creano situazioni di grave disagio personale. Davvero magro è il presente di molti giovani in questi anni. Oggi, pur nella difficile situazione economica del Paese, occorre che il problema giovani sia affrontato, promuovendo leggi che possano favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro. Se i giovani restano senza lavoro a lungo, rischiano di perdere speranza per il futuro, e questo potrebbe rivelarsi un dramma. 
Il presidente della CEI ha anche parlato dello "spettro dell'astensione": è un timore fondato? 
Fondatissimo: sempre più sento persone che hanno votato in ogni occasione, magari turandosi il naso, dichiarare che l'anno prossimo, se i partiti non cambiano rotta, non andranno a votare. C'è una situazione di sfiducia nella politica o, magari, perlomeno negli attuali politici e partiti, tutti giudicati negativamente. E purtroppo, anche in questi giorni, da molte istituzioni giungono notizie talmente scandalose da fare pensare che l'antipolitica sia costretta a crescere di giorno in giorno. E la colpa di questo, lo sappiamo, non è della gente comune, ma di molti politici (e partiti). Se la maggioranza degli italiani l'anno prossimo non si recasse a votare, certo i partiti si spartirebbero ugualmente i seggi, ma con quale rappresentatività? Davvero sarebbe la democrazia a risentirne gravemente. Si tratterebbe di una democrazia dimezzata.

sabato, settembre 08, 2012

Intervista al professor Francesco Sylos Labini: «Occorrono investimenti pubblici per la ricerca»


Tra pochi giorni inizieranno il nuovo anno scolastico e il nuovo anno accademico. Scuola e università: pare quasi una banalità sostenere che un Paese che intenda inserirsi nella sfida della complessità contemporanea abbia grande necessità di una scuola e di un’università funzionanti, come e forse più delle materie prime e dell’energia. Eppure, questa sorta di “banalità” non riesce ad avere risposte adeguate, nel nostro Paese. Da noi, ormai, non si contano più gli interventi di riforma legislativa, cresciuti su se stessi spesso in maniera caotica, operati in modo rigorosamente bipartisan dai vari governi che si sono succeduti, anche se di orientamento politico diverso. Eppure, si tratta di interventi che hanno scontentato tutti, in modo davvero unanime: dai docenti ai ricercatori, ai genitori, agli studenti. Uno stato di disagio diffuso, alimentato anche dai tagli progressivi ai fondi destinati all’istruzione, dalla questione del precariato, dallo stato dell’edilizia scolastica e degli atenei, dalla scelta dei sistemi di reclutamento e di valutazione. Le ultime, accese polemiche si sono verificate al recente annuncio di un “concorsone” a cattedre per gli insegnanti delle scuole. Ne parliamo con Francesco Sylos Labini, ricercatore presso il Cnr, visiting professor presso il Dipartimento di Fisica della Università Cattolica degli Studi di Brescia, dove insegna Astrofisica, autore (con Stefano Zapperi) del volume “I ricercatori non crescono sugli alberi”.
Professore, so che non è facile, ma proviamo: come definirebbe la nostra scuola e la nostra Università?
«La nostra università sta vivendo, in questi anni, una situazione molto critica: ancora diverse parti funzionano bene, ma i legislatori e la politica stanno facendo di tutto per distruggerle. Già prima del ministro Gelmini, il sistema universitario non godeva di buona salute; poi è arrivata lei con una riforma terribile, peggiorando la situazione. Infine, ora, il ministro Profumo sta dando il colpo di grazia all'università. Tutto questo accade perché in Italia manca la consapevolezza culturale e politica del fatto che una società avanzata come la nostra abbia il dovere di finanziare università e ricerca. Ricordiamo ad esempio quando Berlusconi era in carica come presidente del Consiglio: gli chiesero le motivazioni dei tagli alla ricerca e lui rispose “perché dobbiamo pagare uno scienziato quando facciamo le scarpe migliori del mondo?”. Questo dimostra che i docenti e i ricercatori sono visti solo come i "baroni" che sistemano mogli, amanti e figli, o come degli scienziati che risolvono problemi astrusi. Accanto a tutto ciò, in Italia abbiamo una classe imprenditoriale che non ha la cultura della ricerca e dell'innovazione. Si tratta infatti di investimenti ad alto rischio e che hanno un ritorno solo sul lungo periodo, mentre il privato vuole vedere risultati concreti nell'immediato. E' questo uno dei motivi per cui il compito di fare questo tipo di investimenti dovrebbe spettare prioritariamente allo Stato».
Il ministro Profumo sostiene che il Governo stia procedendo ad una valutazione oggettiva e corretta della qualità delle nostre Università e dei suoi docenti …
«Innanzitutto, voglio far notare che l'Agenzia di valutazione che era stata istituita con la riforma Gelmini, e che sta lavorando ancora adesso, utilizza criteri di valutazione che non esistono in nessun altro paese al mondo. Dare un giudizio al settore universitario è un'operazione molto delicata, che tocca la libertà del ricercatore, e se fatto male può causare danni a interi settori di ricerca; per questo dovrebbe essere svolta da persone veramente preparate. Invece l'Agenzia italiana è affidata a gente incapace e irresponsabile. Con il rischio che scompaiano un paio di generazioni di ricercatori, cosa che peraltro sta già accadendo, un po' perché le Università non hanno risorse per assumere, un po' perché i pochi che verranno assunti verranno scelti con criteri che a livello internazionale sono stati screditati. Questa perdita comporterà, purtroppo un buco in alcuni campi di ricerca, per cui le competenze attuali non potranno venir trasmesse e verranno irrimediabilmente perdute. Oggi vi sono campi in cui la ricerca italiana è ancora vincente, ma rischiamo di perdere anche quelli».
Alla luce di tutto questo, qual è lo stato della ricerca nel nostro Paese?

«Innanzitutto bisogna sfatare il mito delle posizioni in classifica dell'università italiana rispetto agli altri paesi. Vi sono infatti classifiche internazionali in cui risultiamo sempre agli ultimi posti, ma esse non si basano solo sulla qualità dell'insegnamento, ma anche su parecchi indicatori infrastrutturali, in cui in effetti l'Italia va molto male. Nelle classifiche effettuate invece solo sulla base delle pubblicazioni e delle citazioni, che sono poi i veri parametri di misurazione per la qualità della ricerca, l'Italia è settima nel mondo, con un sistema universitario che si attesta quindi come efficiente, specialmente in determinati settori, come matematica, biologia, fisica, scienze informatiche. Un'efficienza dimostrata dal fatto che quando i nostri giovani laureati fanno concorsi all'estero li vincono molto spesso. Tuttavia questa tendenza positiva rischia di invertirsi, proprio perché in Italia non si investe nella ricerca, e dunque i ricercatori emigrano. Con tutto ciò non possiamo negare che nel nostro Paese vi siano delle inefficienze e delle persone che davvero non lavorano, ma sono legate prioritariamente al settore delle professioni, come medicina o legge. Questo perché vi sono docenti con il doppio lavoro, che tengono le cattedre ma poi non insegnano ».
La valutazione, la meritocrazia, la trasparenza… concetti che vengono continuamente ribaditi. Viene il sospetto che parlarne tanto dissimuli l’incapacità o la non volontà di procedere in questa direzione. Quali strumenti sarebbero necessari?
«Non c'è nulla da inventare, in realtà: tutto è già stato sperimentato. Basterebbe andare a guardare come funzionano le cose in paesi simili al nostro, come la Francia o l'Inghilterra, e vedere in che modo lì hanno risolto tali problemi, a partire dalla valutazione. Perché in Italia si devono inventare dei criteri che non esistono altrove? Ad esempio, sarebbe sufficiente responsabilizzare le scelte: chi decide di assumere una persona, dovrebbe anche essere responsabile dei risultati da essa ottenuti, e del suo comportamento».

Da Scilipoti a Giggino a’ purpett


Il mondo è bello perché è vario: lo diceva sempre mio nonno. Un detto che è stato sempre vero, ma mai, forse, come in questi ultimi anni. Abbiamo visto succedersi tutto e il contrario di tutto. Gli eccessi di politica e l’antipolitica. Gli sprechi e la crisi. Mi dicono che in molte amministrazioni pubbliche si stiano invitando i dipendenti (che, magari, già lo fanno per educazione propria) a non sprecare, a spegnere la luce nelle stanze non usate, a stampare su carta il meno possibile. Molto bene. Però diciamocelo: quante auto blu vediamo ancora in giro, nonostante le “strette” più volte annunciate? Ragionare così non è antipolitica, ma lotta al privilegio. Tornando alla grande varietà del mondo: abbiamo il linguaggio politichese di un D’Alema e di un Alfano, e le urla invasate di Grillo. Ma non solo: pensiamo all’”eroe” del giorno, Giggino a' purpett, cioè l’onorevole Luigi Cesaro, il deputato, presidente della Provincia di Napoli. Coinvolto anche in una indagine sulla camorra. Bene, in occasione del vertice mondiale dell'Onu sulle città, l’on. Cesaro, davanti a una platea di autorità internazionali, ha fatto un intervento, che sta spopolando su youtube, definito da qualcuno “degno di Totò”. Sì, ma di Totò quando recitava le sue macchiette migliori. In realtà, una cosa penosa, da nascondersi dalla vergogna. Inutile: finché avremo degli incompetenti nei posti di potere, difficilmente potremo fare sostanziosi passi in avanti. Speriamo di avere la possibilità alle prossime elezioni di poter scegliere coloro che ci dovrebbero rappresentare. Abbiamo un governatore italiano della Bce, Draghi, che si sta battendo con intelligenza e determinazione per la salvezza dell’euro e delle economie europee; abbiamo un premier, Monti, che, comunque la si pensi, è ascoltato e rispettato. Ma, allo stesso tempo, siamo stati la patria del bunga bunga, di Scilipoti e ora di Giggino a' purpett. Così non può andare. Un mondo vario in questo modo, non va.

sabato, settembre 01, 2012

Intervista al professor Sdogati: «Contenere il deficit, un pretesto per privatizzare il patrimonio pubblico»

"La crisi dei debiti pubblici non è crisi economica, bensì crisi della politica"

di Daniele Tamburini
Agosto è appena finito, ma, nonostante le molte tensioni politiche ed economiche che lo hanno attraversato, non si è verificata la temutissima crisi devastante sui mercati e sul rendimento dei nostri titoli di Stato. Certo, lo spread con i titoli tedeschi ha un andamento altalenante. Certo, diversi soggetti, in Germania, stanno dirigendo una selva di duri colpi nei confronti di Mario Draghi, il governatore della Banca Centrale Europea, reo di aver dichiarato, a inizio agosto, che la Bce era disposta ad agire, se necessario, con misure eccezionali contro la crisi, anche mediante l’acquisto sul mercato del debito pubblico dei Paesi in difficoltà. Uno per tutti, il presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, ha criticato questa idea, definendola, in un'intervista al settimanale Der Spiegel, come «un finanziamento degli Stati con una stampatrice di banconote ». Di più: il finanziamento della Bce potrebbe indurre alcuni Paesi «all'assuefazione, come se fosse una droga». Una critica assai pesante, quindi. Sullo sfondo, la imminente campagna elettorale tedesca, l’incertezza politica in Italia, le prossime elezioni negli USA, il cambio di guardia politico in Francia, la situazione drammatica della Grecia, la recessione europea e il rallentamento dell’economia globale eccetera. Una situazione di grande complessità, in cui il nostro Paese cerca di procedere faticosamente, sperando di intravedere una luce in fondo al tunnel: luce che, peraltro, è stata annunciata dal governo, in testa il premier Monti. Parliamo di questi temi con il professor Fabio Sdogati, docente di Economia Internazionale presso il Politecnico di Milano, autore di molte pubblicazioni sul tema e del sito www. scenarieconomici.com. 
Professor Sdogati, come mai questo agosto è stato meno “infuocato” del previsto, sul piano economico-finanziario? 
Lungi da me dire che era prevedibile, ma certo è spiegabile. Si ricorderà certamente il periodo che io ho definito della ‘diarchia Merkel-Sarkozy’, un periodo in cui i paesi membri dell’area euro erano divisi in buoni e cattivi, formiche e cicale, sciocchezze del genere. Poi, da novembre scorso in avanti, sono arrivati Monti e, da poco, Hollande. E la diarchia, che comunque stava perdendo Sarkozy per ragioni di politica interna francese, cominciava a perdere sistematicamente di potere. Il lavoro che il Presidente Monti ha fatto, e sta facendo, sul piano internazionale è preziosissimo. La sua capacità di smussare, ricucire, ricomporre, intravedere terreni di compromesso è veramente notevole, e sta dando frutti visibili. Ciò che voglio dire è che i cosiddetti ‘mercati’, che altro non sono che le banche, gli intermediari finanziari, i fondi di investimento, stanno cominciando ad intravedere l’emergere di una leadership europea progressivamente sempre meno succube ai loro voleri, come era vero invece ai tempi della diarchia, e dunque le attività speculative stanno rallentando per ampiezza e intensità. La situazione politica internazionale e quella interna ai singoli Stati che peso ha in questa fase? Sostengo dall’autunno del 2009 che la cosiddetta ‘crisi dei debiti pubblici’ è non crisi economica, bensì crisi della politica. Abbiamo un’Unione Europea che, a causa degli egoismi nazionalisti dei governanti dei paesi membri, ha smesso di progredire sulla strada dell’integrazione e dell’unità. L’aver voluto distogliere l’attenzione dalla globalità della crisi alla cosiddetta ‘crisi greca’ ci ha fatto perdere tempo prezioso e opportunità preziose per il rilancio dell’economia europea. 
Che ne pensa delle inedite “promozioni” che sono arrivate, per l’Italia, dalle agenzie di rating? 
Per poter rispondere a questo quesito occorre aver chiaro che i giudizi delle agenzie sono prodotti in vendita. In questo essi assomigliano a qualunque prodotto e servizio offerto a mercato. Chi acquista i servizi delle agenzie di rating? Le imprese, ad esempio, che fanno valutare i propri titoli obbligazionari prima di emetterli; i fondi pensione e i fondi di investimento, i quali vogliono conoscere la valutazione delle agenzie prima di decidere se aggiungere un certo titolo al proprio portafoglio. E fin qui non c’è nulla di strano. Ciò che da potenza alle agenzie è il fatto che i gestori dei fondi sono obbligati a seguire le loro indicazioni, vale a dire ad acquistare soltanto quei titoli che sono caratterizzati da un certo rating minimo. E’ evidente come una variazione del rating di un certa obbligazione, pubblica o privata che sia, induce, grazie a questi automatismi, flussi di acquisti e di vendite di enorme valore finanziario. Ma non basta. Il vero problema, infatti, è che questi stessi meccanismi adottati dai fondi di investimento sono stati adottati dalle stesse banche centrali. Fino al maggio del 2011, ad esempio, la Bce dava credito soltanto a quelle banche che offrissero come collaterale, cioè come ‘garanzia’, titoli con un certo rating. In altre parole, le istituzioni hanno concesso alle agenzie, ovvero a degli enti privati, il modo di vincolare le proprie azioni. È questo il vero dramma, la vera capacità distruttiva dei giudizi delle agenzie. Per rispondere puntualmente al quesito: i giudizi negativi degli anni passati hanno contribuito molto a generare una recessione che sta devastando le economie del sud Europa –e che sta cominciando ad attaccare anche l’economia tedesca. Anche se dovessero aver cambiato direzione, il loro contributo alla ripresa sarà molto, molto marginale: poiché la sfiducia è stata ormai disseminata con grande cura; e dovranno passare anni prima che si torni alla situazione pre-2007. 
Il suo parere sull’attivazione dello scudo antispread? Alcuni (citiamo, tra gli altri, Ricardo Levi) sostengono che ostinarsi nel rifiutarlo sia pericoloso... 
 Il cosiddetto ‘scudo antispread’ è uno tra i tanti strumenti di intervento ideati per contenere la violenza con cui banche e fondi di investimento hanno approfittato delle carenze nella governance dell’Unione Europea a partire dall’agosto del 2007. E’ uno strumento complesso, nuovo, e ovviamente ciascun governo nazionale lo vorrebbe (o non lo vorrebbe) veder operativo secondo i propri interessi. 
L’attivazione presupporrebbe veramente una perdita di sovranità nazionale? 
Senza alcun dubbio! Ma non è forse questo che i padri fondatori dell’Unione Europea avevano in mente? Non è forse vero che il percorso iniziato con il Trattato di Parigi del 1951 doveva andare proprio in questa direzione, di potere nazionale decrescente e poteri crescenti degli organi comunitari? Questo era, ed è tutt’oggi, il sogno. E, ironia, oggi è anche una necessità: a meno che non si decida di morire schiacciati tra Cina da un lato e Stati Uniti dall’altro, divisi in tanti ‘paesini’ ciascuno con la sua ‘politichina’. Mi chiedo spesso: chi ha paura della scomparsa dello stato-nazione? Soltanto chi pensa di vivere nel migliore dei mondi possibili, cioè nel migliore dei paesi possibili. Un pensiero piuttosto infantile, non trova? 
Che ne pensa delle varie “ricette” per tagliare il debito pubblico: quella di Alfano, quella Amato-Bassanini, quella di Alberto Quadrio Curzio e Romano Prodi? Tutte basate, comunque, su una manovra che riguarda il patrimonio pubblico… 
Ho affrontato questo problema in due lavori separati: presentai il primo, datato 23 marzo, alla riunione degli alumni del Mip e del Corso di Laurea in Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano; presentai il secondo, datato 23 maggio, ad un incontro a Reggio Emilia. Entrambi i testi sono, ovviamente, disponibili su www.scenarieconomici.com La tesi che sostenevo in quei lavori è che la fanfara assordante circa la necessità di contenere il deficit corrente delle pubbliche amministrazioni altro non è, appunto, che una fanfara. Il cui scopo è chiarissimo da molto tempo a chi abbia voglia di vedere: distogliere l’attenzione dalle operazioni di privatizzazione del patrimonio pubblico. E non parlo, ovviamente, di quattro caserme diroccate o qualche chilometro di spiaggia, come si è dovuto sentire in passato: parlo di privatizzazione delle municipalizzate, della sanità, dell’istruzione. Dal mio punto di vista, tutte le proposte che Lei menziona si equivalgono, poiché in nessuna delle forme proposte, o proponibili, le privatizzazioni saranno in grado di attivare l’uscita dalla crisi. Quantomeno, non per anni a venire. Ciò che aiuterebbe enormemente, invece, è uno strumento che conosciamo da decenni e che ha sempre funzionato: spesa pubblica. Certo, concordo che le condizioni presenti non consentono a governi nazionali dell’area euro di agire individualmente in questo senso, né essi lo farebbero, vista l’ideologia cosiddetta ‘del libero mercato’ che prevale al loro interno e tra i loro consiglieri. Ma pensiamoci: una spinta di spesa pubblica coordinata a livello di tutta l’Unione Europea, come in fondo chiede anche la Commissione Europea, sarebbe un passo enorme tanto nella direzione dell’integrazione che in quella della crescita. Mi permetto di consigliare, a chi ne ha voglia e tempo, l’ultimo libro di Paul Krugman, premio Nobel per l’economia 2008, disponibile anche in italiano. 
Una domanda difficile, che però facciamo sempre: ce la faremo? E a quali prezzi? Davvero si intravede la luce, come dice il premier Monti? 
Credo che la risposta corretta al Suo quesito richieda che si chiarisca anzitutto chi siamo ‘noi’. E al contempo che cosa si intenda per ‘farcela.’ Se per ‘noi’ intendiamo l’esistenza dell’euro, la risposta è: assolutamente si, come è stato ribadito in termini categorici ancora soltanto pochi giorni dal Presidente van Rumpoy, e prima di lui dal Presidente Draghi, e da molte persone serie. L’euro non si discute. Punto. Se invece per ‘noi’ intendiamo l’Italia, allora occorre ricordare che la crisi non è uguale per tutti. La pagheranno relativamente poco i pensionati, la pagheranno durissimamente i giovani, e per decenni a venire; ne usciranno benissimo gli intermediari finanziari. Se poi per ‘farcela’ intendiamo il ritorno ad un tasso di crescita dell’economia accettabile, che consenta il riassorbimento della disoccupazione a livelli pre-2007, la risposta è certamente positiva: ma occorreranno anni e anni perché ciò accada. 
Grazie Professore.