Il Natale, per chi è credente, segna il
momento in cui Gesù Cristo, fattosi uomo,
porta la salvezza della fede al genere
umano e annuncia la buona novella.
E’ il momento in cui si celebrano la nascita
e l’amore materno; è un’occasione di
riconciliazione. La nascita del bambino viene
salutata da un gloria a Dio nell’alto dei
cieli e un augurio che ciascuna donna e ciascun
uomo, al di là della fede, può fare proprio:
“pace in terra agli uomini di buona
volontà”. Questo è il grande messaggio del
Natale. Riflettere su questo semplice, bellissimo
messaggio ci porterebbe a sentirci
“meno in guerra” con gli altri, a riscoprire i
valori fondativi della vita: l’amore, la famiglia,
il senso di comunità, il rifiuto della violenza.
La guerra e la violenza
non sono inevitabili, anche se ci
toccano ormai da vicino. E allora,
iniziamo dal non fare uso
spropositato ed eccessivo di
parole di guerra. Non sentiamoci
sempre “in trincea”, pronti ad una “battaglia”,
certi della “sconfitta” altrui e della
“vittoria” propria. La vita non è guerra continua:
l’altro – che può essere chiunque si
trovi sulla nostra strada - non va comunque
“combattuto” o “guardato con sospetto”.
Dal giorno di Natale, vicino al solstizio di
inverno, nasce una nuova luce: cerchiamo
di essere pronti a coglierla, per una volta
disarmati, accoglienti, attenti. Buon Natale
a tutte e a tutti.
giovedì, dicembre 24, 2015
sabato, dicembre 12, 2015
L’aria è sporca, non solo per lo smog
Banche inaffidabili, controlli inconcludenti. A
quanto ammonta Il fiume di denaro versato negli
anni a tutte le banche, in Italia e in Europa? A
cosa è servito e soprattutto dove è finito? Un
esempio per tutti (i dati sono del Sole 24 ore): dal 2008
al 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche in Europa
sono stati pari a 800 miliardi di euro spesi e 330 recuperati,
con un disavanzo pari al 4,7% del PIL complessivo.
Una follia, una vergogna. Dove sono andati? Nelle tasche
di chi sono finiti? In questa operazione, pare che le banche
italiane registrino un sostanziale pareggio tra le entrate
e le uscite di Stato: ma come la mettiamo con le
notizie di questi giorni? Chi pagherà questi conti? Qualcuno
li ha già pagati, e salati: per esempio, quel povero
signore, pensionato, che si è ucciso perché aveva visto
svanire in un sol colpo i risparmi di una vita, dopo il default
di Banca Etruria (e la Procura ha aperto un fascicolo
per “istigazione al suicidio”). Sapete, può anche capitare
che, per ottenere un fido, ti facciano
sottoscrivere l’acquisto di obbligazioni della
stessa banca, obbligazioni che, oggi, sono
diventate un investimento ad alto rischio.
Alcune persone ne sono consapevoli, ma
molti risparmiatori non vengono informati
adeguatamente, è la stessa Bce a dirlo. Quando finirà
questo andazzo, per cui paga sempre e comunque chi è
alla base della piramide? Quando potremo di nuovo fidarci
di stare in questo mondo senza temere, a ogni piè
sospinto, di essere truffati, e non dal pataccaro per strada,
ma da istituzioni che dovrebbero essere specchiate?
Quando avremo un governo che si preoccupa di come
sta la gente comune, la gente che combatte quotidianamente
con una crisi che, nonostante i proclami, continua
a colpire duro? Quando torneremo a investire su cose
vere, concrete, durevoli, e non su bolle finanziarie piene
solo di aria sporca?
quanto ammonta Il fiume di denaro versato negli
anni a tutte le banche, in Italia e in Europa? A
cosa è servito e soprattutto dove è finito? Un
esempio per tutti (i dati sono del Sole 24 ore): dal 2008
al 2014, gli aiuti di Stato concessi alle banche in Europa
sono stati pari a 800 miliardi di euro spesi e 330 recuperati,
con un disavanzo pari al 4,7% del PIL complessivo.
Una follia, una vergogna. Dove sono andati? Nelle tasche
di chi sono finiti? In questa operazione, pare che le banche
italiane registrino un sostanziale pareggio tra le entrate
e le uscite di Stato: ma come la mettiamo con le
notizie di questi giorni? Chi pagherà questi conti? Qualcuno
li ha già pagati, e salati: per esempio, quel povero
signore, pensionato, che si è ucciso perché aveva visto
svanire in un sol colpo i risparmi di una vita, dopo il default
di Banca Etruria (e la Procura ha aperto un fascicolo
per “istigazione al suicidio”). Sapete, può anche capitare
che, per ottenere un fido, ti facciano
sottoscrivere l’acquisto di obbligazioni della
stessa banca, obbligazioni che, oggi, sono
diventate un investimento ad alto rischio.
Alcune persone ne sono consapevoli, ma
molti risparmiatori non vengono informati
adeguatamente, è la stessa Bce a dirlo. Quando finirà
questo andazzo, per cui paga sempre e comunque chi è
alla base della piramide? Quando potremo di nuovo fidarci
di stare in questo mondo senza temere, a ogni piè
sospinto, di essere truffati, e non dal pataccaro per strada,
ma da istituzioni che dovrebbero essere specchiate?
Quando avremo un governo che si preoccupa di come
sta la gente comune, la gente che combatte quotidianamente
con una crisi che, nonostante i proclami, continua
a colpire duro? Quando torneremo a investire su cose
vere, concrete, durevoli, e non su bolle finanziarie piene
solo di aria sporca?
sabato, dicembre 05, 2015
La fretta che l’onestade ad ogn’atto dismaga
Giusto per sorridere un po’, una volta tanto: l’avete sentita
quella della targa alle biciclette? Il fatto è che non
si tratta di una barzelletta, anche se il contenuto della
storiella è stato più volte rimaneggiato. E’ accaduto
che, nei giorni scorsi, un senatore, tal Marco Filippi, mio conterraneo,
tra l’altro abbia parlato di un emendamento alla riforma
del codice della strada, per cui si prevedevano la targa e il
bollo anche per le biciclette. Ovviamente, è scoppiato un putiferio:
l’Italia è ancora un Paese di ciclisti, che sono insorti. Non
solo, si è scatenata una ridda di battute: a quando la targa ai
tricicli, ai camion giocattolo e, perché no, ai pattini a rotelle?
Puntuale è poi giunta la smentita, almeno parziale: il senatore
ha giurato di non avere mai pensato cotanta mostruosità, ma
solo di prevedere la targa per “le biciclette e i veicoli a pedali
adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone”.
Di nuovo, rispetto al “vecchio” emendamento, c’è la
frase “a pagamento”. A parte il fatto che non mi pare che il
Belpaese pulluli di risciò a pedale, quindi non si capisce bene
l’utilità di tale previsione, la pezza che ci ha messo
il senatore è peggiore dello strappo: ha infatti
dichiarato (cito da una fonte di stampa virgolettata):
«Riconosco che l’emendamento era scritto
male. Ma sono cose che succedono, nella fretta.
Il testo me lo avevano passato i colleghi della Camera
e forse ho peccato di scarso controllo». Eccoci, siamo a
posto. E meno male che, alla Camera ed al Senato, non fanno
interventi a cuore aperto… Lo scarso controllo, da parte di chi
propone leggi e emendamenti che riguardano la comunità, a
mio parere, è colpa grave. Piuttosto, vorrei dire al senatore Filippi
ed ai suoi colleghi della Camera, del Senato, del Governo:
voi che vivete a Roma, la vedete davvero in che condizioni è?
Ci sono stato qualche tempo fa e mi sono impressionato: una
sporcizia, un degrado, una confusione mai viste. E’ iniziato il
Giubileo e offriamo la capitale d’Italia, la Città eterna in queste
condizioni. Forse che quel che serviva a mantenerla decorosamente,
“distrattamente”, è stato mangiato da qualcheduno?
quella della targa alle biciclette? Il fatto è che non
si tratta di una barzelletta, anche se il contenuto della
storiella è stato più volte rimaneggiato. E’ accaduto
che, nei giorni scorsi, un senatore, tal Marco Filippi, mio conterraneo,
tra l’altro abbia parlato di un emendamento alla riforma
del codice della strada, per cui si prevedevano la targa e il
bollo anche per le biciclette. Ovviamente, è scoppiato un putiferio:
l’Italia è ancora un Paese di ciclisti, che sono insorti. Non
solo, si è scatenata una ridda di battute: a quando la targa ai
tricicli, ai camion giocattolo e, perché no, ai pattini a rotelle?
Puntuale è poi giunta la smentita, almeno parziale: il senatore
ha giurato di non avere mai pensato cotanta mostruosità, ma
solo di prevedere la targa per “le biciclette e i veicoli a pedali
adibiti per il trasporto a pagamento, pubblico o privato, di persone”.
Di nuovo, rispetto al “vecchio” emendamento, c’è la
frase “a pagamento”. A parte il fatto che non mi pare che il
Belpaese pulluli di risciò a pedale, quindi non si capisce bene
l’utilità di tale previsione, la pezza che ci ha messo
il senatore è peggiore dello strappo: ha infatti
dichiarato (cito da una fonte di stampa virgolettata):
«Riconosco che l’emendamento era scritto
male. Ma sono cose che succedono, nella fretta.
Il testo me lo avevano passato i colleghi della Camera
e forse ho peccato di scarso controllo». Eccoci, siamo a
posto. E meno male che, alla Camera ed al Senato, non fanno
interventi a cuore aperto… Lo scarso controllo, da parte di chi
propone leggi e emendamenti che riguardano la comunità, a
mio parere, è colpa grave. Piuttosto, vorrei dire al senatore Filippi
ed ai suoi colleghi della Camera, del Senato, del Governo:
voi che vivete a Roma, la vedete davvero in che condizioni è?
Ci sono stato qualche tempo fa e mi sono impressionato: una
sporcizia, un degrado, una confusione mai viste. E’ iniziato il
Giubileo e offriamo la capitale d’Italia, la Città eterna in queste
condizioni. Forse che quel che serviva a mantenerla decorosamente,
“distrattamente”, è stato mangiato da qualcheduno?
sabato, novembre 28, 2015
Combattere il terrore, anche tornando alla quotidianità
La situazione in cui vive il mondo in queste settimane è
pericolosa, anche per i possibili sviluppi. Gli attentati di
Parigi, la caccia al terrorista di Bruxelles, il jet russo
abbattuto dai turchi, tutto ha contribuito a rendere le
nostre giornate ancora più incerte. Se anche papa Francesco
parla di terza guerra mondiale, non c’è da stare allegri. I fatti
accaduti che hanno coinvolto i civili sono stati terribili, proprio
perché hanno riguardato, in maniera tragica, uomini e donne
che vivevano la propria quotidianità. Ma tutto questo non è né
nuovo, né inusitato. Forse per la mancanza di senso storico che
sempre più si avverte (qualcuno parla di “un eterno presente”
in cui siamo immersi), sembra che non ci si ricordi che il terrorismo
è questo: colpire persone normali, “innocenti”, gente
qualunque in ogni dove. Nel nostro Paese, negli anni Settanta,
il terrorismo nero eversivo (coperto da apparati deviati dello
Stato) colpì una banca in cui si recavano piccoli risparmiatori e
agricoltori, una piazza, treni, stazioni ferroviarie. È la radice del
terrorismo, quella di seminare paura, di non far sentire nessuno
sicuro da nessuna parte. È ciò che il terrorismo
vuole. E se volesse, pure, ottenere un altro scopo?
Immersi nell’emergenza, viviamo la nostra
quotidianità assorbiti da queste paure, e tendiamo,
forse, a mettere sullo sfondo altre legittime
preoccupazioni. Forse che i conti pubblici si sono
magicamente sistemati? Forse che stanno riaprendo i tanti,
troppi negozi dalle saracinesche abbassate? Forse che il sistema
del credito è diventato più snello ed efficiente? Forse che
si è ricostituito il sistema produttivo del Paese? Forse che c’è
lavoro, tanto lavoro, con le dovute garanzie e giustamente retribuito?
Forse che no. Direte voi: ma che c’entra, siamo su
piani diversi. Mi sbaglierò, ma la sensazione è che questi tragici
fatti favoriscano coloro che hanno interesse a questo sviamento,
a questo ottundimento. E allora torniamo alla normalità,
dicono che anche così si combatte il terrorismo: diamo ascolto
alle richeste delle categorie economiche espresse nello speciale
economia pubblicato in questo numero.
pericolosa, anche per i possibili sviluppi. Gli attentati di
Parigi, la caccia al terrorista di Bruxelles, il jet russo
abbattuto dai turchi, tutto ha contribuito a rendere le
nostre giornate ancora più incerte. Se anche papa Francesco
parla di terza guerra mondiale, non c’è da stare allegri. I fatti
accaduti che hanno coinvolto i civili sono stati terribili, proprio
perché hanno riguardato, in maniera tragica, uomini e donne
che vivevano la propria quotidianità. Ma tutto questo non è né
nuovo, né inusitato. Forse per la mancanza di senso storico che
sempre più si avverte (qualcuno parla di “un eterno presente”
in cui siamo immersi), sembra che non ci si ricordi che il terrorismo
è questo: colpire persone normali, “innocenti”, gente
qualunque in ogni dove. Nel nostro Paese, negli anni Settanta,
il terrorismo nero eversivo (coperto da apparati deviati dello
Stato) colpì una banca in cui si recavano piccoli risparmiatori e
agricoltori, una piazza, treni, stazioni ferroviarie. È la radice del
terrorismo, quella di seminare paura, di non far sentire nessuno
sicuro da nessuna parte. È ciò che il terrorismo
vuole. E se volesse, pure, ottenere un altro scopo?
Immersi nell’emergenza, viviamo la nostra
quotidianità assorbiti da queste paure, e tendiamo,
forse, a mettere sullo sfondo altre legittime
preoccupazioni. Forse che i conti pubblici si sono
magicamente sistemati? Forse che stanno riaprendo i tanti,
troppi negozi dalle saracinesche abbassate? Forse che il sistema
del credito è diventato più snello ed efficiente? Forse che
si è ricostituito il sistema produttivo del Paese? Forse che c’è
lavoro, tanto lavoro, con le dovute garanzie e giustamente retribuito?
Forse che no. Direte voi: ma che c’entra, siamo su
piani diversi. Mi sbaglierò, ma la sensazione è che questi tragici
fatti favoriscano coloro che hanno interesse a questo sviamento,
a questo ottundimento. E allora torniamo alla normalità,
dicono che anche così si combatte il terrorismo: diamo ascolto
alle richeste delle categorie economiche espresse nello speciale
economia pubblicato in questo numero.
sabato, novembre 21, 2015
Io non lo so
Lo sgomento che deriva dai fatti di Parigi, che poi hanno
coinvolto altre comunità e altri territori, certamente nasce
dalla pietà verso le persone brutalmente assassinate,
ma anche dalla paura e dal senso di impotenza:
che fare? Io non lo so! Reagire con i bombardamenti dei territori
“covo” dell’Isis? Siamo sicuri che sia una misura efficace?
Io non lo so. Oggi ci sono molti strumenti per contrastare una
guerra terrorista, per definizione sfuggente allo scontro in campo
aperto, ma nessuno, mai potrà controllare ogni persona,
ogni bar, ogni ristorante, ogni stazione, ogni stadio, a meno di
trasformare le nostre città e le nostre vite in immense prigioni,
senza contare i costi proibitivi. Quindi, che fare? Questi fatti
tragici sono sicuramente espressione di un disegno feroce e
criminale, ma affondano le radici tanto, forse troppo, nelle politiche
svolte nel passato dal Vecchio continente. Chi sbuffa ad
ascoltare queste osservazioni non capirà mai nulla di ciò che
succede, e capire - capire, non giustificare – è la prima mossa
per reagire. Mi domando, però, anche quanto incidano gli interessi
economici e politici in tutto questo. Chi
finanzia la macchina da guerra terrorista? Chi
vende loro le armi? Altro che svuotare gli arsenali
e riempire i granai, come disse il presidente
Sandro Pertini: il divario tra poveri e ricchi è forte
come non mai e gli arsenali sono pieni di armi da
vendere. Siamo sinceri: come dicevano i latini, pecunia non
olet, il denaro non ha cattivo odore e viene prima di tutto. Penso
alle politiche di intervento, alle guerre umanitarie, alle guerre
preventive, alla ricerca delle armi di distruzione di massa: che
risultati hanno portato? La guerra è spaventosa: non si dovrebbe
pronunciare la parola “guerra” a cuor leggero. Per questo
io ho paura. Ho paura dei fanatici, degli esagitati, di coloro che
sanno tutto, degli esperti di terrorismo che incontro al bar, dei
giustizieri che popolano la rete. Nel 1940, a piazza Venezia un
popolo intero euforico e invasato disse sì alla guerra, non sapendo
nemmeno il perché: i risultati furono morte, macerie,
fame e una devastazione sanguinosa.
coinvolto altre comunità e altri territori, certamente nasce
dalla pietà verso le persone brutalmente assassinate,
ma anche dalla paura e dal senso di impotenza:
che fare? Io non lo so! Reagire con i bombardamenti dei territori
“covo” dell’Isis? Siamo sicuri che sia una misura efficace?
Io non lo so. Oggi ci sono molti strumenti per contrastare una
guerra terrorista, per definizione sfuggente allo scontro in campo
aperto, ma nessuno, mai potrà controllare ogni persona,
ogni bar, ogni ristorante, ogni stazione, ogni stadio, a meno di
trasformare le nostre città e le nostre vite in immense prigioni,
senza contare i costi proibitivi. Quindi, che fare? Questi fatti
tragici sono sicuramente espressione di un disegno feroce e
criminale, ma affondano le radici tanto, forse troppo, nelle politiche
svolte nel passato dal Vecchio continente. Chi sbuffa ad
ascoltare queste osservazioni non capirà mai nulla di ciò che
succede, e capire - capire, non giustificare – è la prima mossa
per reagire. Mi domando, però, anche quanto incidano gli interessi
economici e politici in tutto questo. Chi
finanzia la macchina da guerra terrorista? Chi
vende loro le armi? Altro che svuotare gli arsenali
e riempire i granai, come disse il presidente
Sandro Pertini: il divario tra poveri e ricchi è forte
come non mai e gli arsenali sono pieni di armi da
vendere. Siamo sinceri: come dicevano i latini, pecunia non
olet, il denaro non ha cattivo odore e viene prima di tutto. Penso
alle politiche di intervento, alle guerre umanitarie, alle guerre
preventive, alla ricerca delle armi di distruzione di massa: che
risultati hanno portato? La guerra è spaventosa: non si dovrebbe
pronunciare la parola “guerra” a cuor leggero. Per questo
io ho paura. Ho paura dei fanatici, degli esagitati, di coloro che
sanno tutto, degli esperti di terrorismo che incontro al bar, dei
giustizieri che popolano la rete. Nel 1940, a piazza Venezia un
popolo intero euforico e invasato disse sì alla guerra, non sapendo
nemmeno il perché: i risultati furono morte, macerie,
fame e una devastazione sanguinosa.
sabato, novembre 14, 2015
Trasparenza e rispetto dei cittadini
Una cosa non può dirla il Pd: che De Luca fosse un candidato imposto, uno che il partito aveva subìto, un marziano. Insomma, non vale per De Luca ciò che è stato detto per Marino. E ora, scandali (di nuovo), intercettazioni (di nuovo), sconcerto (di nuovo). La memoria è labile dalle nostre parti, si sa: ma converrebbe appuntarsi frasi come “è lui il nostro candidato, chi lo osteggia lo fa per una battaglia interna al Pd” (indovinate chi lo ha detto...). In fin dei conti, dirà qualcuno, De Luca è stato eletto: è stato scelto rispetto al candidato del centrodestra Stefano Caldoro. Ok. In fin dei conti, aveva pure vinto le primarie. Tutto regolare, tutto consuetamente regolare. E poi, ci può sempre essere la clausola di salvaguardia della modifica della legge Severino. Meglio essere previdenti. Confesso che, ormai, non so come maneggiare parole come trasparenza, fiducia, rispetto del mandato ricevuto dai cittadini. La negazione di questi concetti è ormai davvero bipartisan. E' palese. E non posso non parlare del caso Lgh: la cessione alla azienda A2A del 51% delle azioni di Linea Group. La questione, al solito, non è nella liceità. Lo è forse nell'opportunità dell’operazione o nella efficacia della scelta? Non so, non sono in grado di valutare, non ho sufficienti elementi. Di certo, la questione sta nel modo con cui viene condotta. A mio parere, il sindaco Galimberti avrebbe dovuto far sapere, già da tempo e con trasparenza, costi e vantaggi, acquisti e perdite legate all'operazione. E’ cosa doverosa verso le opposizioni, ma soprattutto verso i cittadini. Quei cittadini che spesso votano per una speranza di cambiamento, e anche contro certe pratiche, certi modi di governare: non è bene togliere loro le residue speranze. Non è bene per chi è governato ma anche per chi governa, non va bene per la democrazia.
sabato, ottobre 17, 2015
Viva la Rai, che ci fa crescere sani...
Sappiamo bene quanto sia importante il ruolo dell’informazione. Stavo per dire: “nella società attuale”, ma, a ben vedere, tale ruolo ha sempre goduto di grande risalto, e il potere, qualsiasi potere, ha cercato sempre di gestirlo e di indirizzarlo. Dagli araldi che giravano città e campagne nel Medioevo per rendere note le decisioni del signore, ai fogli o proclami che, dopo l’invenzione della stampa a caratteri mobili, venivano affissi e recavano le volontà di sovrani, governanti e reggitori. Non solo uno strumento in mano al potere, però: anzi. Basti citare il grandissimo ruolo che ebbe, nella preparazione e nello svolgimento della Rivoluzione francese, la messe di giornali, bollettini, fogli di informazione, riviste. E non è un caso che i totalitarismi e le dittature del Novecento abbiano investito molto nella costruzione di apparati di informazione pubblica persuasivi e pervasivi. Quando arrivò la tv, lo sappiamo, fu una rivoluzione: si narra di molti politici assai sconcertati, quando non terrorizzati, dal dover entrare con la propria immagine, oltre che con le parole, nelle case degli italiani. Man mano, ci si rese conto di quanto lo strumento fosse divenuto potente, e ci si pose il problema di una regolamentazione: tot minuti a te, tot a me, tot a lui. Una sorta di manuale Cencelli (Era quello inventatodal democristianissimo Cencelli per distribuire ruoli politici e governativi ad esponenti di vari
partiti politici o correnti, in maniera proporzionale). Ma il meccanismo, di dubbio funzionamento fin da subito, dal punto di vista dell’equità, è saltato con l’avvento dell’informazione radio tv privata. Ponete il caso (il caso, eh!) che ci sia un imprenditore padrone di tv che si metta in politica: pensate che si sentirà in obbligo di assicurare il giusto spazio per tutti? O non gli verrà la tentazione di una presenza costante, ficcante, luccicante? Ponete poi il caso che non ci sia direttamente al governo uno che possieda le tv ma che abbia in mente di costruire un partito (forse chiamato “della nazione?”) in cui, per il bene del Paese, non ci sia tanto posto per critiche e dissensi, che, oltre un certo limite, disturbano e fanno perdere tempo a chi deve lavorare: lo spazio per l’informazione lascerà margini sempre più esigui per le opposizioni. Ma è per il bene del Paese, senz’altro. Chissà: rimpiangeremo anche Massimiliano Cencelli?
partiti politici o correnti, in maniera proporzionale). Ma il meccanismo, di dubbio funzionamento fin da subito, dal punto di vista dell’equità, è saltato con l’avvento dell’informazione radio tv privata. Ponete il caso (il caso, eh!) che ci sia un imprenditore padrone di tv che si metta in politica: pensate che si sentirà in obbligo di assicurare il giusto spazio per tutti? O non gli verrà la tentazione di una presenza costante, ficcante, luccicante? Ponete poi il caso che non ci sia direttamente al governo uno che possieda le tv ma che abbia in mente di costruire un partito (forse chiamato “della nazione?”) in cui, per il bene del Paese, non ci sia tanto posto per critiche e dissensi, che, oltre un certo limite, disturbano e fanno perdere tempo a chi deve lavorare: lo spazio per l’informazione lascerà margini sempre più esigui per le opposizioni. Ma è per il bene del Paese, senz’altro. Chissà: rimpiangeremo anche Massimiliano Cencelli?
sabato, ottobre 10, 2015
C’è più che mai bisogno di concretezza
Una certa qual melanconia autunnale si sta insinuando nelle giornate, che si accorciano, nei cieli già plumbei
quando sono coperti, anche se il sole, al momento in cui si manifesta, brucia ancora. Ma la melanconia è cosa da poeti, e anzi, la cifra di oggi, almeno così si ascolta in tante dichiarazioni, è o dovrebbe essere l’ottimismo. L’Istat ci dice che non si era mai vista tanta fiducia dall’inizio della crisi; Montezemolo plaude a Renzi, che “ha portato fiducia”. Spero che non sia come quando, a forza di dire le cose, ce ne convinciamo e, oltretutto, convinciamo. Davvero c’è stato un punto di svolta? A noi piacerebbe tanto, se così fosse. Davvero, anche se non c’è stato, la gente ci crede? Sarebbe importante anche questo, l’effetto-fiducia tira su il morale e dà nuova spinta. Non sono domande polemiche, le mie: vorrei tanto avere certezze in questa direzione. Vorrei tanto essere certo che non si tratti di fumisterie e di propaganda. Due sere fa, sono andato ad ascoltare la ministra Madia, la quale ha detto che non esiste alcun provvedimento governativo che stabilisce l’accorpamento di prefetture, questure etc… vero. Ma esiste, e si può facilmente trovare on line, uno schema di decreto del presidente della repubblica, formulato dal ministero dell’interno – dipartimento dei vigili del fuoco, che mette, nero su bianco, tra le altre cose, lo schema degli accorpamenti. Mi viene da chiedere: il governo non ne è a conoscenza? Il braccio destro non sa che cosa faccia il braccio sinistro? Mi sa che sono le solite fumisterie, dire per non dire, reggere il gioco finché il provvedimento è esecutivo, e allora, oplà, il tutto è legge. M viene da pensare che non è un caso che sempre più persone, soprattutto giovani ma non solo, scelgono e si costruiscono attività a contatto con la natura. Lì non ci sono fumisterie, lì c’è la concretezza dell’impegno quotidiano: piante, frutta, sole, aria, vento. Un po’ come i vecchi operai alzavano ed ammiravano un giunto di metallo da loro tornito, o il mio babbo rimirava soddisfatto un mobile rimesso a nuovo. Cose tangibili, concrete. A proposito, un mio amico vorrebbe trovare un terreno, in affitto, per coltivarvi piante ornamentali: possiamo dargli una mano?
quando sono coperti, anche se il sole, al momento in cui si manifesta, brucia ancora. Ma la melanconia è cosa da poeti, e anzi, la cifra di oggi, almeno così si ascolta in tante dichiarazioni, è o dovrebbe essere l’ottimismo. L’Istat ci dice che non si era mai vista tanta fiducia dall’inizio della crisi; Montezemolo plaude a Renzi, che “ha portato fiducia”. Spero che non sia come quando, a forza di dire le cose, ce ne convinciamo e, oltretutto, convinciamo. Davvero c’è stato un punto di svolta? A noi piacerebbe tanto, se così fosse. Davvero, anche se non c’è stato, la gente ci crede? Sarebbe importante anche questo, l’effetto-fiducia tira su il morale e dà nuova spinta. Non sono domande polemiche, le mie: vorrei tanto avere certezze in questa direzione. Vorrei tanto essere certo che non si tratti di fumisterie e di propaganda. Due sere fa, sono andato ad ascoltare la ministra Madia, la quale ha detto che non esiste alcun provvedimento governativo che stabilisce l’accorpamento di prefetture, questure etc… vero. Ma esiste, e si può facilmente trovare on line, uno schema di decreto del presidente della repubblica, formulato dal ministero dell’interno – dipartimento dei vigili del fuoco, che mette, nero su bianco, tra le altre cose, lo schema degli accorpamenti. Mi viene da chiedere: il governo non ne è a conoscenza? Il braccio destro non sa che cosa faccia il braccio sinistro? Mi sa che sono le solite fumisterie, dire per non dire, reggere il gioco finché il provvedimento è esecutivo, e allora, oplà, il tutto è legge. M viene da pensare che non è un caso che sempre più persone, soprattutto giovani ma non solo, scelgono e si costruiscono attività a contatto con la natura. Lì non ci sono fumisterie, lì c’è la concretezza dell’impegno quotidiano: piante, frutta, sole, aria, vento. Un po’ come i vecchi operai alzavano ed ammiravano un giunto di metallo da loro tornito, o il mio babbo rimirava soddisfatto un mobile rimesso a nuovo. Cose tangibili, concrete. A proposito, un mio amico vorrebbe trovare un terreno, in affitto, per coltivarvi piante ornamentali: possiamo dargli una mano?
venerdì, ottobre 02, 2015
Tutto come previsto
Non mi sorprendono le forti polemiche in corso rispetto all’accorpamento
della Prefettura e della Questura con quelle di Mantova. E’ il risultato di un
percorso di “riforma” che prima ha coinvolto le Province, poi gli enti sopra
richiamati, e chissà dove si fermerà. Già in tempi non sospetti, proprio sulla
questione Province abbiamo scritto: attenzione a smantellare senza prevedere
qualcosa di nuovo e di strutturato; attenzione a seguire le sirene del “dagli
alla cosa pubblica”, quando, poi, quelle stesse sirene si lamenteranno
sicuramente di non avere più servizi adeguati, uffici disponibili, sedi
pubbliche facilmente raggiungibili. E tutto si sta rivelando, ahimè, vero.
Pensando a qualche anno fa, quando ero giovane e, sicuramente, meno
indisponente, riflettevo che, quando sentivamo parlare di riforme, subito ci
riferivamo a operazioni che ampliavano i diritti di cittadinanza e quelli
sociali, che cercavano di dare risposte ai profondi mutamenti in corso nel Paese
su base di equità. Adesso, sentiamo parlare di riforme e ci chiediamo: a chi
tocca, ora, il colpo di mannaia? Però, una cosa mi stupisce sinceramente: la
preoccupazione per gli effetti di queste “riforme” espressa da chi ha un ruolo
istituzionale e politico rilevante. Ho letto: “Dobbiamo interrompere l'iter
dello schema di decreto (che prevede questo accorpamento)...”. E a me lo dite?
Chi le fa, le riforme? Il governo. Chi le ha votate quelle riforme? Chi le sta
portando avanti se non l’attuale governo? E allora, che succede, signori miei?
Prima si sostiene il predetto governo, magari senza se e senza ma, poi ci si
indigna quando tagli, accorpamenti, azzeramenti picchiano duro? Se si reputa che
una misura sia necessaria, e se si sostengono, legittimamente, ci mancherebbe,
le ragioni di chi mette in atto quella misura, non si dovrebbe forse accettarne
le conseguenze negative, anche se ci colpiscono da vicino? Insomma, ciò che è
cattivo per Cremona sarebbe buono per Mantova? Mah... forse qualcosa mi sfugge
(o forse no).
sabato, settembre 26, 2015
I custodi del Colosseo e l ’immagine dell ’Italia
A prescindere, avrebbe detto Totò, non intendo spezzare alcuna lancia a
favore dei custodi del Colosseo: tra di loro ci sarà il buono e il cattivo, il
fannullone e il bravo e capace lavoratore, come da tutte le parti. Come in
banca, come nei supermercati, come ovunque. Invito però a riflettere sul can can
che è stato fatto rispetto alla chiusura del sito archeologico per assemblea
sindacale, qualche giorno fa, dalle 8:30 alle 11:00. Un can can talmente
surreale, che un uomo come Vittorio Sgarbi, certamente non accondiscendente, ha
dichiarato: ” due ore che non possono far pensare che l’Italia non funziona“,
riferendosi a parole dette da molti personaggi, per cui tale chiusura era stata
“un grave danno di immagine all’Italia e alle sue istituzioni”. Molte volte mi
sono chiesto e vi ho chiesto se, per alcune azioni, parole, dichiarazioni svolte
da chi ci governa, da “chi comanda”, prevalessero la poca esperienza,
l’ignoranza, l’inettitudine, oppure la malafede. In genere, è difficile
rispondere. Ma ora leggo, sempre rispetto al Colosseo e al gravissimo colpo per
l’Italia determinato da un’assemblea di due ore e mezzo, prima la dichiarazione
del ministro Franceschini, dopo aver gridato allo scandalo insopportabile: "Non
c'è alcun reato di nessun tipo, l'assemblea era stata convocata regolarmente";
poi, quella di Francesca Barracciu, sottosegretaria ai Beni culturali, che ha
definito l’assemblea sindacale “un reato”. Caspita. Qualcuno le ha fatto notare
che le assemblee sindacali in orario di lavoro sono perfettamente legali, almeno
per adesso. Allora lei ha dichiarato, correggendosi, di considerarla un reato in
senso lato. Ora, nei miei studi di legge non ho mai incontrato un “reato in
senso lato”. Ne vedo, invece, molti in senso proprio. Per esempio, il nostro
patrimonio storico, artistico, architettonico che cade a pezzi (Pompei docet):
cosa che viola abbastanza l'articolo 9 della nostra Costituzione italiana, "la
Repubblica… tutela e valorizza il patrimonio storico e artistico della nazione”,
oltre che una messe di leggi. Inoltre, Sgarbi ha anche dichiarato una cosa,
questa sì davvero scandalosa: che chi lavora, deve essere pagato. I custodi del
Colosseo, come molti altri, lavorano in straordinario e non vengono pagati,
oppure ricevono il compenso con molto ritardo. Questo non sarà un reato, ma che
lo faccia lo Stato, che dovrebbe essere l'incarnazione della legittimità e della
legalità, non va bene. Alla onorevole Barracciu, infine, vorrei dire: attenzione
a parlare di reato, quando si ragiona di diritti. È tipico delle dittature,
onorevole. Lo sappia. A parer mio, tira una brutta aria.
sabato, settembre 19, 2015
Siamo il paese di Masaniello
Durante le ferie ho letto una biografia di Masaniello, il noto capopopolo
napoletano, vissuto nel XVII secolo. Il libro era molto ricco di particolari, e
delineava le caratteristiche del personaggio: fascino personale, arguzia,
sfrontatezza. Nessuno lo aveva investito di un ruolo: se lo prese. Non aveva
competenze amministrative né esperienze di governo: eppure, pronunciò anche
sentenze giudiziarie, dileggiando i giudici. La rivolta di cui si mise a capo
derivava non tanto da un sentimento patriottico, ma dalle gravi condizioni di
crisi in cui versava il regno di Napoli, pagate soprattutto – al solito – dai
ceti meno abbienti. Il potere gli diede alla testa nel giro di brevissimo tempo:
farneticò, si denudò in pubblico. Fu ucciso dopo solo nove giorni di rivolta.
Tra le sue frasi si ricorda questa: “Io vi volevo solo bene e forse sarà questa
la pazzia che ho nella testa. Voi prima eravate immondizia ed adesso siete
liberi. Io vi ho resi liberi!”. Masaniello è diventato il simbolo di un potere
sregolato, personalistico, senza mediazioni, che si appella al popolo e che dal
popolo, spesso, viene abbattuto. Dagli altari alla polvere: ci vogliono pochi
mesi, o anni, ma il percorso è questo. La storia italiana è piena di Masanielli:
vogliamo fare il gioco dei nomi? Mi chiedo perché il successo in politica,
ormai, derivi da una dose più o meno cospicua di “masaniellite”. Ma il potere
può anche non dare alla testa. Invece che inebriare, può, semplicemente, far
sopravvivere. È il caso dei “politici di professione” che, iniziata la carriera
giovani, hanno fatto un percorso da carica a carica, e non possono che aspirare
ad altra carica. Nonostante tutta l’antipolitica che si respira, ce ne sono, ce
ne sono… E’ solo così che si può vivere il potere? Invece che un’investitura a
servizio della comunità, il potere può porsi solo nell’alternativa tra un
egocentrismo smisurato o l’eterno “tengo famiglia”? E anche in questi ultimi
giorni, gli esempi non mancano. Considerazioni sconsolate, ma c’è poco da
ridere, purtroppo.
venerdì, agosto 28, 2015
Un penoso mantra che si ripete da vent’anni
Le ferie sono finite, la vacatio è terminata, si riparte. Per
ricominciare, sarebbe utile, forse indispensabile, qualcosa di nuovo: un
progetto nuovo, nuove idee, nuove proposte. Ma già, non dobbiamo essere
disfattisti, come si diceva una volta: qualcosa c’è, che diamine! “Aboliremo
l’Imu e abbasseremo le tasse”. Perbacco. Chi ci avrebbe mai pensato? E, poiché
le primogeniture sono cose serie, a questo annuncio del governo si è scatenata
la rivendicazione: “Era un’idea di Berlusconi!” (vero, tra l’altro); “Non ci
sono le risorse!” (come se Berlusconi le avesse avute ... Ricordiamo, vero, la
finanza creativa?). Eccoci qua. E guai a chi, come alcuni di noi fanno, vada a
consultare, ogni tanto, giornali e siti di un recente passato. Per dire: i
discorsi del 2008 sono uguali ai discorsi del 2015, pur con scenari diversi in
modo radicale. Allora, gli economisti più avvertiti sapevano bene che stava per
scatenarsi una crisi davvero epocale, e i politici, che cosa tuonavano? “Ci
vuole rigore!”; "Basta con gli sprechi!"; "Abbassiamo le tasse!"; "Rendiamo più
efficiente la Pubblica Amministrazione.!", e via così. Andate a vedere, se
cercate conferme. Alcuni anni dopo, con un mondo di cose avvenute, con la
finanza internazionale scossa ciclicamente da processi esplosivi (l’ultimo,
quello cinese), con la crisi tutt’altro che risolta, con il fenomeno delle
migrazioni in corso, che nessun muro, nessun respingimento potrà mai fermare, si
sfogliano i giornali e si legge: “Rilancio dell’economia: aboliremo l’Imu e
abbasseremo le tasse, l’economia ripartirà, diventeremo tutti più ricchi”.
Assistiamo ad un mantra ridicolo, penoso e stucchevole che si ripete, oramai, da
circa vent’anni, senza produrre miglioramento alcuno, salvo mantenere i
privilegi per i soliti noti che confidano, tranquillamente, sulla nostra scarsa
memoria. Andate a leggere le dichiarazioni e i proclami dell’ex rottamatore,
prima che diventasse premier... poi ne riparliamo.
sabato, agosto 01, 2015
Mai arrendersi
Avete presente cosa fa Facebook, da un po’ di tempo? Sceglie un giorno, credo
a caso (o, come si dice, “random”) e ripubblica quel che era stato inserito
l’anno prima. Un modo simpatico di rivivere eventi, magari passati un po’ di
mente. E allora, visto che questo è l’ultimo numero prima delle vacanze estive,
ho provato a fare il gestore Facebook di me stesso, andando a leggere cosa avevo
scritto non solo lo scorso anno, ma anche quelli precedenti. Era il 2012,
governo Monti, ve lo ricordate? E io scrivevo: rivalutiamo il vero significato
delle vacanze, poiché dovremmo “cogliere le opportunità, magari poche, che il
tempo della crisi offre. Le vacanze devono essere un momento in cui si stacca la
spina, in cui si prova a leggere quel libro che ci aveva incuriosito, in cui si
può tentare di non tenere sotto controllo il cammino dello spread”. Già, era
l’epoca dell’incubo spread… Ora non se ne parla più, e temo che pochi abbiano
capito come abbia fatto, un mostro così vorace, a rintanarsi e diventare –
sembrerebbe – inoffensivo. Ma andiamo avanti. L’anno successivo scrivevo: “La
calura è forte, anche gli oggetti sembra che grondino sudore, Molti non potranno
andare in vacanza. Molti temono che cosa avverrà a settembre. Forse ci sono
spiragli di ripresa, dicono”. Come leggiamo in questo numero, le persone stanno
industriandosi per fare le ferie in modo nuovo, low cost, e, forse, non è una
cosa del tutto negativa. Per il resto…vorrei tanto credere negli spiragli di
ripresa. Ma andiamo al 2014: citavo un recente studio del Centro Studi di
Confindustria, che parlava di partenza ritardata e lenta, di investimenti
penalizzati da incertezza e redditività ai minimi, delle banche, che “hanno
stretto fortemente le condizioni per la concessione di prestiti a scadenza
ravvicinata”. È cambiato qualcosa? C’è un clima nuovo? O forse, ci sono meno
rabbia, meno preoccupazione, ma più rassegnazione? A tutto ci si abitua: anche
alla crisi? Importante è reagire, sempre, di fronte alla difficoltà, cercando
soluzioni e provando a fare qualcosa di diverso. Mai arrendersi. Buone vacanze.
sabato, luglio 25, 2015
De Re Publica
Non dirò dove, non dirò di quale sindaco si tratti, ma ha avuto risonanza
nazionale un episodio. Un (semplice) cittadino chiede al (primo) cittadino:
perché non annaffiate i giardini? E il (primo) cittadino: perché non li annaffia
lei. Una “bella” risposta: c'è di cui riflettere. Un tentativo di convolgere i
cittadini per il rispetto e la salvaguardia del bene pubblico? Una
partecipazione attiva della popolazione all'interesse comune? Oppure una
dichiarazione di impotenza dell'ente pubblico? Allora, irresistibilmente, ho
pensato all'inceneritore di Cremona. Direte voi: ma è matto? Il caldo gli ha
dato alla testa? No. Seguite il mio ragionamento. Quel primo cittadino ha,
semplicemente e tragicamente, secondo me, abdicato (forse in modo inconsapevole)
al suo dovere. C'è una precisa responsabilità politica e amministrativa, che non
si può esercitare solo quando le cose vanno a gonfie vele: per cui, ad esempio,
se in campagna elettorale si promette che, tanto per dire, si dismetterà
l'inceneritore a Cremona, l'inceneritore va dismesso. Se poi ci si avveda (e
dico se) che quella promessa forse era un po' avventata, e che chiuderlo
significhere un grosso sacrificio per le casse della comunità, che cosa resta da
fare? Una prima domanda, intanto,è: quanto vale la salute dei cittadini? Seconda
domanda: se la salute in giuoco è dei cittadini, perchè non far decidere a loro?
E qui faccio mia la proposta di Danilo Toninelli, deputato del Movimento Cinque
Stelle, il quale invita il Sindaco a indire un referendum popolare consultivo
sulla questione inceneritore. Facciamo decidere alla gente. Tornare, ogni tanto,
a quelle pratiche, oramai desuete, di vera democrazia a me non dispiace. A voi?
sabato, luglio 18, 2015
Non siamo capaci di ribellarci
Mi pare che fosse il professor Vittorino Andreoli a definire l’Italia un
Paese malato. Pieno di masochisti ed esibizionisti allo stesso tempo, quindi
incapace di mettere in moto le proprie forze migliori, stretto nella forbice tra
autodenigrazione e bullismo parolaio; di individualisti costantemente recitanti,
sostanzialmente incapaci di fare squadra, buoni solo a mettere in scena il
proprio – io – tronfio. Ovviamente, come tutte le generalizzazioni questo
giudizio era ingeneroso nei confronti di chi è serio, lavora sodo e non vive la
vita come un perenne teatrino. Però, c’è del vero. A partire da un dato: mi pare
che sia impossibile, ormai, una situazione in cui la lotta politica si sviluppi
in maniera bellicosa, dura, serrata, ma non criminale. La parola è forte? Se
credete di sì, pensate al “metodo Boffo”. Se si fa una ricerca sul web, apparirà
questa definizione: “campagna di stampa basata su bugie allo scopo di screditare
qualcuno”. Dino Boffo, allora direttore di “Avvenire”, periodico molto duro nei
confronti dello stile di vita di Berlusconi, fu oggetto, da parte de “Il
Giornale”, di accuse infamanti. Si sa che la calunnia, quando pure sia
comprovata tale, lascia comunque una sporca, anche se inconsistente, ombra di
dubbio. Accuse del genere, pur se comprovatamente false, ti rovinano la vita. È
quanto sta avvenendo a Rosario Crocetta, presidente della Regione Sicilia. Il
settimanale “l’Espresso” esce con questa notizia: in una intercettazione, il
medico personale di Crocetta avrebbe detto all’uomo politico: “La Borsellino va
fatta fuori come il padre”, e il presidente non avrebbe reagito. Crocetta nega
disperatamente di aver mai ascoltato quelle parole e si autosospende. Nel giro
di poche ore, la magistratura interviene e dice: non c’è traccia, agli atti, di
alcuna intercettazione in cui si dicano quelle cose. E allora? Una congiura
politica? Una resa dei conti? Una guerra per bande dentro il Pd? Sto,
semplicemente, riportando tutte le ipotesi che vengono fatte. Una cosa è certa:
in Italia ci sono tante persone oneste e perbene, ma c’è anche un gran
verminaio. Aveva ragione Andreoli: questo è un Paese malato. Malato grave. Ma
ancora più grave è il fatto che non siamo capaci di ribellarci, quasi che la
nostra psiche fosse programmata ad accettare tutto, intenti solo a salvaguardare
quel piccolo orticello che, se pur precario, temiamo di perdere.
sabato, luglio 11, 2015
... Come il due di coppe quando briscola è bastoni
Qualcuno si ricorda di Sigonella? Un aereo atterrato con a bordo alcuni
rappresentanti dell’Olp e i dirottatori della “Achille Lauro”, gli americani
che, armi in pugno, ne pretendevano la consegna, l’Italia, presidente del
consiglio Bettino Craxi, che a sua volta metteva sotto assedio i militari
americani, sulla base delle leggi riguardanti le competenze territoriali e un
semplice principio: non potete fare i gradassi a casa nostra. E non vuol essere,
il mio, un peana a Craxi, inventore e autore di molti dei meccanismi perversi
che hanno reso il nostro Paese quel che è. Però è indubbio che l’Italia ha
avuto, per molti anni, un forte ruolo internazionale, di cui oggi non è rimasta
traccia. Vogliamo parlare di Andreotti? Per decenni, quantomeno nello scacchiere
mediterraneo, non si è mossa foglia che il divo Giulio non conoscesse e a cui
non consentisse. Un patrimonio disperso, quello della grande scuola diplomatica
italiana? Una perdita di incisività, di credibilità? Pare proprio di sì. Renzi
ha piazzato Federica Mogherini, con grande fanfara, come Alto rappresentante
dell’Unione Europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, ma poi?
Nella crisi greca abbiamo avuto un ruolo simile a quello del Botswana e
dell’Ecuador. Ma loro non c’entrano, direte. Appunto. Renzi diventò presidente
del consiglio con grandi proclami sulla necessità di correggere l’austerità
della troika. Come è noto, non ha avuto un grande ascolto. I media mainstreaming
danno risalto a quando lui si reca alle riunioni europee, ma non hanno niente da
narrare, oltre che il viaggio. Però è stato bravo a fare battute anche su
Tsipras: “non faccia il furbo”. Da un capo di governo ad un altro capo di
governo (eletto): roba da allibire. Ma è cominciata con Berlusconi: le corna,
l’abbronzatura di mister Obama, la caciara al cospetto di Elisabetta II, la
Merkel, come dire con una perifrasi, non meritevole di attenzione sessuale, e
via così, tra nani e ballerine. Le parentesi Monti e Letta,senz’altro credibili,
da questo punto di vista, sono state troppo brevi (per fortuna). Certo, conta
anche il potere reale di un Paese, la sua solidità politica, la sua capacità
economica e la sua coesione sociale. Ma la serietà è fondamentale. E noi
assistiamo sconsolati a rapporti binari, Merkel-Hollande, Obama- Merkel, come
prima Merkel-Sarkosy, e l’unico italiano che sembra ascoltato è un banchiere,
Mario Draghi. Meditiamo.
sabato, luglio 04, 2015
Se la Grecia viene abbandonata a se stessa

sabato, giugno 20, 2015
Storia, la mia, di un esame di maturità
Il mondo ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e sociale. Erano gli anni ‘70, anni di contestazione
Forza ragazzi, il futuro vi attende, abbiamo tanto, ma proprio tanto, bisogno di persone preparate
di Daniele Tamburini
di Daniele Tamburini
L'esame di maturità non si dimentica, è un ricordo indelebile: penso che sia
così per tutti. Non ero preoccupato, ero abbastanza tranquillo, ma la notte
prima non ho chiuso occhio. Una notte insonne trascorsa ad ascoltare musica, la
musica che mi piaceva: Emerson, Lake and Palmer, King Crimson, Gentle Giant.
Avvenne molti anni, anzi, molti decenni fa: era il 1974. E’ vero, erano gli anni
'70, anni di contestazione, “no alla scuola dei padroni”, si cantava nei cortei.
Ma io ero sempre stato un po’ solitario, un po’ secchione, e alla scuola ci
tenevo, eccome, anche perché in famiglia, pur composta da gente semplice e
illetterata, lo studio era considerato essenziale, direi sacrosanto. Insomma, a
quell’esame ci tenevo, e molto. Una maturità scientifica, all’epoca, era
importante: ci si sentiva persone preparate, in grado di affrontare
quell’Università che doveva essere un percorso obbligato. Come cantavano i
Nomadi, effettivamente, la nostra era una generazione preparata. Il mondo,
intorno a me, ribolliva, in quell’estate del 1974: per il clima politico e
sociale, e per il gran caldo. La crisi petrolifera e l'austerità avevano tolto
alla gente alcune solide certezze; inoltre, c'erano state, terribili, le stragi:
Piazza della Loggia, poi l'Italicus; si parlava di preparativi di golpe, di
caserme in stato di allerta. Il ministro di allora, Tanassi, non smentì, e
alimentò la tensione. Pochi mesi prima si era svolto il referendum sul divorzio:
la prima volta in cui parte dell'elettorato democristiano non seguì il partito,
una debacle per Amintore Fanfani. Bollivo anch’io, perché, proprio come in una
famosa canzone di Antonello Venditti, mi piaceva una moretta che filava tutti,
meno che me. Alternavo lo studio a qualche riunione al collettivo studentesco
(che comunque frequentavo) e alle partite di calcetto, che servivano moltissimo,
anche per sfogare la tensione. Inoltre, la moretta veniva a vederci, insieme
alle sue amiche … Nella città toscana in cui crescevo, quell'estate faceva tanto
caldo: la maturità iniziava più tardi di quanto accada oggi. Ricordo che finii a
luglio inoltrato: un dramma. Per fortuna, qualche anno prima, nel 1969, un
benemerito ministro (benemerito anche per altri motivi), e cioè Fiorentino
Sullo, aveva riformato l’esame, portandolo a due prove scritte e a due materie
per il colloquio (di cui una a scelta del candidato), con una commissione
esterna, ma con un componente interno. Intorno, ho già detto, il mondo ribolliva
e stava cambiando in profondità, e noi volevamo esserci; io, nonostante tutto,
volevo esserci. I modelli culturali tradizionali subivano una trasformazione
radicale. Il boom degli anni Sessanta e le condizioni economiche della classe
lavoratrice, migliorate dopo le lotte sindacali, avevano provocato un incremento
dei consumi. Gli studenti protestavano contro un sistema scolastico e
universitario fermo e chiuso, gli operai volevano più potere nelle fabbriche, le
donne non accettavano più il potere patriarcale. Per parafrasare Mao Ze Dong,
una grande confusione sotto il cielo. Ma era eccellente la situazione? A me
sembrava di sì: e r a v a m o f i d u c i o s i nell’avvenire e pieni di
speranza, anche se avremmo voluto cambiare tutto. Delle prove da me sostenute
ricordo tutto. Furono italiano e matematica per lo scritto, e portai filosofia e
fisica all’orale. In matematica presi un voto esaltante: nove e mezzo con elogio
da parte del professore, un tipo molto elegante, con la barba curatissima. In
filosofia non andò bene: avevo portato un percorso che, partendo da Leopardi,
portava a Schopenhauer e approdava ai pre-marxisti. Il professore si incavolò:
“Basta con questi pre-marxisti, mi parli di Kant”. Kant si faceva in quarta, e
poi non mi piaceva: un disastro. E dire che la mia professoressa mi aveva messo
in guardia. Per fortuna, nelle altre materie ero al massimo dei voti. Nei giorni
precedenti a quello dell’orale, mi azzardai ad andare ad ascoltare alcuni amici
che erano, nel frattempo, esaminati. L’avessi mai fatto … I docenti mi
sembrarono orchi, che avrebbero potuto mangiare in un boccone la nostra, pur
robusta, prof di lettere (un must!) che era la componente interna. Circolavano
svariate leggende metropolitane: a un candidato avevano lanciato il foglio
protocollo con il tema svolto, un altro era uscito piangendo, e via così. Ma una
cosa la voglio raccontare: accadde che a qualcuno fosse chiesta l’altezza
precisa del poeta Giacomo Leopardi. La cosa riempì d’orrore chi “portava”
italiano come prova orale: hai visto mai che avessero potuto chiedere la
circonferenza del giro vita di Carducci o il numero di scarpa di Guido Gozzano?
Io gongolavo, forte delle mie scelte, ma poi mi venne un dubbio atroce: e se mi
avessero chiesto l’altezza di Friedrich Hegel? Naturalmente, era tutta una
burletta, ma che uscì, seppur con tono dubitativo, anche sul quotidiano locale.
Della maturità di oggi so poco. Mia figlia è tranquilla e questo mi fa piacere.
I temi scelti quest’anno mi sono sembrati di buon livello: su ognuno, a mio
parere, ci sarebbe stato da scrivere molto. “Ma non sono argomenti trattati nei
programmi”, ho sentito dire. Beh, questa mi pare una triste condizione di resa
della scuola, che avrebbe bisogno di meno chiacchiere sulla managerialità etc.,
e più consistenza e capacità di insegnamento in senso verticale. Cosa voglio
dire? In maniera completamente, visceralmente contraria a quanto ha sostenuto
Alessandro Baricco, credo che la scuola debba essere capace di insegnare che la
cultura non è un surfing su una superficie scintillante, ma è capacità di
muoversi in verticale, nelle profondità del pensiero e nelle altezze dell’arte,
della speculazione matematica, della poesia, della musica, in un movimento
incessante e altamente formativo. In questo modo, io credo, si insegna a
diventare davvero colti, ad affrontare, cioè, la vita in grado di conquistare la
capacità di valutazione perspicua, di critica costruttiva, e di farsi una
cultura propria, anche se “non è nel programma”. Ma questo movimento del
pensiero e dello spirito non potrebbe certo essere valutato con i test Invalsi.
Ditemi voi, chi ha interesse a governare su un popolo colto? Comunque, ad ognuno
il suo tempo: io me lo sono goduto e non ho rimpianti. Forza ragazzi, il futuro
(forse un futuro meno spensierato) vi attende. Abbiamo tanto, ma proprio tanto,
bisogno di persone preparate.
sabato, giugno 13, 2015
Non ci affosserà la crisi, ma questo sentore
La stanno definendo “mafia senza lupara”: è quella che ha spadroneggiato a
Roma (e fosse solo Roma, e fosse che si può esser certi di usare il verbo al
passato). A dire la verità, non avrei voluto affrontare l’argomento, perché, e
lo dico con una parola, mi vergogno. Mi vergogno, come cittadino di questo
Paese, a leggere le intercettazioni, con le volgarità e l’assoluta mancanza di
scrupoli dimostrata dai vari protagonisti. Mi vergogno per le parole usate:
mucche da mungere, mammelle da tirare… a questo, sono ridotte le istituzioni? E
si sa, qualcuno vuole ancora minimizzare: ma è proprio su questa pratica, sul
“che vuoi che sia”, sul “lo fanno tutti”, sul “meglio non andare a fondo”, che
si basano tutte le mafie, con lupara e senza. Hanno fatto bene gli esponenti di
governo che hanno detto parole molto dure sull’accaduto, compreso Renzi. Ma io
vorrei chiedere loro, che siano Renzi o Alfano eccetera: non vi fate delle
domande? Va bene dire che sbatterete fuori i corrotti. Ma non vi chiedete perché
questo accada e da così tanti anni, perché, quali ne sono i motivi, dove si
annida il capo della serpe. Come è possibile? Perché? come facciamo a tornare
indietro? Come è possibile che, nello stesso Paese, ci siano gli Odevaine, i
Carminati, i Buzzi e compagnia cantante, e poi, magari, un poveraccio viene
tartassato da Equitalia perché ha commesso un errore. Ma dove stanno la
giustizia, l’onestà, la verità? Cosa raccontiamo ai nostri figli? Ho la netta
sensazione che non sarà la crisi ad affossarci, ma questo sentore nauseabondo di
lercio che si leva da troppe parti, che ammorba le istituzioni e la società
civile. Ecco, non vorrei usare toni da predicatore, ma perdinci, svegliamoci,
facciamoci sentire, diamoci una mossa. (PS: sapete cosa c’è scritto nell’art.
54, comma 2 della nostra Costituzione? “I cittadini cui sono affidate funzioni
pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”. Era un altro
mondo).
sabato, maggio 30, 2015
Coraggio, che il meglio è passato
Siamo agli ultimi fuochi (si fa per dire…) della campagna elettorale per il
rinnovo di consigli e presidenti in 7 regioni e di consigli e sindaci in 1.089
comuni. Un test importante, sul quale le varie forze politiche contano per
capire come procederà il futuro governativo e istituzionale del Paese: e lo sa
molto bene Matteo Renzi, che si è dato un gran daffare per sostenere il suo
partito, quel Pd di cui è anche (non dimentichiamolo) segretario. Bravo, lui,
che riesce a tenere separati i cappelli di capo del governo e segretario di
partito… ammesso che lo faccia davvero. Renzi non pare arcisicuro di un grande
successo, e si è lanciato in spericolati pronostici di stampo vagamente
calcistico (“dovesse finire 4 a 3…”) o tennistico (“conto nel 6 a 1”…). Mah,
ormai dovremmo esserci abituati, al presidente tifoso, al presidente vicino al
popolo, al presidente che si fa le selfie con gli operai… deja vu, ma chissà che
non paghi ancora. Una cosa è certa: la partita o il set, come la si voglia
definire, appassiona senz’altro il personale politico e d’altronde è il loro
mestiere, e pazienza se, per qualcuno, si prefigura eventualmente
l’eleggibilità, ma poi l’obbligo di dimissioni (roba da matti, vicenda pazzesca,
quella del piddino De Luca, che neppure nei peggiori incubi istituzionali
avrebbe potuto prevedersi). Il fatto è che si teme un enorme astensionismo. Ma
voi, ne sentite parlare, al bar, al mercato, per strada, delle elezioni
regionali? Va bene, in Lombardia non si vota, ma mi dicono che sia così
dappertutto. E se ciò si dimostrasse vero, andremo avanti così, senza colpo
ferire, assistendo allo sgretolamento delle basi partecipative della nostra
Repubblica? Intanto, ho letto nuovi dati: l'Italia è l'ultimo tra i 34 Paesi
Oese per occupazione giovanile (oltre il 40%). I “Neet”, i giovani né
(lavoro)-né (studio) sono arrivati al 26,09%, e non si sono ridotti neanche con
la recente riforma del lavoro. L'abbandono scolastico si unisce alla mancanza
delle competenze giuste. È vero, si vota per le regionali e comunali, non per le
politiche, ma anche Regioni e Comuni potrebbero fare cose molto serie per
provare ad intervenire su questi dati: quelli che si eleggeranno e quelli che
abbiamo già eletto. Forza, altrimenti la “generazione perduta” di mariomontiana
memoria rischierà di essere declinata al plurale. E però l'Istat ci annuncia,
dati alla mano, la fine della recessione. Speriamo che sia vero. Intanto,
coraggio, che il meglio è passato.
sabato, maggio 23, 2015
Almeno avessimo imparato qualcosa...
Il governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, è
ottimista: i segnali di ripresa sono sempre più evidenti, il peggio della crisi
è dietro le spalle. Ci sarà ancora da lavorare molto, ma la strada è quella
giusta. E’ un segnale che giunge anche dal mondo imprenditoriale: il clima,
insomma, è cambiato. Giorni fa pensavo a come verrà narrata, tra cinquanta -
sessanta anni, questa storia. Si parlerà, mi auguro, della forza d’animo di chi
ha resistito, ha reagito, e spero che quelle generazioni future lo facciano dal
punto di vista di chi ne è venuto fuori; ma spero che si parli anche del resto.
Di chi non ce l’ha fatta e non ce la fa, per esempio. Di chi, in un mondo di
sommersi e salvati, direbbe Primo Levi, è rimasto sommerso. L’Ocse ci dice che,
in Italia, l’1% dei più facoltosi detiene il 15% della ricchezza nazionale e il
40% della fascia più bassa si spartisce il 5%. Vorrei sperare che dalla crisi
non si esca con una situazione in cui chi era già ricco lo sarà di più, chi
stava discretamente sarà irrimediabilmente impoverito e chi era vicino ad
annegare ne resterà, appunto, sommerso. Non sarebbe un modo lungimirante di
uscirne. Vorrei sperare che la crisi - e anch’io ne voglio parlare come se fosse
dietro le spalle - ci abbia insegnato che, dagli altari alla polvere, il passo è
breve; che la rincorsa dissennata allo spreco e allo sfruttamento portano in un
precipizio. Spero che il mondo, allora, abbia imparato a fronteggiare le grandi
crisi internazionali e che le minacce di distruzione delle migliori forme di
civiltà umana siano state debellate. E poi, mi domando: la politica avrà
imparato qualcosa? Avrà capito che il bene comune è più importante del primato
nel cortile di casa? Avrà capito che occorrono, anche e soprattutto in politica,
tenacia, umiltà, capacità di ascolto, onestà? Come dite, ne dubitate?
Anch’io.
domenica, maggio 10, 2015
Imbonitori e sarti
Tutto secondo copione. La legge elettorale, che non è una barzelletta, ma che
stabilisce il modo con cui i cittadini possono eleggere i loro rappresentanti,
dando corpo, così, ad uno dei diritti democratici fondamentali (anche se sempre
meno cittadini se ne avvalgono…), insomma l’Italicum, adesso, appunto,è legge.
E' stato approvato in via definitiva dalla Camera con la procedura del voto di
fiducia. Ora, io non voterei neppure un capocondominio con il voto di fiducia.
Il governo pone la questione di fiducia su una legge, in quanto la qualifica
come un atto fondamentale della propria azione politica e fa dipendere dalla sua
approvazione la propria permanenza in carica. Sapete quante sono le fiducie
fatte votare dal governo Renzi? Arrivano, se si escludono le ratifiche di
trattati internazionali, al 70%. E come funziona la “fiducia”? Basta
chiacchiere, basta discussioni, dice il governo, qui si deve lavorare, qui si
produce, e allora, si voti la fiducia, altrimenti cade il governo stesso. Come
principio e come metodo, non c’è male. Non credo che venga utilizzato neppure
nelle famiglie più all’antica: ve li figurate, voi, un padre o una madre che
battono il pugno sul tavolo e dicono: “ora basta!”, e i figli tacciono ed
obbediscono, tremebondi? In Parlamento succede di continuo. E quando sarà
effettiva la riforma del Senato, i pugni da battere saranno ancora meno, con
meno fatica. Io non capisco come facciano così tanti parlamentari ad accettare
questo stato di cose: dalla carota al bastone, dai toni di imbonitore di paese
alla grinta del capo. O meglio, lo so: i capilista saranno bloccati, garantiti,
quindi, vi immaginate che appetiti si scateneranno? Tutto ruota attorno alla
figura del premier, al “sindaco d’Italia”, al capo del “partito della nazione”.
A me fa un po’ paura. Poniamo che “venga su”, come dicevano i vecchi, un tizio
con idee pericolosamente autoritarie (dice il mio lato ottimista: ma no, non
sarebbe possibile, in Italia siamo vaccinati… ma ribatte il mio lato non
ottimista: intanto, nelle liste delle regionali si stanno accettando elementi di
ogni risma…). Un premierato forte, che rischi comporterebbe? Chi farà da
arbitro, da garante, da contrappeso, visto che sparirà anche il bicameralismo?
Avremo, invece che un bipartitismo imperfetto un monopartitismo perfetto, si
chiede qualcuno? Questo percorso fa paura a molti, non solo a me, e non solo
alle opposizioni: lo abbiamo visto. In nessuna democrazia europea la
governabilità dipende dal premio di maggioranza. E poi, mi domando: strappo su
strappo, dove si intende arrivare? Chi potrà essere un sarto capace di
rammendare un tessuto così liso?
venerdì, maggio 01, 2015
Expo, respiro universale e miserie quotidiane
Sapete da cosa nasce l’idea dell’Esposizione universale? Tenuto conto che la
prima si tenne a Londra nel 1851, vi predominava il desiderio di mostrare le
capacità, l’industriosità, il genio di cui era capace l’essere umano. Un’idea
quasi illuministica: l’intelletto e l’operosità possono spingere l’uomo a
raggiungere traguardi impensabili; la scienza e la tecnica permettono di
dominare il mondo. Non a caso, per quella di Parigi del 1889 fu costruita la
Torre Eiffel, gigantesco simbolo della capacità umana di sfidare i limiti posti
dalla natura. È cambiato tutto, ovviamente, e la fiducia nella scienza e nella
tecnica è caduta, di fronte ai grandi disastri ambientali, al loro utilizzo per
dare morte anziché vita, e, soprattutto, all’incapacità di risolvere molti
grandi problemi dell’umanità. Non a caso, l’Expo di Milano è dedicata al cibo e
all’alimentazione: non è un argomento alla moda, ma, nel nostro mondo,
ipertecnologico da un lato (molto ridotto), e immerso, ancora in gran parte,
nella miseria, la vera e propria tortura della fame viene subita ancora da
moltissime persone. Ci sarà sostenibilità futura, in questa nostra Terra? Noi
siamo in altre faccende affaccendati, nel nostro scorrere quotidiano, spesso
difficile e faticoso: ma è bene prestare attenzione, ogni tanto, a questi grandi
temi. Servirà l’Expo per questo? Forse. Certo che non hanno aiutato le accuse di
malaffare intorno all'Expo, i tempi concitati di preparazione, gli svarioni,
come quello delle cartine geografiche sbagliate… speriamo che vada tutto bene.
Speriamo che non finisca come con Potemkin, che, per accontentare la zarina
Caterina di Russia, fece costruire bellissimi scenari di cartone per nascondere
la cruda realtà delle contrade che attraversava. Speriamo che il doverci
misurare con i problemi mondiali di tale importantissima natura faccia un po’
alzare la testa dalle nostre beghe quotidiane: ma non credo. Continuiamo ad
assistere ad una concezione proprietaria, un po’ bulgara, del potere e delle
istituzioni, che si discosta da una tentazione di autoritarismo quando assume
toni da infanzia offesa: “se non si fa come dico io, allora tutti a casa!”, “il
pallone è mio, le regole le faccio io, altrimenti non si gioca più”. Ne troviamo
le tracce a Roma, e anche a Cremona. Certo, è un meccanismo che sembra anche
funzionare, almeno per ora. Voglio solo sperare che l’Expo, con il suo respiro
universale, faccia alzare un po’ lo sguardo in alto, come intendeva fare la
Torre Eiffel
sabato, aprile 25, 2015
L’IRRESISTIBILE FASCINO DEL POTERE
Sappiate che giovedì 30 aprile verrà eletto il nuovo consiglio direttivo del
Consorzio Agrario. E allora? Direte: è cosa che riguarda gli agricoltori, certo,
ma il Consorzio è anch'esso un centro di potere economico, un asse portante
degli assetti del potere cittadino, al pari di Cremona Fiere, della Camera di
Commercio eccetera. Come tale, influisce sulle vicende cittadine. Le votazioni
preliminari per l'elezione dei delegati, svoltesi in questi giorni, hanno visto
prevalere la Coldiretti con 63 delegati, contro i 58 della Libera Associazione
Agricoltori. Quindi, sembrerebbe che il prossimo presidente del Consorzio possa
essere un “coldiretto”… ma le certezze non sono mai tali, quando c’è di mezzo un
potere importante. Le sorprese non si possono escludere: ci furono, lo
ricordiamo, nelle elezioni del 2009, quando, per contrasti interni, alcuni
delegati della Coldiretti, guidati dall'attuale presidente Voltini, “tradirono”
il mandato, votando la lista della Libera Agricoltori che proponeva Ernesto
Folli presidente. La Coldiretti, importante associazione, reclama oggi maggiore
spazio e potere: è ora di cambiare, “cambiare è possibile”, dicono e fanno
scrivere, avvalendosi di un momento favorevole, vista la debolezza dei vertici
dell'altra ancor più importante associazione, cioè la Libera. Venti anni fa, la
Libera presiedeva i più importanti gangli del potere economico: la Banca
Popolare di Cremona, la Camera di Commercio, l'Ente Fiera, il Consorzio, oltre a
detenere la proprietà del giornale “La Provincia”, che, per anni, ha costituito
una sorta di monopolio dell'informazione. Piazza del Duomo rimane ancor oggi la
rappresentazione plastica del potere: c'è quello religioso, quello
amministrativo (il Comune), quello economico, con la sede della Libera, proprio
sopra la Banca. Alla presenza perspicua della Libera nella mappa del potere
cittadino di allora veniva attribuito quel conservatorismo della città, così
definito, inteso come immobilismo e conservazione dello status quo. Questo
assetto di potere, ora, si sta sgretolando: è sempre più evidente, tanto che,
per conservare la presidenza di Cremona Fiere, c'è voluto l'intervento deciso e
decisivo di Arvedi, che ha imposto alle categorie economiche la conferma di
Piva. C’è da dire che durante la presidenza di Piva, per merito suo o del
management, la Fiera ha conquistato maggiore importanza e risonanza a livello
internazionale, e questo lo si deve riconoscere. Se poi questa possa essere un
motivo sufficiente del perché Arvedi si sia così speso, mettendosi di traverso a
molti, non è dato sapere. C'entra il possibile acquisto del giornale “La
Provincia”? C'entra la compartecipazione nell'Ilva di Taranto? C'entra
quant'altro? Non si sa , ma presto lo sapremo e avremo modo di tornarci. La
mappa del potere cremonese, comunque, si sta riorganizzando, come in quelle
partite di scacchi in cui alfieri, cavalli, re, regina, torri e... tante pedine,
a grandezza naturale, si muovono su una grande scacchiera.
sabato, aprile 18, 2015
Tutto cambia perché nulla cambi
Si sente spesso dire, e io stesso l’ho detto in più occasioni: la politica
ormai è un teatrino, con tanti attori che non partono da posizionamenti e scelte
precise, ma che si muovono sulla base del gradimento, del consenso, dei sondaggi
d’opinione. Ed è vero. Leggere le prime pagine dei giornali equivale, molto
spesso, a guardare un noioso incontro di tennis (che, quando è noioso, lo è
davvero!). Tant’è che anche i sommovimenti maggiori (il redde rationem nel
centrodestra, l’accelerazione della Lega in senso lepeniano, gli scossoni nel
Pd, che lascia per strada pezzi di partito, iscritti, deputati e anche il
capogruppo Speranza), diciamocelo, interessano poco. Ma… c’è un ma: abbiamo
questa sensazione di inconsistenza, perché, in realtà i giochi veri sono proprio
altrove. Il potere che oggi è quello “vero”, quello legato all’economia ed alla
finanza, eccome se si sta ristrutturando. E la sensazione è che a qualcuno
interessi moltissimo delineare la nuova mappa nazionale di questo potere. Vi si
vedono volti nuovi, ma non troppo. Rotture, ma nella continuità. Più o meno
giovani boiardi che sono cresciuti, comunque, nelle antiche case del potere, di
questo potere. Il potere è una categoria che, durante una stagione vicina
cronologicamente, ma lontana anni luce, nei contenuti e nello stile, si diceva
dovesse essere destrutturato, messo in discussione, decostruito. Questo potere è
oggi un moloch apparentemente invincibile. Gestisce le nostre cose e le nostre
vite. Garantisce il futuro di pochi, mentre per tutti gli altri il futuro sta
nella declinazione dei verbi: “Riformerò, rottamerò, farò, cambierò...”. Forse
ha ragione chi decide di scenderci a patti, perché la rivoluzione non è certo –
o non lo è mai stata – dietro l’angolo. Nel nostro “piccolo” gli esempi recenti
non sono mancati (leggi Ente Fiera), e nel bene o nel male il potere, quello che
decide, a prescindere, passa su tutto e su tutti. Tutto cambia perché nulla
cambi.
Daniele Tamburini
sabato, aprile 11, 2015
Il cielo è azzurro ma l’umore no
Si vorrebbe parlare della primavera che, ormai, si impone, nelle giornate più
lunghe e nei cieli azzurri, ma come facciamo ad ignorare i tempi oscuri? Quando
sono di umore nero non dovrei scrivere? Forse sarebbe meglio di no. Ripenso alla
tragedia del tribunale di Milano, e le mie riflessioni sono molto confuse e
ambivalenti. Da una parte, l’orrore di tre vittime uccise a freddo, mentre
stavano svolgendo il proprio lavoro. Eravamo tristemente abituati alle stragi
nelle scuole americane: il folle che entra e spara all’impazzata. Beh, ci stiamo
globalizzando anche in questo, e il rischio è che chi svolge un servizio
pubblico venga sempre più individuato come bersaglio “fisico” al posto di uno
Stato che si percepisce sempre più lontano e ostile. Ma vorrei dire
qualcos’altro: ho letto che il giudice ucciso era conosciuto per la sua
inflessibilità. E questo è senz’altro un merito: una giustizia corruttibile non
è giustizia, e il giudice Ciampi ha pagato con la vita la sua rettitudine. Ma
non ho potuto fare a meno di riflettere sulla solita prassi italiana
dell’utilizzo di due pesi e due misure. Mi riferisco alla condanna della Corte
di Strasburgo per il ricorso alla tortura nei giorni del G8 del 2001: tutti
abbiamo o dovremmo avere negli occhi le persone pestate, con una violenza
smisurata e ingiustificata, alla Diaz e a Bolzaneto. Qualcuno parlò di
macelleria messicana. E tutti sappiamo chi fosse, allora, capo della polizia:
Gianni De Gennaro, ora manager della Finmeccanica. E tutti abbiamo letto le
parole di Renzi: “massima fiducia in De Gennaro”, capo di quei poliziotti (pochi
per fortuna) che hanno compiuto quelle violenze ora condannate come reati di
tortura, al pari dell’Argentina dei generali golpisti. Qui la rottamazione non
vale, riflettevo, e il peso e la misura sono altri. Brutte riflessioni, non c’è
dubbio. Dov’è l’equanimità che si chiederebbe a chi regge la cosa pubblica?
Dov’è la responsabilità politica, mi chiedevo? Ma di quale responsabilità
politica si può parlare, quando un grande partito politico fa tesseramento
offrendo uno sconto per l’acquisto del biglietto dell’Expo? A quanto il 3x2? (e
spero di non avere dato un’idea…). È primavera, ma i pensieri non sono leggeri.
D’altronde, riflettere e pensare sono il solo spazio di autonomia che ci resta.
Almeno, così mi pare.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 28, 2015
Vogliamoci bene, pensiamo alla salute
L'inceneritore di Cremona chiuderà. O, almeno, così pare. Lo aveva assicurato
il sindaco Galimberti, già in campagna elettorale, e lo ribadisce il segretario
del Pd cremonese Matteo Piloni, in un’intervista che pubblichiamo su questo
numero de “Il Piccolo”. C’è da esserne soddisfatti? Sarà la volta buona che
“usciremo dal Medioevo della gestione dei rifiuti”, come, con felice
espressione, ha detto il coordinatore di Sel, Gabriele Piazzoni? Noi abbiamo
sempre sostenuto questa scelta, e anzi, c’è da chiedersi come mai, nelle aspre
polemiche degli ultimi tempi, il tema della salute pubblica non sia emerso con
sufficiente chiarezza. La salute pubblica è, o meglio dovrebbe essere, a norma
di Costituzione, un bene pubblico inalienabile e non contrattabile: sia perché
ciascun individuo è unico ed irripetibile ed ha il diritto alla vita ed alla
salute; sia perché, in termini forse più freddi, ma veri, il costo sociale di
malattie importanti, che, come è provato, possono essere provocate
dall’inquinamento, è enorme. La vicenda amianto, da questo punto di vista,
dovrebbe essere una lezione incancellabile. Tutto bene, quindi? Speriamo.
Speriamo che non prevalgano le ragioni legate alla convenienza contingente di
tenere aperto un impianto, la cui chiusura comporterebbe, secondo lo studio del
Politecnico, un forte impatto economico: circa 38 milioni di euro. Speriamo che,
in questo percorso, sia tutto trasparente: noi ci fidiamo delle rassicurazioni,
ci mancherebbe, ma le vicende legate a telefonate concitate, a scambi di mail
“riservate”, a dimissioni presentate non rassicurano poi troppo. Ci chiediamo
ancora una volta: perché non esprimersi con chiarezza sempre, e non solo nei
comunicati ufficiali? Perché non essere trasparenti sempre? Perché non dire:
guardate, noi confermiamo la scelta, ma certamente i problemi ci sono, quindi
affrontiamoli con ponderazione insieme? Perché l’arte del governare deve, troppo
spesso, ridursi ad essere arte del “dico e non dico”?
Va beh, vogliamoci bene e
pensiamo alla salute.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 21, 2015
Cesarismo de’ noantri
A me piacciono i programmi di storia, mi piace molto la storia di Roma
antica. Capisco perché gli americani ci abbiano fatto così tanti film: è epica,
eroica e umana al tempo stesso. Sere fa, ho visto un programma su Giulio Cesare.
Ne parlano Plutarco e Svetonio, mica scherzi. Cesare a cui viene offerta la
corona, e lui la rifiuta, la lancia via, ma gliela ripropongono, e ancora lui la
lancia via… sembra davvero di stare in un film: intorno, i maestosi marmi di
Roma. Ma i congiurati non si fidano, sanno quanto Cesare, in realtà, ami il
potere, e affilano i pugnali. E ora, immaginiamo le nostre piazze, le nostre
strade, i nostri Comuni: non il foro di Roma. Là Cesare, qui personaggi che sono
a lui comparabili per un verso solo: la ricerca del potere. Un cesarismo de'
noantri, è quello dei nostri politici (e non solo), mi veniva da dire guardando
il programma. E non si smentiscono mai… pensiamo al caso Zamboni - inceneritore.
Si tratta, evidentemente, di una questione molto delicata: dietro c’è tanta
roba. E guardiamo l’incredibile superficialità, l’alzata di spalle con cui il
Comune ha tentato di liquidare la faccenda. Meno male che si parla di
trasparenza, di capacità di comunicazione istituzionale. Non sanno neppure
trattare i media con equanime attenzione. Certo, è palese che l'opposizione
abbia voluto convocare la commissione quel giorno lì, in maniera anche
pretestuosa, per mettere in difficoltà la maggioranza, ma, appunto,
l'opposizione fa l'opposizione. Zamboni dice che l’assessora lo ha pressato
perché non si presentasse alla suddetta commissione. Caspita, si aspettava che
lui tacesse? È davvero così ingenua? Se è arrivato a dare le dimissioni, c’è
dietro qualcosa di grave, o no? Raramente un manager presenta le proprie
dimissioni per una crisi mistica o per darsi all’ippica. Domanda sul caso
all’assessora: e questa risponde in modo arrogante. Niente di nuovo sotto il
sole, è lo spirito dei tempi, è, appunto, il cesarismo de' noantri. Un
atteggiamento che a me non piace e che non dovrebbe essere proprio di una
persona incaricata di pubblico ufficio, ma, ormai, le cose vanno così. In taluni
casi può essere che il potere dia alla testa, ne abbiamo di esempi, hai voglia
tu, e non solo nelle istituzioni. Li metti lì, sul gradino più alto, e alcuni
diventano arroganti, fanno la voce grossa, si fanno tronfi; altri diventano
improvvisamente onniscienti: so io cosa bisogna fare. Ma tutti sanno bene quando
scodinzolare, quando invece voltarsi dall'altra parte. Alcuni, poi, si
atteggiano a grandi manager, salvo combinare disastri. Però l’ingenuità no, non
è scusabile, ed è anche pericolosa. È un'ingenuità che non fa i conti con la
realtà, con i rapporti di forza, con come stanno le cose. L'assessora dovrebbe
dare le dimissioni? Per carità, non lo farà, non lo fa nessuno (però il ministro
Lupi le ha date: chapeau). Ma ci sentiamo di suggerire una cosa: signor sindaco,
se dimissioni dovessero esserci, anche solo un accenno… colga l’attimo, le
accolga subito.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 14, 2015
Senza Parole...
Certo che la vicenda del finanziamento della manifestazione “Le corde
dell’anima” è quanto meno singolare, se cerchiamo di vederla con occhi liberi da
preconcetti. Allora: il Comune sostiene che, fin dallo scorso settembre, aveva
fatto sapere a PubliA (organizzatrice della manifestazione) che non sarebbe
stato in grado di assicurare, per il 2015, lo stesso contributo erogato nel
2014. Da notare che i novantamila euro dati nel 2014 erano addirittura il triplo
rispetto agli anni precedenti, e questo in tempi già difficili per i bilanci
dell’Amministrazione. Ma tant’è: mi pare di ricordare che, lo scorso anno, ci
siano state le elezioni per la carica di sindaco e che il giornale La Provincia
sostenesse apertamente la candidatura di Perri... Comunque, il sindaco
Galimberti propone di svolgere una edizione ridotta, magari in collegamento
all’Expo di Milano, potendo assicurare una cifra, al massimo, di trentamila
euro. Dall’altra parte, giunge una risposta che, francamente, stupisce: allora
non se ne fa di nulla. Ma come, non era possibile fare una manifestazione ad un
costo inferiore? O magari, non era possibile prevedere alcuni spettacoli a
pagamento, in modo da poter compensare il minor contributo pubblico? Forse non
sarebbe stato più conveniente mettersi attorno a un tavolo e vedere che cosa era
possibile fare? La concertazione non è più di questo mondo? Il confronto
neppure? Allora il Comune è scevro di responsabilità, completamente trasparente?
In questa vicenda, sembrerebbe proprio di sì. Ma ecco che, su un altro versante,
arriva una doccia fredda. Il presidente di Aem Gestioni Federico Zamboni dà le
dimissioni, denunciando «pressioni» da parte dell’Amministrazione perché non si
recasse ad una audizione della Commissione vigilanza del Comune. Il fatto, se
confermato, sarebbe di una gravità inusitata: roba da singolar tenzone! Invece,
il Comune, serafico, risponde: «Prendiamo atto dell’annuncio di dimissioni da
parte del Presidente Zamboni e lo ringraziamo per il lavoro svolto». Aplomb?
Imbarazzo? Non lo so proprio. Da una parte si invoca la trasparenza, dall’altra
si mette il silenziatore ad una bomba. Che succede in piazza del Comune? C’è
doppiezza? Ci sono piani separati? Qualcosa si può dire e qualcosa no? Vedo in
giro gente stanca, demotivata, attonita, stizzita, incazzata... Da ultimo vi
racconto questa. Giunge in redazione una lettera firmata Renato Fiamma,
l'assessore del Pd, quello per il quale l'ampliamento del poligono di tiro
potrebbe risovere i problemi economici, occupazionali e di turismo a Cremona.
Pubblichiamo fedelmente il contenuto della lettera e come conseguenza veniamo
tacciati di scrivere il falso. Scopro che la lettera non solo non era stata
scritta da Fiamma, ma l'occulto estensore non si era nemmeno preoccupato di
avvertire l'assessore. La mozione per l'ampliamento del poligono viene
presentata, lunedì scorso, in consiglio comunale e approvata a larga
maggioranza, nonostante i distinguo del sindaco e i mal di pancia di buona parte
del Pd, costretti a sottostare ad una specie di ricatto. Mah, che dire, non ho
parole... Domani me ne vado al mare, lontano da tutto questo.
Daniele Tamburini
sabato, marzo 07, 2015
Cosa c’entra Tognazzi con il poligono di tiro?
Vi ricordate i basettoni? E il borsello? Gli abiti alla moda, di quel tempo,
che oggi sembrano così ridicoli? La 600 Fiat con la quale andavamo a scoprire il
mondo, e poi le danze delle donne che rivendicavano il loro ruolo e l’impeto
delle manifestazioni politiche, il livello di scontro che si alzava. Avevamo
tanti sogni, tante speranze, in quegli anni ’70 (allungati al finire dei ’60 ed
all’inizio degli ’80): per il presente e per il futuro. E persino la Balena
bianca, la Dc, dava voce ai diversi modi di vedere il mondo e le cose. Le
correnti, così spesso aspramente criticate, erano anche dislocazioni di potere,
ma non solo: c’erano diversificazioni reali, politiche e culturali. Si sentiva,
si percepiva, che una pluralità di emozioni di voci, di aspettative, di idee
percorreva il Paese. Non si sottraeva, Ugo Tognazzi, a quella temperie. Una
certa malinconia, simile a certe caligini padane, e la grande capacità di
interpretare umori e debolezze della società a lui contemporanea. C’erano stati
il federale e i mostri, poi l’immorale e il ruolo nel “Porcile” di Pasolini, e
poi il conte Mascetti e l’umanità vivisezionata de “La terrazza”, e la
straordinaria “Tragedia di un uomo ridicolo”. Eppure, Tognazzi non era il
classico attore “impegnato”: viveva nel suo tempo, viveva il suo tempo con
occhio attento e partecipe. Si sentiva uomo del suo tempo (collaborò anche allo
scherzo del “Male”: “Tognazzi capo delle Brigate rosse!”). Ecco il punto:
sentirsi partecipi del proprio tempo, e non, semplicemente, oggetti passivi, che
è il grande rischio di oggi. Lo vedo, ahimè, anche nei giovani. Lo vedo in chi
non spera più, o non ha mai sperato, di poter avere voce in capitolo, di essere,
magari un minimo, protagonista delle scelte e delle situazioni. In alto sopra di
noi, la cupola mondiale delle banche e della finanza e di una politica che non
ti guarda negli occhi, che non ascolta, ma che blandisce e proclama. Più vicino
a noi, vediamo nei ruoli decisori persone che, magari, subordinano le proprie
scelte di appartenenza al fatto di non ricevere soddisfazione alle proprie
richieste. Che dire? Un tempo si decideva l’appartenenza rispetto a cosa si
pensava della guerra nel Vietnam, oggi rispetto all’accoglimento o meno della
proposta di ampliare un poligono di tiro. Mah, a volte mi dico, sconsolato, che
forse hanno ragione ora. Adesso, che ho più passato che futuro, sia chiaro non
rimpiango niente: ho vissuto il mio tempo, ne sono stato partecipe, ho fatto
quello che volevo fare, quello che mi piaceva fare, con passione e caparbietà.
Quella caparbietà che anche oggi mi consente di vivere questo tempo indistinto
che, a dire il vero, mi piace un po' meno.
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 21, 2015
COME SE FOSSE ANTANI...
Dice il presidente del Consiglio: “Sono gasatissimo”. E’ lì con Marchionne e
si fanno pubblicità a vicenda. Marchionne deve vendere le Fiat, Renzi deve
vendere se stesso: e gli riesce benissimo. Che lo ritraggano su un muletto, o
mentre dà il cinque a qualcuno, o mentre sussurra all’orecchio della signora
Merkel, è sempre spiazzante. E’ vero, è un ottimo giocatore, è anche un uomo
senza scrupoli (“stai sereno, Enrico… stai sereno, Silvio”). Si è circondato di
figure che non gli fanno affatto ombra, anzi: ministri e ministre, sembrano così
quieti, così mansueti, così in linea. Se si espongono, è palese che lo fanno per
permettere a Lui di correggere, bacchettare, rettificare. Da ultimo è toccato a
Gentiloni. Ma intanto, il messaggio è lanciato. Ho provato a leggere alcuni blog
di politici suoi seguaci: dal “twit” del capo discendono commenti e valutazioni,
tutti encomiastici, tutti entusiasti. L’Ocse dice che siamo sulla strada giusta?
La notizia viene fatta rimbalzare ovunque (chissà se c’è qualcuno che si chieda:
e chi è, l’Ocse?). Le organizzazioni come la Caritas, viceversa, dichiarano che
tanta, troppa gente è allo stremo: non se ne parla proprio. Non c’è che dire, il
premier porta a casa ciò che gli interessa davvero; resta da vedere se ciò che
interessa a lui (la messa in un angolo di Berlusconi, l’elezione di Mattarella,
l’Italicum, le riforme costituzionali etc…) interessa alla popolazione. Forse
sì, forse la gente ha bisogno di ascoltare frasi come: basta con l’industria
della lagna, supereremo la Germania, vinceremo sulla globalizzazione… Come aveva
bisogno di sentire anche le precedenti: meno tasse per tutti, un milione di
posti di lavoro… e, andando ancora all’indietro: un pacco di pasta per tutti…
Eppure, erano state tante le promesse: una su tutte, la cultura sarà
valorizzata, è il petrolio italiano… ma intanto Pompei continua a sgretolarsi. E
gli F35? avevano promesso di ridurne l’acquisto sensibilmente, ma dagli Usa
giunge notizia che non se ne parla proprio. E magari, il governo con l’elmetto
commenterebbe anche: “ma ora c’è l’Isis!”, salvo poi mettersi un berrettino di
lana e rassicurare che noi, guerre non ne faremo. Mah. Mi viene in mente il
nostro grande Ugo in “Amici miei” con la sua supercazzola: “Come se fosse
antani….”.
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 14, 2015
Nel resto del mondo... è semplicemente inverno
Il concetto di fondo che abbiamo ascoltato questa settimana, da parte
dell'Amministrazione comunale, così come l'ho percepito io, è quello
dell'inevitabilità. Inevitabili i disagi derivanti dalla nevicata "eccezionale";
inevitabile che ci voglia tempo - tanto tempo – (troppo tempo), per portar via
mezzo metro di neve; inevitabili le auto bloccate, le persone che non potevano
camminare sui marciapiedi, i nonni a rischio caduta, per giorni, mentre
portavano i nipoti a scuola, gli asili con gli accessi impraticabili.
Inevitabile, pare, dover spalare piazza del Comune e piazza Stradivari. Certo;
però, forse, le scuole avrebbero potuto avere la precedenza. L'assessora
competente risponde alle critiche un po' in maniera rituale, e un po' in modo
stizzito: del resto, dice: “... è stato fatto un lavoro straordinario... il
piano neve ha funzionato a dovere”. Ma se molti cittadini non sono d'accordo, e
si sono fatti sentire, qualche motivo ci sarà, o no? È vero, amministrare una
città significa non poter accontentare tutti; di questi tempi, poi... Ma noi
siamo certi che amministrare una città significhi anche andare al confronto e
accettare anche critiche che si considerino ingenerose. Amministrare non è una
chiamata divina, non è una missione, non è neppure una scelta obbligata: è un
servizio che si sceglie volontariamente di dare. Un servizio oggi
difficilissimo, specie per chi amministra i Comuni, sottoposti dal governo a
tagli micidiali. Strano che gli amministratori non sottolineino di più questo
aspetto. Ma forse, non è così strano. E comunque, se cinquanta centimetri di
neve da noi rappresentano un evento, quasi drammatico, di difficile e complicata
gestione... nel resto del mondo, è semplicemente inverno.
Daniele Tamburini
Daniele Tamburini
sabato, febbraio 07, 2015
COME TANTI, BRAVI, PICCOLI TAFAZZI...
Un venerdì da incubo in città e nei paesi. Ore 14.30, sono sulla via Mantova,
verso Gadesco, devo andare, non posso farne a meno. È vero, è caduta moltissima
neve, ma ormai da diverse ore non nevica più, eppure le strade sono un disastro.
Stiamo procedendo a passo d’uomo, e quindi c’è tempo per riflettere, su tante
cose. La prima è l’amara constatazione che sempre facciamo in queste
circostanze: siamo andati sulla Luna quasi 50 anni fa, stiamo lavorando con 2.0
e droni, ma basta una forte nevicata e tutto va in tilt. Ci sarà una soluzione?
Il fatto è che vedo pochi mezzi, pochi uomini, forse anche poco sale. E penso:
sono questi, evidentemente, i primi risultati dei tagli lineari ai bilanci degli
enti locali? Questo è il primo risultato dell’operazione sgangherata che è stata
condotta sulle Province, per esempio? Sindaci, presidenti eccetera avranno anche
amministrato male in passato, in alcuni casi; sicuramente ci saranno stati
sprechi; ma, all’italiana, cosa si è pensato di fare? Di rendere ingestibile
quel che era già difficile reggere; di tagliare senza pietà quei servizi che già
languivano. Invece di razionalizzare, sfrondare, sistemare, si è tagliato
indiscriminatamente. Invece che un ragionamento serio, una serie di tagliole.
D’altronde, chi parla più del dossier Cottarelli, che aveva individuato – pare –
spese da razionalizzare davvero, senza colpire i servizi al cittadino, e che è
sepolto, sparito, sommerso chissà dove? Aboliamo le Province, gridavano, certi
politici, con la bava alla bocca. Mi sa che, più che colpire la casta, abbiamo
fatto come Tafazzi e colpito a morte i servizi. Medito ancora, mentre ancora
vado a passo d’uomo. Siamo tante scatole semoventi in fila, mentre il tempo,
prezioso, scorre, i droni, forse, volano, e i sacchi di sale sono desolatamente
vuoti.
Daniele Tamburini
Daniele Tamburini
Torrazzo Srl: così la ’Ndrangheta si spartiva il nostro territorio
General Contractor ed Edilstella: le due “società-fortino” da cui si controllava il territorio cremonese
Nelle carte dell’indagine “Aemilia”, Cremona risulta «un punto di riferimento» importante dell’impero dei Grande Aracri
di Michele Scolari
Altra ‘ndrangheta». O «’ndrangheta emiliana». E’ il fantasma inseguito per
anni da magistrati e investigatori (e di cui abbiamo più volte parlato su queste
colonne negli ultimi due anni). Ora sappiamo nei dettagli cos’è. Avvisaglie non
erano mancate. Ma l’indagine Aemilia (160 arresti, di cui 117 emessi da Bologna)
è mastodontica rispetto a Grande Drago, Edilpiovra, Scacco Matto e Pandora. «Una
svolta storica senza precedenti», per dirla con le parole di Franco Roberti,
procuratore nazionale antimafia. Un terremoto che ha colpito duramente
l’epicentro settentrionale del potentato afferente al boss Nicolino Grande
Aracri, propaggine della “locale” di Cutro e infiltrato nei gangli vitali del
tessuto emiliano, cremonese, mantovano e veneto, arrivando a intrecciarsi con
profili di imprenditorialità, in particolare l’edilizia, la politica e, ancor
più pericolosamente, l’informazione. È su questa “zona grigia” che si è
concentrata e dovrà continuare a concentrarsi l’attenzione. E il terremoto
giudiziario non ha risparmiato neppure Cremona: dieci arresti, tra città e
dintorni (sei con l’accusa di associazione mafiosa, tra cui un ex funzionario
della Polstrada, ora in carcere in Venezuela). Nomi eccellenti e noti da tempo,
assieme a qualche nome nuovo. Certo, dall’omicidio “Dramore” degli anni ’90 si
sapeva di una cellula operante autonomamente nel territorio piacentino cremonese,
riferibile a Nicolino Grande Aracri, sgominata una prima volta dall’indagine
Grande Drago del 2002; nel 2012 si sapeva che «è la direttrice Reggio- Cremona
quella alla quale occorrerà stare particolarmente attenti in futuro» (aveva
avvertito il sostituto procuratore della Dna Roberto Pennisi); nel 2013 si
sapeva che il caso di usura scoperto a Cremona a maggio (quel filo affiorante
che, tirato, ha permesso di dissotterrare la spaventosa rete ‘ndranghetista
scoperta da Aemilia) appariva «connesso a fenomeni anche pregressi di usura
sistematica connessa ad ambienti della criminalità organizzata» (osservava già
allora il gip di Cremona Guido Salvini); ancora nel 2013 si sapeva del
persistere di «costanti attività delittuose legate alla criminalità organizzata
nel territorio di Cremona e Mantova» (riferiva il Rapporto della Dia milanese);
nel 2014 si sapeva dell’incidenza sul territorio di Cremona di «soggetti
ritenuti legati alla cosca Grande Aracri di Cutro» (si leggeva nel rapporto
Dna); si sapeva che, in questi anni, questi soggetti si stavano infiltrando con
modalità nuove nel tessuto economico locale, nell’edilizia e nel settore
immobiliare (rapporto Dna 2014); si sapeva che si trattava di «potentati mafiosi
crotonesi tali da far impallidire quelli reggini» (come aveva dichiarato il
procuratore Roberto Pennisi). E si sapeva, dalle parole del pentito Luigi
Bonaventura, che la ‘ndrangheta “emiliana” si era rafforzata estendendosi
progressivamente in una “Provincia” (“cupola” forte di più potentati mafiosi)
che investiva in pieno Cremona, come si vede nella cartina. Ma un ciclone delle
dimensioni di Aemilia forse pochi se l’aspettavano. IL TERZIARIO DELLA
‘NDRANGHETA – Eccola dunque, la “altra ‘ndrangheta”. Quella ‘ndrangheta che «si
rimodella in base al territorio in cui viene a trovarsi, agendo in modo
sotterraneo e subdolo». Quella ‘ndrangheta che non colonizza ma “delocalizza”:
ciò significa che il “ramo” dell’impresa “madre” (la ‘ndrina con base il
Calabria) sistemato nel nuovo territorio (ad esempio, Reggio o Cremona) è
subordinato al “centro direttivo” rimasto in Calabria, il quale crea una sua
rappresentanza nel luogo della “delocalizzazione” mettendovi a capo un
“institore” (termine del diritto commerciale), «vero alter-ego del boss con il
compito di sovrintendere a tutta l’attività criminosa svolta dall’associazione e
di acquisirne i proventi». Ma, si legge ancora nelle carte, «la dipendenza dal
capo-società non è però totalitaria ed asfissiante»: la ‘ndrina piacentina-
cremonese e quella reggiana «godono infatti di grande autonomia, nel rispetto di
regole che fanno della ‘ndrangheta un’organizzazione del tutto verticistica.
Difatti, i responsabili delle cellule emiliane possono gestire i loro affari
autodeterminandosi, decidendo cioè i traffici illeciti da attuare, avendo cura
solo di riconoscere una percentuale sui profitti illeciti a favore». È questa
“terziarizzazione” dell’organizzazione, che la rende simile ad una società di
servizi (come l’ha definita perfettamente il giornalista Giovanni Tizian), la
novità. È la nuova dimensione economica e finanziaria della ‘ndrangheta, ora non
più relegata a qualche indagine locale. Non è più soltanto una metamorfosi
estetica (dalla coppola alla cravatta) ma professionale: non più attività
“vetero-criminali” (sequestri, grandi partite di droga, prostituzione) ma frodi
fiscali, fatture false, marketing, investimenti e prestiti (ad usura). E questo
in tempi di crisi, in cui i cordoni delle banche sono sempre più stretti e
l’imprenditoria ha un disperato bisogno di credito. Ed ecco spiegato anche il
perché di quella strana «quiete», di quella «stasi» (si fa per dire) di cui
Pennisi aveva parlato relativamente alla zona di Reggio, Cremona e Piacenza
negli anni successivi alle sentenze del processo Grande Drago, pronunciate nel
2008 dal Tribunale di Piacenza. La situazione tra Emilia e Cremona «si muoveva
poco – con le parole del pentito Bonaventura -. Sembrava che si muovesse poco…
non c’è più la caciara che… come c’era prima… perché adesso… si sono creati
degli investimenti veramente importanti in quell’area, per questo magari sembra
che ci sia un po’ di silenzio no? Ehhh… (…) silenzio che non si spara». CREMONA:
UN «PUNTO DI RIFERIMENTO » – Per quanto riguarda il filone di Cremona, dalle
carte dell’inchiesta, emerge come anche dopo il 2008 (l’anno delle sentenze
dell’operazione Grande Drago) la nostra città avesse continuato ad essere sede
di una delle due ‘ndrine, indicate dal pentito Angelo Salvatore Cortese come
«quelle vere e proprie… le operative»: una attiva «a Reggio Emilia, con
competenza allargata alle province di Modena, Parma, fino a Bologna»; l’altra
attiva tra Piacenza e Cremona, «con a capo Francesco Lamanna». «Le due ‘ndrine
distaccate, sebbene fortemente interconnesse tra loro, sono tuttavia riferibili
a due famiglie diverse, benché saldamente alleate: mentre quella di Reggio
Emilia è congiuntamente gestita dai Nicoscia e dai Grande Aracri, quella
insistente tra Piacenza e Cremona è ad esclusivo appannaggio del Grande Aracri,
pur rimanendo “a disposizione del clan”». In questo quadro, Cremona risulta un
vero e proprio punto di riferimento: «Le persone di giù sanno che a Cremona c’è
Franco Lamanna – spiegava Cortese agli investigatori – se c’ho bisogno di
qualcosa, un appoggio di qualsiasi cosa, io vado da Franco Lamanna, perché “mi
serve una macchina rubata, vedi che dobbiamo fare una rapina, dobbiamo… ci serve
per fare un traffico di droga” cioè è un punto di riferimento che c’è, e si
stacca, lo puoi fare dove vuoi». LE DUE SOCIETA’-FORTINO DI CREMONA – Le carte
dell’indagine parlano di due società consortili con sede legale a Cremona e
operative a Castelvetro (Pc): la General Contractor Group e la Edilstella Srl.
Da queste postazioni, secondo gli inquirenti, Francesco L. avrebbe controllato
il territorio. In queste società «avevano a vario titolo il controllo o
possedevano quote di partecipazione determinanti (direttamente o per interposta
persona)» R.V. (ritenuto figura centrale nella gestione), Francesco L. (di
Cremona) ed altri tre soggetti: M.C. (di Castelvetro, ex sovrintendente della
Polstrada, accusato tra l’altro di essersi introdotto «abusivamente nel sistema
informatico denominato Sistema di Indagine, in dotazione alle forze di polizia,
sistema protetto da misure di sicurezza, con abuso dei poteri e violazione dei
doveri inerenti la sua funzione di ufficiale di p.g. e con violazione delle
direttive concernenti l’accesso allo Sdi da parte di appartenenti alle forze
dell’ordine»), V.M., (cutrese di Castelverde, che «deteneva armi da fuoco a
disposizione dell’associazione »), e i fratelli P.V. e R.V. (cutresi di
Castelvetro), accusati, assieme ad assieme a F.L. (anch’egli cutrese di
Castelvetro) di tentata estorsione ai danni di un imprenditore del paese
(«avvalendosi della condizione di intimidazione derivante dalla loro
appartenenza alla ‘ndrangheta ed in particolare all’articolazione
‘ndranghetistica emiliana, avente epicentro nella provincia di Reggio Emilia»);
a questi si aggiungono S.M., cutrese residente a Corte de’ Frati, ritenuto
«costantemente a disposizione di Lamanna Francesco» di cui sarebbe «autista e
factotum» e «punto di riferimento degli altri sodali di Castelvetro Piacentino»,
nonché «in possesso di armi da fuoco»; G.M., cutrese residente a Sesto ed Uniti,
«in possesso di armi da fuoco»; S.C., di Bagnara, accusato di avere
«illegalmente detenuto e portato una pistola a tamburo e relativo
munizionamento»; e P.V., di Castelvetro. Eccetto gli ultimi tre, per gli altri
l’accusa è di associazione a delinquere di stampo mafioso. I primi sei, «nella
piena consapevolezza della provenienza di parte del denaro affidato a R.V.
dall’associazione mafiosa dei Grande Aracri di Cutro, lo investivano
nell’attività di fatturazione per operazioni inesistenti oggetto sostanzialmente
dominante dell’attività del gruppo di società sopra indicate». La Edilstella
«funge da trait d’union con numerose altre società riferibili a soggetti
originari di Cutro e risulta essere stata utilizzata come copertura per compiere
attività illecite quali il riciclaggio di denaro proveniente da usura o altri
reati attraverso false fatturazioni su lavori inesistenti». Dal canto suo, la
General Contractor, secondo le accuse, sarebbe anche servita a coprire, tramite
l’emissione di false fatture, una tentata azione estorsiva da parte di F.L. e
P.V. ai danni di un imprenditore di Castelvetro. E il metodo utilizzato per il
riciclaggio ricostruito dagli inquirenti risulta indubbiamente ingegnoso: «Il
denaro contante, dopo essere stato consegnato ad una società – sulla carta –
appaltante, che non ha alcun legame con l’organizzazione calabrese, viene quindi
trasmesso mediante bonifico al Consorzio “Edil Stella” che a sua volta, lo gira
a società correlabili al sodalizio in qualità di operatori in subappalto nei
lavori fittizi o direttamente al finanziatore del denaro contante. Tutte queste
movimentazioni vengono quindi rese lecite mediante una serie di false
fatturazioni nel campo edile». Insomma, la quantità di denaro per i necessari
investimenti del clan, che prima veniva creata attraverso le metodologie
“militari” delle attività “vetero-criminali”, anche a Cremona avveniva ormai con
i nuovi illeciti para-legali. Ed ora, come ha ricordato il procuratore capo di
Bologna, Roberto Alfonso, quella «mafia imprenditrice » inseguita per anni come
un fantasma «l’abbiamo scoperta e perseguita proprio in casa nostra».
L’ombra di cutro su rifiuti, night club e immobiliare
A Cremona permangono situazioni non chiare in cui spuntano ancora nomi di cutresi già coinvolti nella Grande Drago
Dalla discarica di Cignone ai possibili intrecci tra ‘ndrangheta e camorra nel settore a luci rosse
Il salto di qualità della ‘ndrangheta “terziarizzata” compiuto dalla rete dei
vassalli emiliani del presunto boss Nicolino Grande Aracri lo abbiamo visto
nella prima parte dell’inchiesta. La data d’inizio la conosciamo: il 1982,
quando il boss cutrese Totò Dragone arrivò in terra emiliana (il suo posto
l’avrebbe poi preso l’attuale presunto boss, Nicolino Grande Aracri, estesosi
poi nel cremonese e nel mantovano). Ma si può dire che i 160 arresti di
“Aemilia” segnino la data di scadenza? Le mafie sono come monete false: prima o
poi saltano sempre fuori. E, oltre alla dimensione da holding finanziaria,
l’altra novità preoccupante è l’occupazione non più “militare” del territorio,
ma «dei cittadini e delle loro menti» (come ha sottolineato il sostituto
procuratore antimafia Roberto Pennisi nella conferenza stampa del 28 gennaio).
Ha scritto il giornalista Giovanni Tizian: «La sensazione è che siamo solo
all’inizio. Come fu per la Lombardia dopo la maxi operazione Crimine (300
arresti tra Calabria e Lombardia nel 2010), che diede il via a decine di
operazioni della stessa importanza. Questo perché una volta aperti, certi vasi
sono più profondi di quel che potevamo immaginare». E come dargli torto? In
Emilia e a Mantova restano numerose zone d’ombra. E lo stesso si può dire per la
provincia di Cremona, dove persistono ombre nel traffico dei rifiuti,
nell’immobiliare, nel giro dei night club che per ora sembrano essere rimaste
fuori dall’inchiesta. TRAFFICO ILLECITO DI RIFIUTI – Un soggetto cutrese
(C.O.M.), già comparso tra quelli dell’indagine Grande Drago del 2002, è
rispuntato nell’affaire della mega discarica abusiva sequestrata dal Noe di
Brescia nel maggio del 2012 in un vecchio impianto di betonaggio a Cignone
(Corte de’ Cortesi). Nel periodo della conduzione “cutrese” del terreno,
numerose testimonianze parlano di estorsioni perpetrate in paese. E un
imprenditore edile cremonese (che ha chiesto l’anonimato) indica
l’amministratore “fantasma” della società intestata a C.O.M. in un secondo
cutrese, che sarebbe rimasto fuori dalle carte della società a “tirare le fila”
da dietro la tenda: «Questa è la parte peggiore della ’ndrangheta – commentava
l’imprenditore edile – perché non fanno neppure girare denaro, per quanto
illecito: si limitano ad un’azione di solo parassitismo, sfruttando e ripulendo
società in perdita senza costruire o produrre nulla». CONTROLLO E SVUOTAMENTO
AZIENDE IN CRISI – Curioso anche il caso di un’azienda in crisi in un paese del
territorio di Casalmaggiore, relativamente alla quale è emerso un metodo di
“svuotamento delle aziende” analogo a quello identificato da Roberto Pennisi per
la “altra ’ndrangheta” e la camorra in molte zone dell’Emilia e del territorio
Veneto. Nel 2012, l’azienda è risultata affittata ad alcuni misteriosi soggetti
“senza storia” e di origine campana, comparsi all’improvviso dal nulla;
all’inizio del 2013, lo stabile era inspiegabilmente chiuso anche ai legittimi
proprietari ed agli operai: nessuno vi accedeva più. Alcuni testimoni riferirono
di aver udito all’interno, nei mesi successivi (circa da febbraio a giugno
2013), continui rumori di macchinari smontati e materiale metallico segato,
segnalando un intenso via vai soprattutto notturno di autoarticolati che
entravano in azienda con i cassoni scoperti e vi uscivano di nuovo coperti con
teloni. Poi i soggetti sparirono assieme al nome ed alla persona giuridica della
società. NIGHT CLUB E POSSIBILI INTRECCI ‘NDRANGHETA-CAMORRA – Nella zona di
Cremona, ombre preoccupanti si allungano anche sul settore dei night club. Da
indiscrezioni circolate negli ultimi tempi (per le quali si attendono verifiche)
si parlerebbe di un’azione congiunta di soggetti cutresi già coinvolti
nell’operazione Grande Drago (uno comparso anche nel caso della discarica di
Cignone) e legati alla ‘ndrina di Grande Aracri, con altri legati ad ambienti
camorristici di Torre Annunziata (e tra questi ultimi, incuriosisce il nome di
un soggetto legato ad un partito politico di centro e più volte immortalato
assieme ad un noto parlamentare centrista). Oltretutto, alcuni dei soggetti di
parte cutrese risultano legati ad altri soggetti cutresi residenti in Emilia che
spuntano dalle carte della maxi-operazione “Venus” scattata nel 2012 a Parma
contro il racket della prostituzione. AGENZIE IMMOBILIARI SENZA SEDE E
COMPRATORI “NULLATENENTI” – Di strani movimenti si parla anche nel settore
immobiliare, dietro un’agenzia cittadina (che risulta, almeno apparentemente,
senza sede): indiscrezioni parlano di numerose ed ambigue compravendite perlopiù
di case appena costruite in lotti situati sia a Cremona che in un paese del
vicino territorio, da parte di alcuni soggetti di origine cutrese, che
risulterebbero però disoccupati e senza entrate. Anche in questo caso, alcuni
nomi risultano, curiosamente, già comparsi nell’ambito dell’operazione Grande
Drago. E in un Comune vicino a Cremona sono affiorate irregolarità nei conteggi
relativi all’edificazione di due lotti da parte di imprese edilizie riferibili a
due soggetti cutresi appena arrestati nell’operazione “Aemilia”. Questa
settimana è stata depositata dal consigliere comunale Giancarlo Schifano una
mozione sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta nella provincia di Cremona. Non è
la prima. E, al netto della situazione, forse non sarà neppure l’ultima.
Incontrerà stavolta il voto della maggioranza? Ci sarà per una volta la volontà
politica di guardare in faccia la realtà?
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