venerdì, giugno 17, 2011

Libertà è partecipazione

Questa volta, l'appello a non votare, per i quesiti referendari, non ha funzionato: il 54,8% degli aventi diritto si è recato alle urne. Si calcola, inoltre, che il 28% dei votanti si sia comportato in modo difforme da quanto indicato dai partiti di riferimento. Sarà perché le decisioni da prendere erano comunque concrete, sostanziali, e non consistevano in fumosi programmi elettorali o in logiche di schieramento "a prescindere". Poi, la sorpresa: l'atteggiamento dei giovani, la loro partecipazione. Noi lo avevamo detto, già nei mesi scorsi. Avevamo parlato dell'emergere di un nuovo protagonismo giovanile, basato su parole d'ordine amare, ma di chiarezza adamantina: siamo la generazione senza futuro, vogliamo parola, diritti, opportunità. In una nostra inchiesta, fatta lo scorso anno, avevamo registrato come i giovani fossero tornati ad interessarsi alla politica, a cominciare dai problemi della scuola. Lo si è visto nelle recenti consultazioni amministrative: Milano, Napoli, Cagliari e non solo, dove il voto giovanile è stato determinante. Hanno usato i mezzi a loro più congeniali, il web, facebook, i blog. Mentre le Tv davano pochissimo risalto all’appuntamento referendario, nella rete si è sviluppato un grande dibattito, ampio e coinvolgente, promosso anche da comitati spontanei. Hanno convinto, hanno vinto. I risultati dei referendum, come ogni fatto politico, non stanno solo qui, è evidente: è anche la protesta contro la politica del governo, è il malessere, sempre più palpabile, della Lega, è la stanchezza verso risse, grida e tensioni continue che la gente trova ormai inconcludenti e irritanti. Ma attenzione: la voglia di partecipazione che si è espressa e' un fenomeno nuovo, da non sottovalutare, e sbaglierebbe quella forza politica che volesse semplicemente appropriarsene, senza comprenderla e farsene interprete. D’altro canto, quel partito che riuscisse ad intercettare questo vento che sale, acquisirebbe un capitale enorme. Quanto a noi, siamo contenti quando la gente si esprime liberamente con il voto perché: libertà è partecipazione, come cantava Gaber.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 10, 2011

Aria Pulita

Che cosa vuol dire innovare? Sostanzialmente, accettare le sfide. Le sfide che pongono il mondo globalizzato, le nuove frontiere dell’energia, la tentazione crescente a delocalizzare le produzioni, i nuovi desideri ed i nuovi gusti, insomma: la realtà che cambia. Anche per questo parliamo spesso dei giovani: sono i più propensi, per natura, a sperimentare, a spostarsi, a mutare abitudini e mentalità. Anche per questo, insistiamo sulla necessità di una istruzione di qualità, che fornisca sapere ma che, soprattutto, formi uomini e donne orientati in questo senso. Innovare vuol dire anche rischiare, non pensare che tutto sia garantito. Ma per far questo, occorrono comunque delle reti di salvataggio. È come l’acrobata, che si lancia, ma sa che, se il suo volo dovesse fallire l’obiettivo, troverebbe sotto di sé una rete robusta in grado di attutire la caduta. Prima considerazione: un dibattito politico serio dovrebbe porsi il problema dell’adeguatezza delle reti. Invece, si passa dalla difesa di garanzie granitiche, a volte di privilegi – pensiamo a certi incarichi “a vita” - fino alla cancellazione delle garanzie pensiamo a tutto quello che è “precariato”. Seconda considerazione,non possiamo farne a meno, prendiamo fiato, e parliamo dello scandalo legato al calcio. Ovviamente, è compito della magistratura stabilire, qualora esistano, le responsabilità. Una domanda sorge però spontanea: ma che gioco è questo? Che sport è mai? A quali partite abbiamo assistito? E’ vero che, probabilmente, stiamo parlando di poche “mele marce” ma, perché chi aveva fondati sospetti rispetto a ciò che stava accadendo, ha girato la testa dall'altra parte? Non siamo nati ieri, sappiamo che per denaro c'è gente che farebbe di tutto. Eppure, in Gran Bretagna le scommesse sul calcio avvengono forse da sempre. Probabilmente, c’è un sistema di regole e controlli più strutturato. E allora anche qui si impone con urgenza un intervento drastico. Ma, ed è la terza considerazione, il problema sta secondo me anche in due parole: cultura sportiva. Cultura della competizione sana, del “mettersi in gioco” senza trucchi. Pare che, negli USA, alla fine dei campionati di basket e football dei licei, proprio le squadre professioniste ultime in classifica siano le prime a poter scegliere i giovani talenti. I club più forti lo faranno nella stagione successiva. La morale è: una cultura sportiva corretta non accetta che vinca sempre il più potente, piuttosto che il migliore. E soprattutto, non trucca le carte. Proprio come dovrebbe accadere sempre nella vita. A proposito di Sport, la prossima settimana vado a vedere i campionati italiani giovanili di canottaggio: lì si respira aria pulita, almeno credo.

Daniele Tamburini

sabato, giugno 04, 2011

Referendum: si vota anche sul nucleare

L'ufficio elettorale della Corte di Cassazione ha stabilito che le modifiche apportate dal governo alle norme sul nucleare non sono tali da precludere il referendum. Voteremo, quindi, il 12 e 13 giugno su quattro quesiti: due sull’acqua pubblica, uno sul nucleare, uno sul legittimo impedimento. Ci pare una buona notizia, perdiverse ragioni. La prima è che votare è comunque un diritto. Anzi, un diritto-dovere. L’articolo 48 della Costituzione è chiaro: “Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”. Si pensi all’importanza e, direi, alla bellezza di questa espressione: il suo esercizio è un dovere civico. Tutti i cittadini sono elettori: il voto, quindi, è parte fondamentale del concetto di cittadinanza. Penso a tutto questo mentre, io che ho una certa età, ricordo il famigerato: “andate al mare e non votate”, autore Bettino Craxi, a proposito del referendum di Mario Segni sulla preferenza unica. Correva l’anno 1991: tempi di Prima Repubblica, anche se ormai in declino. Non gli portò bene. Molti anni dopo, siamo a deplorare la disaffezione verso la partecipazione politica, il fenomeno dell’astensionismo, l’opinione comune che la politica sia diventata un “mestiere” e non un servizio alla collettività. Quindi, andiamo a votare, secondo coscienza e convinzione. Lo strumento referendum ci dà la possibilità di dire la nostra su alcune scelte che, in un modo o nell’altro, incideranno sulle nostre vite: penso soprattutto al nucleare. Raccogliamo il più possibile notizie ed opinioni, valutiamo bene, e poi, andiamo a votare. Personalmente sono, da sempre,contro il nucleare; voi votate come ritenete più opportuno, ma andate a votare.

Daniele Tamburini

Lo stile gentile

Che qualcosa stesse mutando, nel Paese, era chiaro: anche L’esito della tornata elettor l’atteggiamento dello stesso premier, pur nel suo leggendario ottimismo, mostrava qualche ombra. Come sempre, luoghi comuni e pregiudizi vengono spazzati via, prima o poi, dalla realtà. Si sono spese troppe parole, per esempio, sul disimpegno dei giovani: il voto amministrativo, nelle due tornate, lo ha smentito. Si è parlato a lungo di disaffezione alla politica, senza considerare che, probabilmente, si trattava di disaffezione verso un certo modo di fare politica, lontano dalle cose e dalle situazioni concrete. Comunque la si pensi, il Paese ha visto svilupparsi un nuovo protagonismo, a partire dalle proteste studentesche, passando per il 13 febbraio, con tantissime donne, e anche uomini, in piazza. La sensazione è che il centrodestra, forza di maggioranza al governo del Paese, abbia un po’ smarrito il polso della situazione. Vanno in questa direzione le prime dichiarazioni della Lega sul voto di Milano: ci sono la disoccupazione, la crisi economica, il precariato, di questo si doveva parlare, altro che di ideologismi passati o di auto rubate chissà quando! Il Palazzo è sembrato sempre più chiuso, impegnato a difendere privilegi castali, piuttosto che a risolvere i problemidelle persone in carne, ossa e mutui in corso, lavoro incerto o perduto, potere d’acquisto in forte calo, eccetera. Il terremoto, però, è stato davvero forte. Tale da far sorgere mille domande. Per esempio, lo stile gentile di Giuliano Pisapia. Vorrà dire qualcosa, la fiducia ottenuta da una persona che ha improntato il suo discorso ai toni della gentilezza e della mitezza: tutt’altra storia, rispetto alle grida, ai volti arrabbiati e al dito medio alzato della Santanché. Parole come dialogo, incontro, confronto, e non la retorica della paura: ce n’è già tanta paura, in giro, perché alimentarla? Viviamo un’epoca di transizione che pare infinita: questo risultato, comunque la si pensi, chiude una fase e ne apre un’altra. Comunque la si pensi, in questi anni il carisma di Silvio Berlusconi ha dettato le regole ed ha stabilito anche il campo di gioco. Se questo carismaappare in declino, il passaggio dal carisma all’istituzione, dall’eccezionalità alla normalità, come ha scritto Michele Salvati, è sempre difficile. Si aprono scenari nuovi un po’ dappertutto. Qui a Cremona, il risultato delle amministrative si innesta in una situazione interna alla maggioranza, già complicata di suo. Quali scompigli porterà il vento del voto nelle questioni locali e nel difficile giuoco di equilibri dell’Amministrazione Perri? Adesso cosa accadrà? Secondo me, per il momento niente. Il Sindaco, intervistato a pagina 4, dice che bisogna vedere cosa succederà a livello nazionale, ma lui per adesso non si muove: niente rimpasto. Mi fa venire in mente, non so se qualcuno si ricorda, quella parodia che Corrado Guzzanti faceva di RomanoProdi davanti alla stazione: "Io sto qui fermo, non mi muovo, fermo immobile, dietro la linea gialla...". E l’ipotesi della “minacciata” lista civica? Lui fa intendere che non è interessato.Ma che peccato... erano già in molti pronti a saltarci su.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 27, 2011

Ma le studiano la notte?

Ho letto nei giorni scorsi, con grande interesse, l’intervento di un importante economista, per lungo tempo figura di spicco della Banca d’Italia, Pier Luigi Ciocca. La sua diagnosi sullo stato dell’economia italiana è impietosa, ma contiene alcuni dati molto interessanti. Il più rilevante, a mio parere, è che, a partire dagli anni 2000, non solo si è verificato un rallentamento della crescita, ma un calo dei livelli di produttività. Dice Ciocca: per fare un’automobile ci vogliono più persone, più tempo, più capitale, quindi, è andato particolarmente male il cuore della produttività, cioè il progresso tecnico e l’innovazione. Ancora una volta, si individua nella scarsità di innovazione il punto centrale dello stato di crisi del nostro Paese: uno “stato dell’arte” che coinvolge imprese e istituzioni, insomma la nostra ossatura. Innovazione e ricerca, ne abbiamo parlato molte volte. E infatti … e infatti, si parla di spostare alcuni Ministeri a nord. Parte il totoMinisteri: la salute? L’economia? Ma anzi, no: tutto bloccato, non è vero, non si fa. Invece sì, si fa, va fatto! Mi chiedo: sono questi, gli interventi, le soluzioni innovative, la ripresa di cui la gente e tutto il Paese ha bisogno, più che del pane? È questa la risposta da dare ai nostri giovani, quelli che pongono domande precise e dure, come fa Valentina, in questo stesso numero? Ma non disperiamo mai. Ciocca conclude dicendo che la società italiana ha il lavoro, il risparmio, la tecnologia, l’imprenditorialità per tornare a crescere. Coraggio.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 20, 2011

Milano: Moratti o Pisapia?

Fare una previsione su come andrà il ballottaggio alle elezioni amministrative di Milano equivale a indovinare un terno al lotto, e neppure mi interessa farlo. Dalla vicenda, però, sono emersi alcuni punti interessanti. È davvero strano, il nostro Paese: sicuramente non si può mai dare niente per scontato. Erano elezioni, queste a Milano, su cui il capo del governo aveva davvero puntato molto. Berlusconi raramente sbaglia cavalli e strategie di corsa: eppure, questa volta l’elettorato non l’ha premiato, come non ha premiato la Lega, della quale molti attendevano lo “sfondamento”. Forse, il partito di Bossi ha scontato i malumori della base che mal sopporta gli Scilipoti e i Romano, oltre ad un gregariato “a prescindere”. Pare, ora, che la Moratti abbia puntato il dito contro il livello eccessivo di scontro che ha permeato la battaglia elettorale, soprattutto negli ultimi tempi. Forse non è stato opportuno insistere sui giudici “metastasi cancerose”, in una Milano che non ama gli eccessi. Sì, il nostro è un Paese strano. Una forza, il PdL, che intende parlare al cuore moderato della società, eppure adotta certi toni e amplifica le dichiarazioni denigratorie di chi vuol essere più berlusconiano di Berlusconi; e, al contrario, la Lega, da sempre battagliera, magari “sopra le righe”, che cerca di rimettere al loro posto le parole e usa toni davvero “di governo”: abbiamo ascoltato la ferma e convinta dichiarazione di solidarietà con i giudici del presidente del Piemonte Cota. E’ un segno dei tempi? Forse, la gente si è stancata di proclami, furori e promesse roboanti e chiede concretezza, scelte, ascolto dei problemi veri? Ripeto, non è possibile fare previsioni. Ma, come ha esortato più volte il presidente Napolitano, forse è più produttivo abbassare i toni, non cercare il conflitto da stadio, cercare invece proposte e soluzioni: la locomotiva tedesca si è rimessa in moto, viaggia ad un ritmo di crescita del 4,8% su base annua. Se Milano fosse laboratorio per questo ritorno alla concretezza, comunque vada, sarebbe senz’altro un bel risultato. Per tutti.

Daniele Tamburini

venerdì, maggio 13, 2011

La minaccia del futuro

Desidero tornare, a costo di ripetermi, sulla situazione del mondo giovanile nel nostro Paese. Ne scriviamo all’interno del giornale. L’Istat ci dà, purtroppo, ancora brutte notizie dal fronte lavoro: il tasso di disoccupazione è cresciuto a marzo, e il 26% dei nostri giovani è senza lavoro. Stiamo parlando di giovani di età compresa tra i 15 ed i 24 anni: l’età in cui ci si affaccia alla vita. Il dato è estremamente preoccupante anche perché l’Italia ha bisogno di crescere e può crescere, come dicono gli economisti e gli addetti ai lavori, solo recuperando una produttività totale dei fattori. Per non parlare dei cosiddetti Neet (Non in Education, Employment or Training), ossia i giovani che non sono più inseriti in un percorso scolastico-formativo, ma neppure impegnati in attività lavorativa: si tratta di due milioni di soggetti. Dobbiamo avere il coraggio di dirci che, in questo modo, non si va da nessuna parte. È importante, certo, che si salvaguardi il patto di stabilità o che diminuisca il debito pubblico, ma è più importante dare una speranza per il futuro. Dai debiti ci si può liberare, dalla crisi si può uscire, anche se la cinghia, ormai, è forse giunta all’ultimo buco: ma una generazione consegnata all’assenza di futuro, quella si rischia di non poterla recuperare. Ha detto un filosofo che, per questi giovani, il futuro non si presenta più come una promessa ma come una minaccia. E’ ora di fare, seriamente, qualcosa di concreto. Mi viene in mente una frase di Pier Paolo Pasolini: “il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia”.
Sto forse perdendo il mio ottimismo?

Daniele Tamburini

martedì, maggio 10, 2011

Un’altra musica

Non c’è ancora certezza sui modi e sui tempi – e le immagini, quelle che abbiamo visto, non aiutano a far chiarezza – ma l’uccisione di Bin Laden è uno di quegli eventi destinati a far rumore immediato e a mettere radici nel futuro. Perché una cosa è certa: morto lo è sicuramente. Parlando degli effetti immediati, che ricaduta si avrà sulla situazione di un’area del mondo cruciale per l’approvvigionamento ed il mercato del petrolio e del gas? È quanto si chiede, tra gli altri, il professor Francesco Timpano, di cui ospitiamo un intervento in questo numero del giornale. Ma non solo. Nel momento in cui sembravano indeboliti sul piano della coesione interna, vulnerabili su quello economico, esposti al sorpasso cinese in economia, gli Stati Uniti alzano la testa, compiono un’operazione di forte impatto, anche mediatico, e il discorso di Obama fornisce nuova linfa alla speranza ed alla fiducia. Abbiamo letto di manifestazioni di grande ottimismo, anche da parte della gente comune. E Obama, nel suo discorso, senza trionfalismi, ha richiamato le parole care a tutto il suo mandato: la capacità di orgoglio, di reazione, di tenacia e, soprattutto, di unità. Obama sa che dovrà chiedere ancora molto al suo popolo, e che la sua agenda è in ritardo sui programmi elettorali. Ma non sollecita divisioni, anzi richiama l’unità. L’unità, la coesione, la coerenza di intenti, pur nelle diversità, con l’obiettivo di fare il bene del proprio Paese. Uniti si vince. È perlomeno evidente che la musica, qui da noi, è ben altra.

Daniele Tamburini
Venerdi 6 maggio 2011

venerdì, aprile 22, 2011

Ma non dobbiamo mollare

Scrivere è comunicare, o almeno dovrebbe. Fa sempre piacere scrivere e trovare rispondenze e risonanze in altre persone. «Sa, ho letto il suo fondo, mi ha fatto pensare... ». È accaduto anche in questi giorni con alcuni ragazzi dell’ITIS “Torriani”, ne siamo molto felici. Certo che, un conto è cercare di analizzare e coinvolgere nelle proprie modeste riflessioni, magari cercando sempre di dare spunti di ottimismo; un altro sarebbe poter disegnare uno scenario credibile per il futuro, una prospettiva, un orizzonte. Il paradosso è proprio questo: tutti – operatori economici, forze datoriali, organizzazioni sindacali – chiedono a gran voce sinergia e cooperazione per disegnare, appunto, un orizzonte e una prospettiva. Che poi il cammino per giungerci sia lungo e difficile, è un dato, ma camminare avendo dinanzi a sé una meta è molto, molto importante. Che accade, invece? Giungono segnali ed indirizzi contrastanti, per dire, dal ministro dell’economia e dal governatore della Banca d’Italia. Oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. La mancanza di prospettive future amplifica quella paura che tutto condiziona e che porta a guardare soltanto il momento contingente. Un grande paese come il nostro dovrebbe essere guidato facendo scelte che contemplano il futuro. L’impressione che si ha, invece, è quella di decisioni prese per conservare e non per programmare e crescere. E’ di questi giorni la notizia che un ministro attacca un altro ministro, cercando sì di entrare nel merito, ma la sostanza è: “Così ci fa perdere le elezioni”. A volte il disorientamento è grande. Ma non dobbiamo mollare.
Buona Pasqua

Daniele Tamburini

venerdì, aprile 08, 2011

Preservare per garantire il futuro

Forse non potevano fare altrimenti, i tecnici di Fukushima, ma certo che è inquietante pensare a quella quantità di acqua radioattiva versata in mare: il mare che, da sempre, è simbolo di vita. Ed è magari un caso che, a giugno, si svolgeranno nel nostro Paese due referendum su questi temi, acqua e nucleare. Credo che sarebbe importante capire di più le ragioni degli uni e degli altri. Chi è contro il ritorno del nucleare in Italia, lo fa in nome della sicurezza e della sua antieconomicità; per l’acqua pubblica, in nome del principio che i beni comuni devono rimanere tali. Chi è schierato a favore del nucleare oppone altre ragioni. Sarebbe interessante sentirne parlare spesso e con chiarezza anche sui media nazionali: invece, come su molte questioni, il dibattito è quasi assente e c’è il fondato sospetto che si assumano delle posizioni sulla base degli schieramenti e che meno se ne parla e meglio è. Nei pochi dibattiti in TV, vige poi la par condicio, per la quale “uno a favore e uno contro”, anche se nel mondo scientifico il rapporto è invece: nove contro e uno a favore. Solo la tragedia di Fukushima ha dato modo di saperne un po’ di più. Ancora una volta, un Paese diviso, spaccato, un Paese che non dialoga. Anche su temi controversi e spinosi, come quello della riforma della giustizia, il cittadino vorrebbe capire di più: ci sono certamente ragioni dall’una parte e dall’altra, ma si può sostenere, ad esempio, che magistrati peraltro lodati e stimati per il loro impegno nei confronti della repressione della criminalità organizzata abbiano posizioni solamente ideologiche nei confronti di tale riforma? Anche qui, bisognerebbe confrontarsi con calma e capire. Quanto ai beni comuni, quelli che dobbiamolasciare in eredità ai nostri figli, l’aria, l’acqua, l’ambiente, tutti noi li abbiamo avuti in prestito. E il nostro sacrosanto dovere è quello di preservare, garantendo il futuro.

Daniele Tamburini
daniele.tamburini@fastpiu.it

martedì, aprile 05, 2011

Il lungo inverno sta per finire

 Proviamo a fare un esercizio, una sorta di mantra: per una volta, non diamo la precedenza ai problemi molto gravi che ci circondano, alle difficoltà, alle paure, al timore per il futuro. Parliamo di bellezza. La bellezza della nostra città, ma anche di molte altre, di quelle antiche e anche quelle più recenti, una bellezza fatta di opere d’arte, di stratificazione di culture, di apporti diversi e mescolatisi nel corso dei secoli. Una bellezza che resiste, nonostante i tentativi di saccheggio e l’incuria che spesso domina, oltre a scelte architettoniche spesso difficili da comprendere. La bellezza della natura che ci circonda. I monti, i fiumi, i laghi, le colline, le coste. Abbiamo tutto, i ghiacciai e le isole vulcaniche, le pianure alluvionali e le zone pedemontane. La bellezza dei volti dei nostri giovani, che non sono quelli di plastica della TV, ma dei nostri figli e nipoti, veri, genuini, un po’ ansiosi del loro futuro, ma che cercano di studiare, di lavorare, di costruirsi un futuro laborioso e impegnato, pur se questo è davvero un percorso ad ostacoli, più che il naturale svolgersi delle stagioni umane, come dovrebbe. Ma, a proposito delle stagioni umane e di quelle della natura, il lungo inverno sta per finire. Ora predominano le foglie nuove e gli alberi sono in fiore. Nonostante un “clima” – per restare in metafora – poco propizio, anche nei consessi più alti del Paese (da ultimo il Parlamento di questi giorni che, a mio parere, non rappresenta i cittadini ma vive motu proprio), nonostante tutto, dobbiamo lavorare perché anche il lungo inverno del nostro Paese abbia fine. Che ciò possa accadere non è una speranza, è una certezza.

Daniele Tamburini
venerdì 1aprile 2011

venerdì, marzo 25, 2011

Vorremmo onestà e verità

Vorremmo onestà e verità: nelle cose che ci vengono dette, nelle spiegazioni ufficiali di quanto sta avvenendo nel mondo. Da diversi giorni, un’Italia che assisteva sonnacchiosa ad una scena politica nazionale bloccata nella ripetizione di parole e slogan si è trovata a confrontarsi con la crisi nordafricana, con lo tsunami giapponese e la tragedia della centrale nucleare di Fukushima e l’intervento in Libia. Fatti sicuramente epocali. È per questo che vorremmo onestà e verità. Sono avvenimenti che ci mettono di fronte a quanto sia drammaticamente incerto il nostro mondo, e a quanta prudenza, lungimiranza, ricerca ci vogliano. Pensiamo all’acqua contaminata di Tokio, e ci chiediamo se sia possibile che nessuno abbia potuto pensare a questi rischi. Pensiamo che, se non ci fosse stato questo incidente, il programma nucleare sarebbe ripreso anche da noi, in un territorio fortemente sismico, colpito da frane ed alluvioni. Pensiamo a quanto sia stato osteggiato, poi blandito, poi accolto con amicizia, negli anni, il colonnello Gheddafi, dappertutto e in particolare da noi. Adesso lo stiamo bombardando, per un intervento umanitario. Vorremmo onestà e verità: perché l’intervento in Iraq, in Afghanistan ed in Libia, e non a Sarajevo, a suo tempo, non in Ruanda, non in Eritrea, luoghi in cui le violazioni dei diritti umani sono state terribili? C’è un grande bisogno di onestà. Lo ha richiamato anche il governatore della Banca d’Italia Draghi, quando ha detto che un aumento dell’imposizione fiscale colpirebbe solo il contribuente onesto, quando il problema è colpire elusione ed evasione. Sono domande che è giusto, è importante continuare a fare. Mi ricordo un detto, molte volte citato da una persona che oggi non c’è più, alla quale rendo omaggio: «non occorre sperare per intraprendere, non occorre riuscire per perseverare». È quanto fanno, tutti i giorni, le persone oneste: lavorano e intraprendono, anche se la situazione è dura, e continuano a perseverare. È l’Italia migliore, l’Italia che amiamo.

Daniele Tamburini

sabato, marzo 19, 2011

L’uranio è come un diamante: è per sempre

Se si dice che, nell’era della globalizzazione, il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, chissà cosa provocherà lo sconquasso di terra e mare che è avvenuto in Giappone. Già abbiamo visto la distruzione, il dolore, le migliaia di morti; poi, le crisi di Borsa in tutto il mondo. Ma la cosa che più impressiona, e che ancora non sappiamo come evolverà, è il dramma che si sta consumando nella centrale nucleare di Fukushima. Abbiamo negli occhi la foto di un bambino impaurito, sul cui corpo un addetto in tuta protettiva sta passando un misuratore di radioattività. Che termine spaventoso, questo, e poi proprio in Giappone, dove è ancora viva la memoria dell’olocausto nucleare di Hiroshima e Nagasaki. Non da ora pensiamo che sia troppo pericoloso affidarsi a tecnologie e produzioni dall’impatto irreversibile. L’uranio è per sempre. La memoria corre a Three Miles Island e a Chernobyl, i due incidenti nucleari più grandi, tra quelli conosciuti. Nel primo, avvenuto negli Stati Uniti, la fusione totale del nocciolo fu evitata all’ultimo momento; a Chernobyl, si sprigionò una nube radioattiva, i cui effetti disastrosi ancora non riusciamo a valutare fino in fondo. Si disse che la prima era di vecchia generazione; per la seconda, si chiamò in causa il gap tecnologico dell’allora Unione Sovietica. Eppure, oggi è successo nella patria dell’avanguardia tecnologica, il Giappone. Che valutazioni possiamo fare? Che non possiamo pensare di controllare la natura; che è troppo rischioso affidarsi a scelte irreversibili, dalle conseguenze eterne per noi esseri umani. Last, but not least: come possiamo pensare di costruire centrali in un Paese, come il nostro, in cui i terremoti fanno cadere i palazzi e si trova la sabbia nei pilastri? Un Paese costellato di zone a rischio sismico? La conclusione non può che essere una sola: nucleare? No, grazie!.

Daniele Tamburini

venerdì, marzo 11, 2011

150°: la Patria, l’educazione, la libertà

" Senza educazione voi non potete scegliere giustamente fra il bene e il male; non potete acquistare coscienza dei vostri diritti, non potete ottenere quella partecipazione nella vita politica senza della quale non riuscirete ad emanciparvi: non potete definire a voi stessi la vostra missione. L’Educazione è il pane delle anime vostre”. Lo scrisse Giuseppe Mazzini. Un ragionamento in controtendenza con quello che sta avvenendo oggi? Lo temiamo. I giovani italiani sembra che non credano più all’università pubblica. Secondo i dati del Consiglio universitario nazionale, il numero degli immatricolati è sceso del 5%. Una tendenza pericolosa, che rischia di generare una massa di giovani non in grado di competere con i ragazzi degli altri Paesi europei. E, in tempi di globalizzazione, questo è molto grave. Non bisognerebbe mai dimenticare l’importanza primaria che la Repubblica italiana e le sue istituzioni attribuiscono alla cultura e alla ricerca scientifica. Entrambe, infatti, sono valori collettivi che la nostra Costituzione repubblicana riconosce, impegnandosi a promuoverne lo sviluppo e ad assicurarne la tutela. Altri dati di Alma-Laurea dicono che l’università è sempre un buon investimento: rispetto a chi è diplomato, il tasso di occupazione sale dal 66 al 77%, mentre lo stipendio aumenta del 55%. Quindi, si tratta di una crisi di sfiducia. Bisogna intervenire su questo piano, inoculando nella percezione pubblica robuste dosi di fiducia. Come quella che si ricava dalle parole del presidente Napolitano: la ricerca scientifica è una priorità, sulla quale le istituzioni devono investire con coraggio. Come quella che esprime il presidente emerito Ciampi: “Sono stato molte ore sui libri […] Ma ne è valsa la pena. Lo rifarei. Rifarei tutto. Credo molto nello studio e nella possibilità che lo studio dà a ognuno di seguire una sua strada, di emanciparsi. L’idea di Patria passa anche da qui, dall’identità delle culture che, per essere conosciute, vanno studiate. Lo studio è impegno serio, ma anche esercizio di libertà, conquista, perché allarga le nostre conoscenze e consente di affermare la nostra persona”.
Viva l’Italia. Compie gli anni, si merita gli auguri.

Daniele Tamburini

venerdì, febbraio 11, 2011

Il ritratto di Dorian Gray

Hanno tutti paura di invecchiare, a cominciare dal capo in testa. Vogliono restare giovani, magari eternamente giovani: un misto tra il sogno di Narciso e il ritratto di Dorian Gray. Rimanere giovani e belli, mentre è il tuo ritratto che si carica di anni, invecchia e decade al posto tuo. In quanti sarebbero disposti  a scendere a patti, come il protagonista del libro, facendo finta di dimenticarne l’orribile conclusione. In mancanza dello specchio di Dorian, si ricorre alla chirurgia estetica, alla plastica alle fattezze. Oscar Wilde scrisse che l'unico modo per liberarsi di una tentazione è di abbandonarvisi. Quale tentazione più forte può esistere, dello sconfiggere le leggi di natura? Ed è per questo che non mi scandalizzo. Eppure, c’è qualcosa che non va. Che società è mai la nostra, composta da individui che non si accettano, e però si rendono, a volte, ridicoli pur di apparire giovani e pimpanti. Disposti a caricarsi di una immagine, finta pur di “vendersi” agli altri per quello che non sono. Capelli, viso, labbra, seno tutto rigorosamente falso, più falso delle monete romane che Totò cercava di piazzare ai turisti americani. Per non parlare della ostentazione di machismo a dispetto dell’età… Ci sono leggi della natura che è inutile e poco dignitoso combattere: arriva sempre il momento in cui il ritratto di Dorian grida la sua orribile verità. Diceva Anna Magnani al suo truccatore: le rughe non coprirle, che ci ho messo una vita a farmele venire. Aveva ragione: come era bello il volto segnato dal tempo e dalla esperienza di mia nonna Adele.

Daniele Tamburini

sabato, gennaio 22, 2011

Il cavallo e il Cavaliere

Ancora una volta, nel Paese prevalgono la divisione, il tifo, le barricate. Inutile girare intorno al problema: al centro della vita politica stanno le vicende degli ultimi giorni, con protagonista ancora una volta lui, il Cavaliere, un Silvio Berlusconi agli onori della cronaca forse, ora, in maniera un po’ più sovraesposta di quanto possa gradirlo, lui che comunque non si è mai sottratto alla luce dei riflettori ed alla presenza sui media (anzi, è questo parte della sua forza). Il fatto è che ovunque, come emerge anche da una nostra inchiesta che trovate in questo numero del giornale, sulla scacchiera dell’opinione pubblica i pezzi sembrano ormai fissi: da una parte, chi è indignato dalle accuse rivolte al premier, da quanto risulta dalle intercettazioni, dai giudizi tutt’altro che benevoli della stampa estera, ed è preoccupato dall’ennesimo stallo in cui è bloccato il Paese; dall’altra, chi individua nel cosiddetto “caso Ruby” una manovra, condotta dai “soliti noti”, magistratura e forze di centro-sinistra, per screditare Berlusconi e scardinare il suo governo. Caso mai, si può notare che le persone anziane, nate e cresciute in un epoca in cui morale privata e pubblica imponevano certi comportamenti, giudicano in modo più pesante feste e festini, mentre tra i più giovani – cresciuti tra veline e tronisti in TV - si fa strada un atteggiamento giustificatorio o che comunque richiama il diritto alla libertà di scelta nell’ambito privato. Prevale l’eterna storia italiana di opposte fazioni, con nessuno che riesca ad avere un potere unificante. Intanto la Banca d’Italia ha lanciato un ulteriore allarme: la ripresa non viaggia come dovrebbe. Non ci sarebbe neppure bisogno di analisi sofisticate per capirlo, basta vivere nella realtà. Vivere nella realtà: forse è questo che manca alla classe politica. Come ho letto da qualche parte, il problema probabilmente non sta nel Cavaliere, ma nel cavallo...
Daniele Tamburini

domenica, gennaio 16, 2011

Sondaggi: è così, se ci pare

I sondaggi impazzano, sono di moda, fanno discutere e a volte sono anche divertenti. Ne piovono in continuazione, non solo prima delle elezioni: oramai, si sonda ovunque e per qualunque cosa, alla scoperta di giacimenti inesplorati di desideri, opinioni, critiche. Ci sono i sondaggi alla TV con i tasti interattivi, sui giornali on-line e non; si partecipa con l’invio di SMS o al telefono. L’intervista telefonica non sempre è molto articolata, manca il tempo, c’è il rischio che l’intervistato si spazientisca. Qualche mese fa sono stato intervistato telefonicamente riguardo al gradimento di una certa banca: ho approfittato e mi sono sfogato, esagerando, come è ovvio. I maggiori committenti dei sondaggi, oltre ai giornali, sono i partiti politici. Il politico che si avvale di un sondaggio lo fa, presumibilmente, per calibrare le proprie scelte, oppure per capire se una strategia è vincente. Già questo pone infiniti dubbi: perche' non dovrebbero essere le opinioni ad orientare la politica, ma piuttosto il contrario. Ho visto i dati sul consenso agli amministratori locali, pubblicati dal Sole 24 ore. Il nostro sindaco sembra uscirne non troppo bene: 93° in classifica, perde posizioni rispetto ad un anno fa, con il 2,6% di gradimento in meno. Ora è vero che, ultimamente, il sindaco ha a che fare con non pochi problemi all’interno della sua giunta, ma la sensazione percepita, onestamente, è che in città sia ancora molto amato dalla gente. Di contro, invece, il presidente Salini sale, e alla grande: 2,5% di gradimento in più rispetto alla rilevazione dello scorso anno. Addirittura Salini risulta essere il presidente di Provincia che ottiene la migliore performance in assoluto: 3,4% rispetto al risultato elettorale con il quale ha vinto le elezioni due anni fa. Sono andato a leggere il documento informativo sulla metodologia usata dalla società di rilevazione: l’istituto precisa che l’indagine può avere un margine di errore pari al 3,5% in più o in meno. Eh? Ma allora è come dire: può essere tutto vero, ma anche no.

Daniele Tamburini

venerdì, gennaio 07, 2011

Il messaggio di Giorgio Napolitano

Ho ascoltato il messaggio di fine anno del presidente Giorgio Napolitano; messaggio rivolto ai giovani, ai giovani che cercano la propria strada e che rappresentano il nostro futuro: "Il futuro è dei giovani o l'Italia è persa", ha detto il Presidente. Un messaggio che è un monito e che andrebbe da tutti condiviso. Ho personalmente apprezzato la capacita' di Napolitano di entrare in sintonia con le preoccupazioni più profonde del Paese e spinto dalla curiosità sono andato a cercare i messaggi augurali, di fine anno, dei precedenti presidenti d'Italia; da Luigi Einaudi – che fu il primo a tenerlo in TV- in poi: Gronchi, Segni, Saragat, Leone, Pertini, Scalfaro, Ciampi. Alcuni temi ricorrono, anche a distanza di sessanta anni, e possiamo ascoltare parole come solidarietà, lavoro, impegno, giustizia, coesione. Certo, ciascun discorso risente dei tempi, delle sventure che si sono abbattute, purtroppo numerose, sul nostro Paese, degli argomenti emergenti: l’emigrazione italiana all’estero, le calamità naturali, il terrorismo. Ma allora, mi sono detto, la situazione complicata, difficile, in cui viviamo non è così nuova, se ogni Presidente ha sentito la necessità di rincuorare, di esortare, di sollecitare ad unire le forze, a resistere solidalmente. Nell’anno appena iniziato si celebreranno i centocinquanta anni dell’unità d’Italia. Il nostro inno nazionale, a lungo provvisorio, spesso canzonato, costellato indubbiamente di parole desuete, ad un certo punto dice: “stringiamoci a coorte”. Ho provato a chiederne il significato in giro, c’è stato un certo smarrimento. Certo, la coorte romana ben poco ci incastra con la situazione odierna, ma vale il significato, uguale a quello dei messaggi dei Presidenti che si sono dipanati negli anni: uniamoci. Guardiamoci l’un l’altro con meno sospetti e maggiore fiducia. Siamo nella stessa barca. Se la lasciamo andare in malora, affonderà il nostro vicino, ma noi con lui. Ma sono certo che questo non accadrà, ho fiducia nelle persone, ho fiducia negli italiani.
Auguri per un sereno 2011.

Daniele Tamburini

giovedì, dicembre 30, 2010

Aruspici, oroscopi e auguri.

Finisce un anno in chiaro scuro. Per molti cittadini, più scuro che chiaro. E’ tempo di bilanci, ma soprattutto di previsioni, oltre che di buoni propositi. In questi giorni le previsioni degli esperti di economia si sprecano: la crisi è finita. No, non è finita, ma il peggio è passato. Ma no, siamo ancora in piena crisi. Allora sono andato a leggere l’oroscopo, chissà mai… D’altronde, quella della divinazione è una pratica dai nobili natali: gli aruspici etruschi godevano di un gran ruolo sociale, e quelli romani non erano da meno. Gli aruspici erano una sorta di sacerdoti indovini che, per conto del Senato romano, esaminavano le interiora degli animali, per predire il futuro. Poi, però, ci siamo affidati alla scienza, e, tutto sommato, non siamo diventati più felici … quindi, chissà. Torniamo agli oroscopi e all’influsso che le stelle eserciterebbero sul nostro destino… mah, come potranno mai influire, su di noi, dal momento che sono distanti milioni di anni luce? Posso forse accettare un ruolo della Luna, che, com’è noto, condiziona le maree, e si sa: noi siamo fatti al novanta per cento di acqua. Del resto si dice: “Quel tipo è un po’ lunatico”. Io sono del segno dei Pesci. Ho letto svariati oroscopi ( ma non diciamolo a Margherita Hack), e ne ho trovato uno che mi è piaciuto. Finisce così: “… cerca di sperimentare qualcosa di nuovo per il 2011, hai bisogno di una scossa benigna che ti spinga a passare al livello successivo”. Qualunque sia il “livello successivo”, ho pensato che fosse l’augurio migliore che avrei potuto farmi e farvi. Buon 2011 a tutti. 

Daniele Tamburini

mercoledì, dicembre 29, 2010

Buon Natale

Care lettrici e cari lettori, questa è una letterina di Natale. Rammentate quelle che scrivevamo quando eravamo piccoli? E poi, aspettavamo con trepidazione i doni sotto l’albero? Lo pensavo giusto stamani: in questi nostri incontri settimanali, è raro che parliamo di cose belle, beneauguranti, del positivo che c’è nella vita. Certo i tempi non invogliano in questa direzione, ma potremmo provarci, magari a Natale. Rammento un racconto di Pirandello che lessi a scuola: sono andato a cercarlo. E’centrato sulla ricerca di anime di buona volontà, piuttosto che di anime ingombre di desideri, “di sogni, di comodi”. Ho pensato, allora, a quante donne e quanti uomini di buona volontà agiscono in questo nostro mondo, in modo silenzioso, assicurando cura, solidarietà, civiltà. A chi passerà il Natale pensando alle mense dei bisognosi, curando gli infermi, vigilando sulla nostra sicurezza, senza clamori, lavorando come fa la gente “comune”, facendo il proprio dovere e, spesso, qualcosa di più, senza chiedere niente se non l’appagamento della propria coscienza. Ce ne sono tanti. Perché come ha detto il sindaco, con quel suo modo di esprimersi da “allenatore”, in occasione di un incontro con la stampa: “ Non solo chi arriva primo vince. Nella vita è un vincitore anche quello che si ferma ad aspettare chi è rimasto indietro”. L’augurio che vi faccio e che mi faccio è di riuscire sempre a guardare a queste anime di buona volontà. Buon Natale.

Daniele Tamburini

sabato, dicembre 18, 2010

Il bene del Paese?


Non ci riteniamo commentatori politici né ci sembra di esprimere pareri partigiani. Anzi, cerchiamo sempre di osservare con un punto di vista equilibrato le vicende politiche, anche quelle nazionali. Ma il succedersi di avvenimenti che ha avuto il suo culmine martedì 14, con la rinnovata fiducia al governo Berlusconi, pone alcuni seri elementi di riflessione. Non ci attarderemo sulla questione del posizionamento di alcuni deputati (prima no, poi ni, poi sì), perché, ahimè, di ribalte e ribaltoni, individuali e di gruppo, più o meno spontanei, è piena la nostra storia. Invece, la cosa che più ci preoccupa è l’ennesima riprova di una classe politica spaccata comunque a metà, in perenne conflitto, spesso “a prescindere”, gli uni contro gli altri armati. Solo poco più di un anno fa, per qualcuno, la crisi era una invenzione di una parte politica, oggi, purtroppo, le previsioni che sembravano più nere si stanno rivelando fondate: la crisi è lungi dall’essere risolta, e le sue conseguenze stanno picchiando duro. Invece di lavorare insieme, magari sulle grandi questioni, e insieme significa le forze politiche, economiche, sociali, si tratta da nemico l’avversario politico, con una animosità più vicina al tifo di una curva che ai luoghi istituzionalmente più rappresentativi della Repubblica. Quanto può durare questo perenne conflitto? Quanto ancora possiamo reggerlo? Siamo ancora lì, divisi tra Coppi e Bartali, antica metafora sportiva della divisione del Paese. Ci rimane una speranza, ed un augurio: che possa ripetersi quel gesto bellissimo che fu il passaggio di borraccia. Ma ne dubitiamo...


Daniele Tamburini
daniele.tamburini@fastpiu.it

sabato, dicembre 04, 2010

Prendiamoli sul serio

Il movimento di studenti universitari, ricercatori, docenti che ha percorso il Paese nei giorni scorsi e che continua a protestare, non può essere preso sottogamba. Per molti motivi. Il primo è che gli studenti universitari sono giovani uomini e giovani donne che sono cittadini attivi, godono del diritto di voto e, domani, saranno la classe dirigente del Paese (o almeno si spera). A maggior ragione, i docenti e i ricercatori sono coloro che stanno formando questi ragazzi a ricoprire quel ruolo. A questo serve, l’Università, anche se non solo a questo. Dovrebbe servire, infatti, anche a produrre innovazione, a lanciare idee nuove, a esprimere pensieri e pratiche lungimiranti e appassionanti. Spesso lo fa, ma con sempre maggiore difficoltà. Chi protesta, noi pensiamo, ha a cuore, magari sbagliando, questa dimensione dell’Università. Lo fa da ricercatore precario che sa di rimanere tale chissà ancora per quanto. Lo fa da studente, che non sa cosa, quando e dove lavorerà. Per commentare questo stato di cose non servono le facili battute stile “State a casa a studiare che è meglio”. Un refrain già sentito, spesso ad ogni moto di piazza, ma che non tiene conto della società reale. Per moltissimi, la riforma non è adeguata a rispondere alla questione Università. Una legge realmente innovativa avrebbe dovuto rompere l’attuale schema rigido, basato sul ruolo acquisito e sulla ripartizione in fasce di docenza, e che delega moltissimo a chi, precario, non può avere il senso del proprio futuro, del proprio progetto. Si doveva prevedere l’immissione in ruolo dei tanti precari che da anni lavorano: un’iniezione di forze giovani, attraverso le procedure contemplate dalla legge. Dispiace leggere le parole di chi plaude al blocco dei concorsi per via della scarsa trasparenza con cui negli anni passati si sono svolti: è una resa, nei fatti, all’impossibilità di agire con pulizia e onestà. C’era bisogno di democratizzare i processi di gestione degli atenei, di creare nuovi spazi di innovazione e modernizzazione. Quello che più preoccupa è che, probabilmente, i “cervelli” continueranno a emigrare.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 27, 2010

Il sindaco Perri promosso, ma non a pieni voti

Governare non è uno scherzo, né una passeggiata, soprattutto, quando si governa dopo un cambiamento di rotta che giustamente genera molte aspettative. Ma, nei fatti, ricette miracolistiche, specie di questi tempi, non ce l’ha nessuno. Mutatis mutandis, è un po’ ciò che sta succedendo, certamente non in misura eclatante, alla giunta Perri. Personalmente il sindaco gode ancora della stima e della fiducia di molti cremonesi. Qualche settimana fa ha dichiarato al nostro Fabio Varesi, contento che finalmente qualcuno lo stesse intervistando su argomenti diversi rispetto alla politica, che finito il mandato vuole tornare ad occuparsi di sport e di giovani atleti. Per quanto riguarda la sua giunta, nel complesso, emergono, dalle interviste pubblicate questa settimana, giudizi e valutazioni contrastanti. C’è una certa insoddisfazione rispetto alla gestione degli aspetti che il cittadino coglie in maniera più evidente: la manutenzione delle strade, l’arredo urbano, il traffico, i parcheggi. E poi il lavoro, l’occupazione, grandi punti dolenti. Ma, di converso, si riconosce a Perri, ed anche ai suoi assessori, una grande disponibilità all’ascolto, una vicinanza reale, non solo annunciata; oltre al merito della risoluzione di Piazza Marconi, per prima cosa. Gli intervistati insistono molto sulla capacità comunicativa del sindaco: grande dote, oggi, una caratteristica strutturale, con cui chiunque voglia fare politica e amministrare deve fare i conti. Chi sa comunicare sa condividere, sa coinvolgere, sa fare sistema. Nelle pagine speciali dedicate all'economia, abbiamo intervistato, riguardo alla situazione del nostro territorio in tempo di crisi ed alle possibili risposte, le principali associazioni: dell’industria, del commercio, dell’artigianato ed i sindacati. Con valutazioni diverse, emerge tuttavia da tutti gli interventi il bisogno di coesione, di fare sistema, di unire le forze. Da soli non ci si fa, è il messaggio comune: non ce la fa il piccolo negozio, non ce la fa il lavoratore, non ce la fa l’agricoltore, non ce la fa l’impresa. È un messaggio importante per tutti, comprese le amministrazioni locali, che, per essere davvero in sintonia con gli amministrati, dovrebbero raccoglierloe porlo in opera. Da soli non ci si fa.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 20, 2010

Facciamo presto che è tardi

Con una metafora un po’ ardita, il consigliere comunale Daniele Soregaroli ha sintetizzato così quel che resterebbe della Tamoil, una volta deciso il piano di chiusura della raffineria: “un osso puzzolente”. In realtà, la vicenda in primo luogo dimostra quanto sia difficile governare scelte di sviluppo economico e produttivo coniugando la salvaguardia della salute delle persone, il rispetto per l’ambiente e il mantenimento dell’occupazione. Una cosa pare certa: la difficoltà del comparto raffinerie, che non riguarda solo la Tamoil della nostra città, è dovuta alla crisi economica, che ha fortemente contratto i consumi, ad una congiuntura internazionale molto complessa collegata al mercato dell’energia, ma anche al fatto che, in passato, non sono stati fatti, evidentemente, gli investimenti che sarebbero stati necessari alla loro modernizzazione. Una miopia generale. È anche certa la presenza di inquinamento da idrocarburi, che provoca da tempo una forte preoccupazione in città. La storia si ripete, e scoppiano e contraddizioni tra chi reclama il sacrosanto diritto al lavoro, e chi si preoccupa, in modo altrettanto sacrosanto, della tutela della salute. Nel giornale pubblichiamo una lettera, semplice, disperata e toccante, della moglie di un lavoratore della raffineria. Oggi, l’emergenza è questa, e a questo bisogna dare risposta. Se le contraddizioni e i problemi a cui abbiamo accennato, e che, anche in passato, abbiamo messo in luce sono reali, tuttavia oggi è prioritario salvaguardare il lavoro e la dignità dei lavoratori e delle famiglie. Adesso è davvero il turno delle istituzioni. Il presidente della Provincia Massimiliano Salini fa autocritica, trasmette il senso d’impotenza suo e dell’amministrazione e chiama in causa il Consiglio dei Ministri. Che la Tamoil vada pure a quel Paese, ma deve bonificare e i lavoratori vanno ricollocati. Non c’è tempo da perdere. A Roma c’è un governo che dovrebbe consentire, agli amministratori ed alle forze politiche del nostro territorio, di farsi ascoltare a voce alta e piena. C’è anche un premier che, io credo, dovrebbe avanzare qualche credito nei confronti della Libia. O no?

Daniele Tamburini

domenica, novembre 14, 2010

Quant’è bella giovinezza…

Probabilmente sollecitati ad un nuovo protagonismo dalla riforma della scuola e dell’università, targata Gelmini, i giovani sono tornati ad essere un soggetto che cerca di farsi ascoltare e pesare, nelle scelte politiche e di governo. Non crediamo che ne avessero perso la voglia: il fatto è che, come emerge anche dall'inchiesta che abbiamo condotto in alcune scuole cremonesi, è difficile, per loro, farsi spazio, e anche solo farsi sentire. Grande demerito di una società bloccata, e di una classe politica molto più centrata sul presente che sul futuro. Eppure, le sfide che aspettano il nostro Paese e tutta l’Europa sono enormi, e sono sfide globali: rendere compatibili ripresa e profitto con il welfare, coniugare la solidarietà sociale con un alto tasso di competitività. Robert Schuman, storico ministro francese, uno dei padri dell’Europa, parlava della necessità di fare, in momenti difficili, “sforzi creativi”. Anche per questo servono i giovani. Il genio è saggezza e gioventù, ha detto un poeta. I giovani hanno bisogno che gli si creino opportunità, che gli venga dato spazio e modo di esprimersi. Non corsie privilegiate, non raccomandazioni, non carità pelosa. Emerge anche questo, dai nostri ragazzi cremonesi: basta con “i soliti noti”, le raccomandazioni, il giro di poltrone. La profonda insoddisfazione che esprimono per la condizione presente è il terreno in cui si può radicare il principio speranza: diamo loro attenzione, spazio, fiducia. Alcuni di loro saranno la classe dirigente di domani. Se questa Terra è l’unica che abbiamo, questi giovani sono l’unico futuro che abbiamo.

Daniele Tamburini

sabato, novembre 06, 2010

Di questi tempi meglio non chinarsi

Non voglio parlare del bunga-bunga. Anche se, cliccando su Internet, c’è la possibilità di vedere quasi 18.000.000 di risultati. Ma non usa certo questa espressione il governatore di Bankitalia Draghi quando parla di economia italiana, tasso di disoccupazione ecc., e non basta che il ministro Sacconi tratti da ignorante una giornalista che gli ha chiesto conto di quell’11% di disoccupazione denunciatdallo stesso Draghi, per cancellare il dato. L’Italia ha accumulato troppo ritardo dice il professore Mario Monti. Emma Marcegaglia fa sapere che il Paese è in preda alla paralisi e che non c’è alcuna iniziativa del Governo, in un momento difficilissimo dell’economia, invitando la politica “riprendere il senso delle istituzioni”. Il presidente di Confindustria non vuole le elezioni anticipate, ma chiede serietà  che si facciano le cose per il Paese. Ci vogliono riforme, per la crescita e l’occupazione. Si sa, in un momento così difficile per un Paese, le elezioni anticipate non sono certo una medicina. Ma la nostra sensazione è che Berlusconi, ormai, si sia davvero incartato, prima con il Lodo Alfano poi in una sequenza di dichiarazioni che, piuttosto che calmare acque agitate da molti marosi, sembrano soffiarvi sopra. L’uomo sembra messo in un angolo: qualcuno dei suoi si distingue, Fini si defila, e Bossi? C’è da fidarsi di Bossi? Se il Senatur soltanto accennasse all’ipotesi di governi diversi, a quel punto, immagino che assisteremmo ad un fuggi fuggi e “tutti a casa”. Intanto la nave Italia, per ora, lotta contro le onde. Lo hanno riconosciuto anche in Europa, la vocazione al risparmio e un certo sano rifiuto del gigantismo hanno evitato al vascello, se non altro, di andare a fondo. Ma non basta più. Lo abbiamo scritto altre volte: servirebbero coesione e unità di intenti, non per essere tutti d’accordo, che non è possibile, ma per trovare soluzioni condivise, per fare, appunto, cose per il Paese. Non ho parlato di bunga-bunga, lo avevo promesso.
P.S. Ragazzi, leggete i giornali e fatevi una opinione tutta vostra.


Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 29, 2010

Il Paese, i giovani, il futuro.

Sta aumentando l’allarme per lo stato delle Università: molti corsi sono a rischio, altri subiscono forti ritardi, ovunque crescono le preoccupazioni, di rettori, docenti, ricercatori e studenti, rispetto ad una realtà che dovrebbe costituire un ganglio fondamentale per le prospettive di sviluppo del Paese. Gli errori compiuti nei confronti dell’Università sono di lunga data e, quindi, difficilmente ascrivibili ad uno schieramento politico, piuttosto che ad un altro. Sta di fatto che la palestra in cui dovrebbero maturare le eccellenze del Paese cade a pezzi, e l’intervento di un buon carpentiere sembra assai lontano. C’è, a mio parere, una sostanziale incapacità del sistema Italia di includere e far “fruttare”, fin dal momento della semina e della germinazione, le forze migliori che abbiamo. E le migliori “teste” continuano a fuggire. Anche questo governo ha fallito, e anche questo governo, ancor più dei precedenti, non ritiene che aiutare la “ricerca” possa essere un investimento per il futuro. Un paese che non investe nell’istruzione, nella ricerca e sui giovani è un paese dal futuro incerto. Già oggi la società nel suo complesso è caratterizzata da un grande sentimento di incertezza, e l’incertezza provoca paura. C’è chi si arrocca, e chi preme per conquistare la fortezza. Riprendono piede rivolte di popolo a cui non eravamo più abituati: ne sono un esempio la Francia, la Germania, ma avvengono anche qui da noi, in Campania per la discarica e in Sardegna, con la protesta dei pastori. Non è un buon segnale. Sarebbe meglio ascoltare la gente e trovare soluzioni - non solo per affrontare l’emergenza, ma dare una prospettiva al futuro - piuttosto che trattare quei problemi come se fossero solo di ordine pubblico. Chi scende in piazza per protestare non lo fa per divertimento.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 23, 2010

In perenne conflitto

Voglio porvi, per gioco, qualche domanda: quante sono le leggi vigenti oggi in Italia? Se si mettono insieme leggi statali, regionali, regolamenti ecc., si arriva a circa 200.000 (secondo una ricerca condotta pochi anni fa. Ma il bello è che esiste una legge anche per istituire una commissione bicamerale ad hoc per lo sfoltimento delle leggi!). Quanti deputati e senatori abbiamo? 645, senza contare i senatori a vita. Un apparato enorme, una squadra numerosissima al servizio del Paese, una produzione notevole di norme. Eppure, tutto questo non basta; e anzi, il cittadino comune ha una percezione assai diversa, ormai, dell’utilità di questa macchina. Paradossalmente, al contrario di quanto accade in altri campi, la TV non ha favorito il processo di riconoscimento, se proprio non vogliamo parlare di identificazione, con la classe politica. Certo non aiuta il tono di certi confronti. A differenza di altri paesi, in Italia, il confronto pubblico quasi mai si traduce in civile protesta, ma in scontro tra nemici: alle Camere, nei dibattiti televisivi ma anche al bar e alla guida delle auto. Un conflitto costante, da stadio, come se fossimo sempre in campagna elettorale. Ho osservato con ammirazione, nei giorni scorsi, il recupero dei 33 minatori cileni intrappolati per più di due mesi in una miniera. Quel Paese ha dato prova di una grande determinazione, ma anche di una grande unità: si è stretto intorno a quegli uomini, con orgoglio e con affetto. Eppure, il Cile ha vissuto una storia recente di spaccature profonde, sociali, politiche ed economiche: con la dittatura e, poi, il ritorno alla democrazia. Circola sul web una storiella: se fosse successo in Italia? “già al 3° giorno le prime difficoltà e quindi la ricerca dei colpevoli e delle responsabilità; Berlusconi: colpa dei comunisti; Di Pietro: colpa del conflitto d'interessi; Bersani: ... ma cosa è successo? Bossi: sono tutti terroni, lasciateli là; Capezzone: non è una tragedia è una grande opportunità ed è merito di questo governo e di questo premier; Fini: mio cognato non c'entra”. E’ solo una storiella, ma rende l’idea.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 16, 2010

Italia - Serbia: Stupore, rabbia e brutte figure

Non si tratta di fare il solito discorso, un po’ trito, sulla violenza nello sport, da condannare, da reprimere, ma anche da interpretare. Lo spettacolo pauroso andato in scena lo scorso martedì allo stadio Ferraris di Genova, in occasione della partita tra Serbia e Italia, va più in là. Si può senz’altro discutere in termini sociologici e di costume il fatto che gli stadi siano diventati le nuove arene, in cui sfogare ribellioni e violenza repressa. Si può discutere anche dell’uso, assolutamente poco adatto alle circostanze, ma diffuso, di simbologie o gesti che richiamano ad appartenenze politiche; ma ciò che è successo martedì va oltre. Si va allo stadio, anzi si dovrebbe andare allo stadio per assistere alla partita, per condividere gioia e passione sportiva. Abbiamo assistito ad un’orda di figuri come quello rimasto immortalato in una foto, incappucciato, il braccio teso, maglietta con i simboli nazionalisti, che hanno sfidato, provocato, irriso, devastato, assaltato, lanciato fumogeni. Figli delle tigri di Arkan, il massacratore della guerra dei Balcani, qualcuno ha detto. Epigoni della peggior violenza che si sia scatenata in Europa nel secondo dopoguerra. Sono ultranazionalisti, hanno in mente la Grande Serbia, non vogliono l’indipendenza del Kossovo. Non voglio che il loro paese entri nella comunità europea e forse, per questo, sono stati assoldati da chi non ha convenienza che ciò accada. Ha detto Prandelli: “poteva essere una tragedia”. Erano presenti anche un migliaio di bambini delle scuole calcio: che ricordo ne avranno? Il calcio, la società, la politica non possono permettere che chi va allo stadio viva nella paura di una tragedia annunciata. A che servono tornelli, gabbie, tessera del tifoso, forze dell’ordine schierate e sempre a rischio, la massa di denaro pubblico che tutto questo ci costa, se poi, in uno stadio, un martedì sera, può accadere quel che noi, allibiti e pieni di rabbia, abbiamo visto? Se centinaia di teppisti hanno potuto portare dentro bombe carta, fumogeni, petardi, razzi, coltelli e tronchesi? Di chi la responsabilità? Non certo della polizia che si è comportata responsabilmente, evitando il peggio.

Daniele Tamburini

sabato, ottobre 09, 2010

Perchè la Germania è in forte ripresa?

Qualche giorno fa, con un imprenditore di San Daniele Po, discutevamo, presso la sua azienda che profuma di aceto, di economia e di prospettive future: come va? E soprattutto come andrà nei prossimi anni? Mi raccontava di aver partecipato ad un convegno, in America Latina, sulle prospettive economiche dei vari paesi nei mercati globalizzati. Analisi,trend e stime poco confortantiper i paesi europei e per il nostro in particolare. Forse con una eccezione: la Germania. Così mi diceva. “Sa perché la Germania ha ripreso a correre? Perche là sono capaci, tutti insieme, di rimboccarsi le maniche, di lavorare sodo e certi parassitismi, le caste in genere, non sono tollerati”.In effetti, leggo che il trend di crescita di quel paese è tre volte il nostro. E’ accaduto che, dopo la crisi derivata dalla riunificazione delle due Germanie, Est e Ovest, le grandi imprese tedesche hanno riorganizzato la loro produzione, delocalizzandola in modo massiccio e frammentandola a livello internazionale. Hanno maturato un modello di sviluppo che per effetto del profondo processo di ristrutturazione realizzato dalle imprese e dal sistema produttivo ha riportato il paese ad essere competitivo sui mercati internazionali, in particolare verso l’Asia. E’ un sistema, quello tedesco, in cui esiste una vera economia sociale di mercato, in cui il welfare, storicamente più forte ed equilibrato del nostro, è stato riformato, ridimensionando le spese di assistenza ma rafforzando le politiche attive del lavoro, della formazione e della ricerca. Si riconosce il ruolo del sindacato come attore fondamentale di un sistema in cui è impegno comune delle parti sociali migliorare la competitività dell’impresa e condividerne i risultati: da qui, il legame fra salari e produttività. Tutto un altro mondo, lontano dalle nostre miserie. La sono crucchi, ma a noi le cricche. Che dire? Merito della politica e del loro primoministro? Non c’è mai stata una donna premier, in Italia: cloniamo la Merkel?

Daniele Tamburini

venerdì, ottobre 01, 2010

L’anatra zoppa

C'è aria di bonaccia. il Governo ha ottenuto la fiducia in Parlamento, con un buon margine. Quindi, tutto normale. Almeno così sembrerebbe. Chi, come me, viene dal mare, sa che c’è quiete dopo la tempesta, ma che i venti fan presto a riportare cattivo tempo. E infatti l’equilibrio su cui si basa oggi il Presidente del Consiglio è delicatissimo. Il dibattito politico si accentra sul durissimo scontro con Fini ormai dalla scorsa estate, ed i finiani adesso risultano decisivi. A me sembra che, nel dibattito di mercoledì, Berlusconi, più che parlare al Paese, abbia parlato al Parlamento: piuttosto inconsueto per uno come lui, che ha sempre fatto un punto di forza, e anzi un vanto, della sua capacità di rapportarsi direttamente alla gente, fuori dai vincoli del bon ton istituzionale e dal politichese. Lui, il leader eletto dal popolo, è ora soggetto a verifica. Si apre una stagione in cui dovrà fare attenzione ad assetti, equilibri, bilanciamenti e – forse - manuale Cencelli. Riuscirà a stare in questi panni, per lui poco comodi? Dovrà diventare un capo di governo che discute: non potrà imporre il decreto contro le intercettazioni senza discutere con la Bongiorno, non potrà non preoccuparsi del sud, perché la Sicilia dell’Mpa di Raffaele Lombardo è diventata un laboratorio politico per lui poco gestibile, e anche i voti dell’Mpa sono molto importanti. Dovrà controllare Bossi, che non ha digerito il punto programmatico sul sud, dovrà tornare in Parlamento, centellinare, mediare … tutto contro la sua indole. Secondo voi, per come conosciamo il Cavaliere, tutto questo sarà possibile? Negli Stati Uniti, un uomo politico che, occupando una carica importante, tuttavia non sia in condizione di esercitarne appieno il relativo potere, viene definito un’ ”anatra zoppa”. Non credo che Berlusconi accetterà a lungo questa condizione.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 25, 2010

Non siamo un Paese normale

Un vecchio film di Hitchcock si intitolava "L’ombra del dubbio". Il dubbio, proprio come la calunnia, è un venticello che si insinua, e, appunto, lascia ombre. Era un punto d’onore dei vecchi gentiluomini fugare ogni ombra di dubbio sul proprio comportamento. A che pro, quindi, la maggioranza di governo ha votato contro l’utilizzo delle intercettazioni nelle inchieste che riguardano l'ex sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di contiguità con ambienti camorristici? Tanto più che lo stesso Cosentino aveva dichiarato che il contenuto delle intercettazioni era irrilevante. Nel suo stesso interesse, per ribadire la sua estraneità, non sarebbe stato meglio consentire al loro utilizzo? Lo abbiamo scritto altre volte: c’è una grande necessità di ricostruire la fiducia nella cosa pubblica, in chi ci amministra e ci governa. Invece, così facendo, si alimenta la convinzione che davvero ci sia una "casta", per non dire una "cricca", che si fa le regole e se le gestisce. La stessa "casta" contro cui dovrebbe lottare in prima persona la Lega. Il ministro dell’interno Maroni sa bene quanto sia importante, per lo sviluppo del Paese, la lotta al crimine organizzato: non sarebbe fondamentale agire perché chi ci governa appaia, appunto senza ombra di dubbio, implicato in certe faccende? Ma forse, oggi, è pretendere troppo. Forse abbiamo assistito ad una sorta di conta: governo si, governo no, quanti i mie, quanti i tuoi … E forse alla maggioranza degli italiani, impegnati a risolvere la quotidianità, questo importa davvero poco. Cercano di barcamenarsi, sperano che le cose possano cambiare, lavorano e si impegnano. E, magari, sono più attratti dal Superenalotto.

Daniele Tamburini

sabato, settembre 11, 2010

Fare il sindaco può essere divertente

Fare il sindaco è un mestiere sempre più difficile. Soprattutto per chi, in campagna elettorale, si è presentato come personaggio "super partes" e fuori delle logiche di partito. Perché la politica - una materia da sempre esplosiva - ogni volta che viene spedita fuori dalla porta, rientra dalla finestra. Ne sa qualcosa il sindaco di Crema, Bruno Bruttomesso, che ormai ha un scarso potere contratuale nei confronti degli uomini forti della sua giunta. Oreste Perri comincia oggi a rendersi conto di che cosa è la politica. Quella vera. Sotterranea. Innanzitutto le alleanze: possono rompersi e ricomporsi da un momento all'altro. Si diceva, per esempio, che Gianni Rossoni, il vero leader del Pdl nel Cremonese, e Massimiliano Salini, l'uomo di Formigoni nella nostra provincia, formassero un tandem indistruttibile; oggi neanche più si parlano. Anche a livello di associazioni di categoria, i politici che un tempo erano considerati nemici per la pelle, oggi sono diventati alleati. Alleanze, interessi e progetti mutano alla velocità della luce. Per un sindaco, che si dichiara fuori dai giochi della politica e del business, riuscire a star dietro, indovinare e intercettare i cambiamenti repentini diventa un'impresa ciclopica. E' meglio che lasci perdere perché in politica c'è gente che sa come e quando giocare le carte. E sanno giocare pesante. Ma i primi cittadini, mentre il mondo intorno a loro si muove vorticosamente, possono starsene fermi. A ragionare. Fidandosi solo del loro fiuto e del buon senso. Senza lasciarsi trascinare nella bagarre. Perché hanno un potere che altri non hanno: quello delle dimissioni. Che cosa ha da perdere un sindaco che fra qualche anno si ritirerà a vita privata senza rendere conto di niente, a nessuno? Niente. Può tenere tutti con il fiato sospeso minacciando di dimettersi. Basta questo spaurachio per far saltare qualsiasi banco o andare a vedere qualsiasi bluff. Perri a Cremona e Bruttomesso a Crema, scelti proprio perché non contaminati dalla politica, hanno un'arma atomica in mano. Perché non minaccino di usarla risulta incomprensibile alla gente comune. Dalla quale provengono.

sabato, settembre 04, 2010

Rimbocchiamoci le maniche

Ricordo che mio padre mi diceva spesso, forse più spesso di quel che avrei desiderato: “Studia, impara, impegnati, che così avrai un futuro miglioredel mio!”. Era l’Italia dei primi anni ’60. Uscito dalle devastazioni della guerra, il Paese era un crogiuolo di lavoro, di idee, di cambiamenti politici, economici, culturali profondi e, per certi versi, sconvolgenti. Si lavorava moltissimo: c’era mobilità sociale e territoriale; l’emigrazione interna, dal sud al nord, cambiava radicalmente paesaggi urbani, territori, usi e abitudini. Oggi, forse, la nostalgia non è più quella di un tempo, ma rimane forte il ricordo di un Paese in cammino, pur se lungo un percorso disordinato, spesso incoerente, una camminata magari zoppa. Il “made in Italy” divenne un brand di successo in tutto il mondo. Poi le battute d’arresto, il declino, per motivi che sarebbe troppo lungo elencare: crisi strutturali, crisi di congiuntura, le difficoltà della politica e delle istituzioni, chi voleva la Milano da bere e poi se l’è bevuta tutta, i mercati, le speculazioni, la bolla finanziaria etc. In un recente articolo, molto bello, Beppe Severgnini ha scritto su Il Corriere: “Nell’Italia del 2010 sappiamo tutti — padri, madri, figli — che la nuova generazione precarizzata starà peggio, e già ha bisogno di aiuto (per la macchina, per la prima casa). È un ribaltamento innaturale: la nazione che lo accetta è nei guai”. Ecco, il punto è tutto qui: non accettare fatalisticamente questo stato di cose. Dobbiamo pretendere futuro, costruire futuro. Aprirci a nuove possibilità, aprirci al mondo, non rinchiuderci – anche se, a volte, la tentazione sarebbe forte – dietro muri o dentro bunker. Tutti i muri sono destinati, prima o poi, a crollare o a essere scavalcati: dal Vallo di Adriano al Muro di Berlino. Ho letto che qualcuno, anche qui in Italia, si sta facendo costruire bunker per sopravvivere alla fine del mondo annunciata dal popolo Maya per il dicembre del 2012. E’ un sintomo di paure profonde, ma dobbiamo convincerci che la vera linea di resistenza sta in noi stessi, nelle nostre capacità, nel nostro lavoro.
Rimbocchiamoci le maniche.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 27, 2010

Ecco settembre

Avete fatto caso che, ormai, il nostro tempo sociale, e anche quello privato, non sono più scanditi dall’anno solare, ma vanno da settembre all’agosto successivo, in una sorta di anno scolastico? Siamo quasi tutti rientrati dalle ferie e si ricomincia. Qualche tempo fa, un periodico tedesco ha compiuto un’analisi spassionata della situazione italiana, rilevando, tra le altre cose, che il “caso” italiano è una continua emergenza che, apparentemente, non sfocia mai in tragedia. L’ingresso nell’eurozona fu gestito attuando, per anni, una rigorosa disciplina di bilancio, unitamente al rigido risparmio: questa politica ha avviato la pluriennale fase del “declino”, perché l’allora riacquistata solidità della politica fiscale significò infatti anche rinuncia alla prosperità derivante dallo sviluppo economico. Ma non c’era alternativa. Insomma, la morale potrebbe essere: meno si sale, meno la caduta sarà dolorosa. È una possibile interpretazione: una “stabile depressione”. Ma la depressione può essere una malattia mortale, specie quando viene accentuata da una continua incertezza che riduce fortemente la voglia di investire. Fuor di metafora, la crisi politico-istituzionale di questo agosto rischia di avere effetti pesanti. In molti gridano: “al voto, al voto”, seppur poco convinti e pronti a far marcia indietro. Mi domando se davvero possa essere una soluzione tornare alle urne con questo sistema elettorale, che non solo “nomina”, e non elegge, i parlamentari, ma che ha dimostrato, nessuno lo può negare, di non favorire in alcun modo la governabilità. Il guaio è che una proposta seria su una nuova legge elettorale necessiterebbe di una lettura precisa della fase politica: per esempio, una lettura e un giudizio oggettivo sul bipolarismo. Un “sistema” che ha evidenziato forti lacune e una fragilità connaturata, quasi inevitabile. Occorrerebbero soluzioni di sistema, non soluzioni estemporanee. Il Paese ha grande bisogno di questo, e poco di ulteriori pettegolezzi, di risse e di inutili cortigiani.

Daniele Tamburini

venerdì, agosto 06, 2010

E’ in un momento come questo che…

Quello che sta accadendo nel Pdl è un vero e proprio terremoto politico del quale è difficile, per ora, saper valutare appieno le conseguenze, sia politiche che istituzionali. È certo che la situazione richiederebbe un forte senso di responsabilità, ma, al momento, sembra prevalere, come preoccupazione maggiore, la “convenienza” dei partiti di andare o meno a elezioni anticipate. Il Paese avrebbe bisogno di ben altro. Anche i vescovi raccomandano di non usare arroganza, dando un giudizio davvero impietoso sulla attuale classe dirigente. Intanto il grande mondo va avanti, ed è proprio in un momento come questo, in cui si intravede in lontananza un barlume di ripresa, che occorrerebbe una classe politica capace di aiutarci ad uscire dal guado (per non dire di peggio). Una cosa è certa: ci sono molte questioni su cui, se i cittadini trovassero unità, parole e azioni comuni, potrebbero intervenire con forza, decisione, incisività. Ma il potere è bravo a tenerci separati, polemici e deboli. Divide et impera. Si respira una sorta di minorità, nell’opinione pubblica, stremata, forse, da un’incertezza ormai patologica nel nostro sistema. Contro cui, ognuno reagisce come può: chi non ha strumenti di censo e di status se la passa male, ma anche chi è in una posizione di privilegio comincia a rendersi conto che se non si favorisce la domanda interna, se non si rafforza il potere d’acquisto delle famiglie finisce male per tutti. E, invece, in molte situazioni prevalgono i posizionamenti ed i favori delle caste. E il maggior difetto di una casta, forse, è la chiusura in se stessa, che protegge ma non fa cogliere opportunità. È la nostra storia recente? Opportunità non colte, strade promettenti non percorse. Care lettrici e cari lettori, è l’ultimo numero prima delle vacanze, e avremmo certo voluto usare toni più ottimisti, ma “così è (se vi pare)” come dice Pirandello. Speriamo di tornare più fortificati dal meritato riposo e che la situazione possa migliorare. Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 31, 2010

Vacanze

Sono uno che preferisce la montagna, ma, quest’anno, mi sono fatto convincere a trascorrere qualche giorno al mare. Spiaggia, sole, onde … finalmente un po’ di relax, per sfuggire alle preoccupazioni quotidiane, almeno per un breve periodo. Un modo per illudersi di averle dimenticate? Come il titolo di un vecchio giallo di Agatha Christie: corpi al sole. Apparentemente immemori, abbandonati. Le ragazze ed i ragazzi corrono felici, si spruzzano, si corteggiano: hanno finito la scuola, oppure hanno lasciato un lavoro – probabilmente, un lavoretto. Chissà se pensano, e in quali termini, al loro futuro? Quali sogni avranno, quali desideri. Ma ci sarà tempo per le riflessioni un po’ più cupe, ora siamo qua, a goderci la vacanza. A dar retta alle analisi ed alle previsioni, avremmo dovuto tutti nasconderci in un buco nel terreno ad aspettare che la tempesta passasse. Invece siamo qui, perché la vita prevale, e la speranza pure. L’estate segna una sorta di spartiacque dell’anno: è al dopo estate che rimandiamo i buoni propositi: “mi metterò a dieta, a settembre palestra tutti i giorni, lavorerò a quel progetto…”. E ne traiamo nuova linfa, nuova vitalità, una piccola forza che cresce nuova dentro di noi. Nutrita dal sole, dall’aria, dai ritmi più rilassati. Noi, che abbiamo alle spalle diverse estati, ci godiamo la vacanza come una tregua, senza troppe aspettative. Loro, le ragazze ed i ragazzi, aspettano invece qualcosa, qualcosa che somigli alla felicità, qualcosa che sia la felicità. Che bello vedere giovaniche ridono: sono contagiosi.
Buone vacanze.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 24, 2010

Una buona notizia

E' una notizia importante: secondo dati forniti da Confartigianato, la copertura energetica rinnovabile per i consumi domestici delle famiglie italiane ha raggiunto il 100%. Vale a dire che nel nostro Paese il fabbisogno di energia elettrica dei nuclei familiari viene coperto completamente dalla produzione complessiva che proviene dalle fonti rinnovabili. E questo risultato è stato raggiunto nonostante che la crisi abbia abbattuto la produzione tradizionale di elettricità dell’8,3%. Significa che sostenibile si può. In economia, come nella vita, sono pericolosi gli integralismi, le scelte senza alternative, le forzature che spesso peccano di ideologismi. L’energia è un tema di grandissima rilevanza economica e ambientale, ed è ormai chiaro a tutti che occorre ridurre la dipendenza dai combustibili fossili attraverso lo sviluppo delle fonti rinnovabili e del risparmio energetico. Diversificare, e anche pianificare. Le energie alternative (fonti rinnovabili, sole, vento, interventid'efficienza energetica) sono in grado di generare aumenti nell'occupazione: il lavoro di installatori e manutentori. Posto che i due problemi più grandi relativi al nucleare (la questione delle scorie radioattive, la cui messa in sicurezza impegna per migliaia d'anni, e quella della sicurezza non intrinseca delle centrali nucleari, dovuta alle reazioni secondarie incontrollabili in caso d'incidente) sono tuttora lontani da una soluzione, la diversificazione energetica tra risorse rinnovabili e combustibili fossili è la strada più convincente. Negli stessi giorni in cui sono usciti i dati di Confartigianato, anche il presidente USA Barack Obama ha parlato, dallo Studio Ovale, di sviluppo di fonti energetiche alternative. È il presidente del Paese più potente del mondo, grande produttore di petrolio, che sta affrontando la catastrofe ambientale della Bp e in cui ci sono molte centrali nucleari: eppure, parla di 'clean energy economy', un’economia fatta di energia pulita e di "green jobs", lavori “verdi”. La strada è ancora lunga e accidentata, ma qualcosa si sta muovendo e, a mio parere, nel senso giusto.

Daniele Tamburini

sabato, luglio 17, 2010

Il dovere dei padri

Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è intervenuto spesso sulla situazione dei giovani nel nostro Paese. Nell’ultimo, recente discorso, ha detto, non a caso in occasione di una visita ad una scuola di alta specializzazione, che “non possiamo continuare a far pesare sulle spalle dei giovani un debito pubblico così pesante”. Non possiamo, cioè, continuare ad imporre alle giovani generazioni una ipoteca schiacciante sulle possibilità di lavoro, di sviluppo, di ricerca di una loro strada nella vita. È una grande contraddizione: la società spinge verso modelli giovanilistici, nella moda, nell’estetica (pensiamo al boom degli interventi di chirurgia estetica, per le donne ma anche per gli uomini) ma, nella realtà, si fa ben poco, di concreto, per chi si affaccia alla vita adulta. Qualcuno dice che questa generazione di ragazzi forse è la prima che starà peggio rispetto ai genitori. L’inchiesta nelle pagine interne rileva le difficoltà, per i giovani, anche nell’acquisto della prima casa, con tutto quello che ne consegue riguardo ai progetti per formare una famiglia. Lo stesso Napolitano, lo scorso dicembre, aveva rivolto loro un appello: “Non ve ne andate. Possiamo far crescere il nostro Paese all'altezza delle conquiste delle società contemporanee più avanzate”. E’ una fase difficile ma ne usciremo, ne dobbiamo uscire. Contenere il debito pubblico è un dovere dei padri verso le generazioni future. Ricordiamo sempre quel detto per cui la terra non è nostra, ma l'abbiamo avuta in prestito dai nostri figli, e a loro dovremo restituirla.

Daniele Tamburini

venerdì, luglio 09, 2010

Nichi Vendola, una manna dal cielo?

Un buon comandante, dice Sun Tzu ne «L’arte della guerra», deve possedere diverse qualità: saggezza, rettitudine, umanità, coraggio e severità. Tutte caratteristiche che volentieri vorremmo vedere negli esponenti politici, e che qualcuno sicuramente possiede. Però, se fossero più estese, pensiamo a quanto sarebbe più interessante ascoltarli, e quanto sarebbe più coinvolgente occuparci del dibattito tra i partiti, in Parlamento eccetera. E come sarebbe più stimolante poter parteggiare per l’uno o l’altro di due avversari che possedessero le qualità indicate da Sun Tzu! O che, comunque, si ponessero in maniera ben diversificata, netta, precisa, senza balletti di cortesie manierate reciproche o senza urla tra sordi. Sinceramente, un recente esempio della possibilità di dialogare, pur nella profonda diversità dei punti di vista, l’ha fornito Nichi Vendola, che ha parlato ad una platea di industriali, riuniti in assemblea, a Vicenza (lui, uomo di sinistra del Sud), ascoltando e facendosi ascoltare attentamente. Vendola è un fenomeno da tenere d’occhio, secondo molti. Qualcuno dice che a Berlusconi farebbe comodo averlo come avversario, perché il Cavaliere potrebbe attaccarlo con facilità su molti piani: Vendola era comunista, parla di Marx senza problemi, dice “sinistra” senza imbarazzi, è dichiaratamente e tranquillamente omosessuale. Una persona ai suoi antipodi, un bersaglio perfetto: una manna dal cielo. Però … ha un grande coraggio delle sue idee. È cattolico senza infingimenti; è vicino alla Chiesa e apprezza papa Ratzinger, ma dice che la Chiesa va sfidata sul terreno della libertà e dell’amore, anche di quello gay; parla senza problemi di povertà, ma anche di gioia e di bellezza. In Puglia ha investito sulle energie pulite, su turismo e cultura, e l’acquedotto pubblico – incredibile - produce utili. Spariglia le carte, mette insieme anime diverse, difficile che dica parole conformiste. Il suo linguaggio è concreto e immaginifico insieme: affascina i giovani, fa riaffiorare idee e orgoglio sopito nei più anziani. Non fa finta di non essere un politico ed un amministratore, e se ne assume le responsabilità. Potrebbe davvero rimettere insieme i cocci di una sinistra che aspetta un leader capace di nutrirsi della grande tradizione novecentesca legata ai temi del lavoro, della solidarietà, dell’uguaglianza, della giustizia sociale, coniugati con le sfide di oggi: la precarietà, la frammentazione ideologica, la globalizzazione. Rieletto presidente della Regione Puglia, ha detto tranquillamente che se ne sarebbe andato un po’ in vacanza, senza fingere di mettersi a lavorare subito indefessamente per la comunità. Il tempo per la politica e per l’impegno, il tempo per sé. Chissà se verrà il suo tempo? Staremo a vedere.

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Anche nell’isola felice…

Rimaniamo sbigottiti di fronte ai due fatti di sangue, accaduti a pochissimi giorni di distanza nella nostra zona: due uomini, respinti, uccidono la donna che non li vuole più. Due donne, con tutta la vita davanti, che avevano fatto le loro scelte: per loro, tutto è finito. “Anche nell'isola felice il profondo disagio di una società allo sbando”, ha scritto Antonio Leoni all’indomani dei due omicidi. Non si creda che vogliamo fare la parte dei corvi, nel prendere spunto da fatti così dolorosi per fare alcune riflessioni. Ma forse, serve a tutti fermarsi un momento a pensare. Drammi – forse – nati dalla paura della solitudine, dall’angoscia del sentirsi rifiutati. Ma anche, da una convinzione che perdura ancora: molti uomini non accettano che le donne possano liberamente e consapevolmente decidere. Fatti come questi accadono sempre più spesso, a nord e a sud, trasversali alle classi sociali, alla condizione economica etc. Mezzo secolo di storia ha cambiato in profondità le compagne di una vita o di un percorso, e forse, noi uomini facciamo ancora fatica ad accettarlo fino in fondo. Difficile da ammettere, ma, se potesse essere occasione per riflettere, si tratterebbe pur sempre di un punto di partenza. Crescendo abbiamo imparato che la vita non è una fiaba. E’ un percorso dove si conosce il riso e il pianto, l’emozione e il disinganno, la fortuna decide per noi. Non sempre – purtroppo – finisce: “…e vissero felici e contenti”.

Daniele Tamburini

lunedì, luglio 05, 2010

La riqualificazione della zona stadio

Dalla crisi si può uscire con una dinamica di cambiamento, certo non con la staticità. Il progetto CremonaCityHub, presentato venerdi 25 in una affollatissima Sala Mercanti e al quale dedichiamo alcune pagine di commento, all’interno del giornale, riguarda una consistente riqualificazione urbana della zona compresa tra il Foro Boario e gli ex Magazzini Cariplo. Un’area cittadina in passato occupata da attività legate al mercato ed al commercio. Su questo programma sindaco e vicesindaco hanno scelto la strada del coinvolgimento e della partecipazione delle forze economiche e sociali della città, una scelta che, se portata fino in fondo, si rivelerà strategica. Ma la strategia, proprio perché, per sua natura, non deve avere il carattere dell’improvvisazione, non può tralasciare alcuni aspetti. Prima di tutto, la necessità di coniugare sviluppo e regole. Regole di mercato e di impresa, certo, ma anche regole nella salvaguardia del territorio e dell’ambiente e nella trasparenza di scelte e procedure. Lo sviluppo di cui abbiamo estremo bisogno è quello legato al lavoro ed agli investimenti, che rimetta in moto i consumi e che innesti dinamiche virtuose per cui la nostra città, la nostre zone diventino punti di attrazione per investimenti ulteriori: “Volare alto, pensiamo in grande” dice l’architetto Pagliari, concetto ribadito dall’onorevole Pizzetti. L’innovazione di cui abbiamo grande bisogno sta anche nelle idee, negli apporti progettuali che sicuramente circolano, ma che, a volte, stentano nel trovare espressione ed accoglimento. Il progetto CremonaCityHub, se ben gestito, può essere tutto questo. Il sindaco Perri ha detto, davanti ad una platea accaldata e all’inizio, forse, un po’ scettica: “State pur certi, andremo sino in fondo!”. Il presidente della Camera di Commercio Giandomenico Auricchio, entusiasta, non ha nascosto il suo consenso.

Daniele Tamburini

sabato, giugno 26, 2010

La fortuna di incontrare bravi maestri

Ricordo ancora il mio maestro delle elementari: mi sembrava molto alto e molto autorevole. Era attento alla correttezza della scrittura e delle parole che usavamo, ci riprendeva e faceva degli esempi. Era un maestro, appunto. Trasmetteva il suo sapere, quello che si era formato nel corso degli studi ma anche quello che gli derivava dall’esperienza di anni con gli alunni, e questo era considerato un grande valore. E oggi? E’ una strana epoca, la nostra: da una parte siamo allergici all'autorità e agli obblighi e ci disturba chi fa pesare il suo ruolo; dall’altra, ci affidiamo a modelli, sollecitazioni, schemi che magari subiamo in maniera passiva. Una cosa è certa: la “lezione” di un maestro, per essere davvero tale, dovrebbe essere un luogo di incontro e di scambio, un dialogo, prima di tutto tra le generazioni. Il dialogo è fatto anche di interruzioni, e quindi di ascolto. Scrive Mario Lodi, un maestro vero: educare significa educare alla parola e all’ascolto, quindi alle regole, quindi alla democrazia. Essere maestri significa creare cittadini liberi: il problema è che la loro voce rischia di essere sommersa dal chiasso generale. Per questo si dice che la storia sia maestra di vita, perché ci consente di capire le radici di come siamo. La Chiesa ha un suo magistero, con cui impartisce insegnamenti morali, etici e religiosi: Gesù Cristo era un rabbi, un maestro. Nelle officine, sovente gli apprendisti chiamavano l’operaio più esperto “maestro”, che li conduceva passo passo dalle operazioni più semplici a quelle più complesse. Un buon maestro insegna a rispettare la complessità, questione chiave, e a non affidarsi sempre alle scorciatoie ed alle semplificazioni. Invece, oggi, i maestri di scuola non mi pare abbiano il riconoscimento sociale che meritano e, anzi, vengono “tagliati” senza pietà. Poi ci sono pure i cattivi maestri. Anche se qualcuno ha detto che non ci sono cattivi maestri, bensì cattivi scolari.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 18, 2010

Va' pensiero...

E' abbastanza singolare che si voglia contrapporre il “Va’ pensiero” all’inno di Mameli. Come è avvenuto nei giorni scorsi. La storia sembra dire qualcosa di diverso da quello che molti pensano. Quando Giuseppe Verdi compose l’opera il “Nabucco”, da cui è tratto il “Va’ Pensiero”, si ispirò alla parte della Bibbia in cui gli ebrei, soggiogati dai Babilonesi, piangono la loro dura sorte. Il “Va’ Pensiero” è dunque un canto di dolore, di sconfitta, di rimpianto. Niente a che vedere, quindi, con un inno che dovrebbe accendere gli animi, invitare alla riscossa e al riscatto. E infatti il compositore di Busseto non pensava assolutamente a fomentare lo spirito rivoluzionario che serpeggiava in quei tempi (1842), nell’Italia del nord, contro gli austriaci. Se, come si narra, la grande musica verdiana infiammò i cuori, fu perché quel canto accorato di un popolo schiavo rispecchiava la condizione dell’Italia di allora, soggetta al dominio straniero. Sui muri delle città, alcuni coraggiosi scrivevano: “VIVA VERDI”. Un acronimo che così andava interpretato: “Viva Vittorio Emanuele Re Di Italia”. Mentre è lo stesso Verdi che, nel suo “Inno delle Nazioni” del 1862, affida proprio al “Canto degli Italiani” – meglio conosciuto, poi, come “Fratelli d’Italia” - il compito di simboleggiare il nostro paese. L’Inno fu scritto da due giovanissimi: Goffredo Mameli, l’autore del testo, aveva venti anni, Michele Novaro, che lo musicò, ne aveva ventinove. Di sicuro non fa una grande figura accanto a inni solenni come quello della Gran Bretagna, della Germania, della Russia, degli U.S.A. E’ svelto ma poco marziale, praticamente una marcetta, con un testo che, ormai, capiscono in pochi: “Noi siam da secoli calpesti e derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi …”. E, udite udite, parla di Legnano: “Dall'Alpi a Sicilia dovunque è Legnano”, luogo in cui, nel 1176, si svolse la battaglia in cui l’esercito della Lega Lombarda comandato dai volontari della Compagnia della Morte (non da Alberto da Giussano, che è un personaggio letterario) sconfisse l’imperatore Barbarossa. Il 12 ottobre 1946 l'”Inno di Mameli” diviene l'inno nazionale della Repubblica Italiana. Di tutta l’Italia, dalle Alpi a Capo Passero.
Ho letto che il film Kolossal su Barbarossa, finanziato dalla Rai, è costato trenta milioni di euro... ne ha incassato uno.

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 11, 2010

Sudafrica e nuvole

Ci siamo. Accolti con sufficiente distacco e una buona dose di scetticismo, iniziano i Mondiali di calcio. E come accade, oramai da qualche anno, alla Nazionale, detentrice del titolo di campione del Mondo, è mancata anche la benedizione da parte delle istituzioni. I nostri ragazzi sono partiti per il Sudafrica nella totale indifferenza di Presidente del Consiglio, ministri e compagnia bella. Meglio stare defilati, in questi casi; dovesse andare male, c’è il rischio di essere additati come menagramo. A dire il vero, questa è una settimana piena di eventi di grande rilievo che riguardano la politica: si discute di manovra finanziaria, di tagli, di intercettazioni telefoniche, di giustizia, di Costituzione, di Stato e di Antistato. Cose importanti che ci riguardano direttamente. Tuttavia partono i Mondiali e anche di questo dobbiamo parlare. Sono i primi Mondiali di calcio in terra africana, un evento che non è solo a carattere sportivo, ma che coinvolge aspetti economici, sociali e di costume non indifferenti. Il presidente della Repubblica sudafricana, Jacob Zuma, ha dichiarato che un entusiasmo così grande lo si era visto soltanto nel 1990, quando Nelson Mandela venne scarcerato. “Questi Mondiali di calcio possono unire la nostra nazione”. Anche il ministro del Turismo ha parlato dei Mondiali come di uno strumento di “socializzazione e di condivisione”. Una manifestazione che dovrebbe coinvolgere ed unire. A parte il tifo. Il tifo non unisce, divide. Spesso si è tifosi non “per” qualcosa ma “contro” qualcosa. Così anche in politica: è più appagante denigrare l’avversario piuttosto che sostenere le proprie ragioni. Ma torniamo al calcio giocato. L’Italia non parte favorita. Anche quattro anni fa fu così, e anche quattro anni fa pareggiò uno a uno contro la Svizzera nell’ultima amichevole prima dei torneo. Sogno un’altra finale Italia-Francia, come nel 2006. Più che una partita sembrò un film scritto da un sadico sceneggiatore. Che goduria, quel giorno, battere i francesi con il minimo scarto e oltretutto all’ultimo rigore. Meglio, ma molto meglio, di un sonante e irrefutabile tre a zero. Adesso e non da ultimo: forza Cremo!

Daniele Tamburini

venerdì, giugno 04, 2010

Emergenza

Abbiamo conosciuto l’emergenza incendi: un paese a fuoco. Poi, per contraltare, quasi, l’emergenza dell’acqua … E l’emergenza rifiuti, l’emergenza petrolio, l’emergenza terremoto, l’emergenza frane, l’emergenza sanità con i malati nei corridoi, l’emergenza giustizia. E l’emergenza sicurezza. Solo che l’emergenza, per definizione, è una condizione eccezionale, imprevista, inattesa, rara. Un’emergenza che diventa normalità non è più emergenza. Eppure, noi viviamo, da molti anni, da molti governi, da molte stagioni, una continua emergenza. Si dice: ci vuole rigore, la situazione è di emergenza, e da qui le manovre, i tagli e la richiesta di sacrifici. Poi si scopre che l’attore massimo dell’emergenza, la protezione civile, deve gestire anche i festeggiamenti di San Giuseppe da Copertino, patrono degli studenti … e cadono le braccia. La spesa pubblica è un’emergenza? Probabilmente sì. Il rimedio sta nel blocco degli stipendi degli statali? Probabilmente no. I sacrifici sono necessari per il bene di tutti, dice il Presidente del Consiglio. Sono provvedimenti episodici e non strutturali, dice il capo dell’opposizione. La sensazione è che ci sia tanta improvvisazione e tanta paura. Sapete qual è secondo me un’emergenza grave che condiziona la futura possibilità di ripresa? Lo dicel’ultimo Rapporto annuale dell’Istat che dipinge un quadro a tinte fosche della condizione dei giovani nel nostro paese: il 30% dei giovani sono inoccupati e si sta cronicizzando la loro dipendenza dalla famiglia. Un esercito immobile, che chi guida il paese non riesce a rendere attivo per creare sviluppo e ricchezza, ma che nemmeno si mobilita per protestare contro una situazione assai penalizzante. La conseguenza è un’economia che non si riprende e una società che non riesce a rinnovarsi. Mio figlio ha venti anni, gli ho fatto leggere questo mio breve scritto; mi dice che alla fine non sto dicendo niente e meno propongo. E’ vero: la mia è solo una costatazione. Ma non rinuncio alla speranza che le nuove generazioni siano in grado di costruire un futuro migliore.

Daniele Tamburini